Riconfezionare è una pratica poco conosciuta ma molto diffusa tra le aziende alimentari. Quanti consumatori sanno che alcuni prodotti alimentari ritirati dagli scaffali in prossimità della data di scadenza o del termine minimo di conservazione diventano ingredienti di altre preparazioni?
Stiamo parlando di biscotti che vengono sbriciolati e aggiunti all’impasto per produrre nuovi biscotti, di prosciutto cotto o crudo e di formaggi stagionati, rilavorati e trasformati in ripieni per ravioli o tortellini. In alcuni casi è possibile effettuare una semplice tolettatura eliminando le parti esterne (come fa il fruttivendolo quando toglie le foglie esterne dell’insalata).
Nel caso degli alimenti prossimi al termine minimo di conservazione, riconfezionare è possibile solo dopo aver valutato attentamente se l’alimento risulta ancora idoneo al consumo, scegliendo una durabilità adeguata alle nuove condizioni. In altri casi è necessario sottoporre l’alimento a trattamenti tecnologici bonificanti, come si fa per i formaggi che vengono fusi. È invece assolutamente vietata ogni forma di cosmesi di alimenti che presentano alterazioni microbiche o chimiche, come pure la correzione di odori, sapori o dell’acidità.
Tutto ciò è permesso dalla legge, perché si tratta di riconfezionare materie prime idonee al consumo, rilavorate proprio come si fa per vetro, carta, plastica. Si tratta di operazioni condotte nelle aziende in modo automatico, che ora saranno regolamentate dall’UE. In questa situazione anche i consumatori svolgono un ruolo importante. Molti considerano erroneamente la data sulle etichette dei prodotti a lunga conservazione un limite molto rigido, in prossimità del quale il cibo è da cestinare e non è più commestibile. Non è vero: questa regola vale per la data di scadenza dei prodotti freschi, mentre quella indicata sugli altri prodotti è il Termine Minimo di Conservazione, ed è un riferimento elastico, tanto che le aziende riutilizzano ancora questi prodotti senza violare la legge.
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