Se le tecnologie già oggi disponibili fossero applicate su larga scala, lo spreco alimentare sarebbe quasi un ricordo del passato. E, soprattutto, si produrrebbe un quantitativo di proteine sufficiente ad assicurare a tutti gli abitanti della Terra quei 50 grammi quotidiani che secondo l’Oms sono indispensabili al mantenimento di un buono stato di salute. Quasi ogni giorno le riviste scientifiche pubblicano studi dove si racconta come in tutto il mondo gruppi di ricercatori di varie discipline sono riusciti a riciclare gli scarti alimentari, trasformandoli in nuove fonti di nutrienti o comunque in materiali che possono essere riutilizzati con successo. E ora una review del King’s College di Londra, pubblicata su Green Chemistry, fa il punto della situazione, segnalando alcune delle ricette più interessanti e indicando i fattori anche culturali che sarebbe necessario considerare, per implementare pratiche virtuose.
Gli ambiti di provenienza degli scarti sono in generale tre: quelli delle lavorazioni agricole, quelli dei prodotti finiti e quelli domestici. Sono anche tre i tipi di trasformazione che stanno rapidamente conquistando terreno: le proteine prodotte dai microrganismi, la biotrasformazione operata dagli insetti e i trattamenti chiamati bio-fisicochimici. Se anche uno solo di essi fosse applicato ovunque, la quantità di proteine disponibili potrebbe addirittura triplicare rispetto alle attuali necessità.
Protagoniste del primo approccio sono le proteine ottenute da funghi (micoproteine) perché sono un ottimo sostituto della carne, e perché si possono impiegare in cucina. Il motivo del successo è la crescita rapida dei funghi utilizzando come substrato gli scarti del caffè, come dimostra l’esperienza della fiorentina Funghi Espresso. Già nel 2013 l’azienda ha lanciato funghi che crescono su fondi di caffè (inizialmente ritirati da bar e ristoranti rigorosamente in bicicletta). Interessante è anche il percorso dell’israeliana Mush Foods, che utilizza scarti della lavorazione della birra, della soia e del mais, tutti trasformati in un compost chiamato 50CUT.
Ma l’osservato speciale, più che un prodotto, è un processo: la fermentazione, da cui derivano le micoproteine. Secondo gli autori, ci sarebbero 80 tra batteri, lieviti, miceti e alghe da utilizzare nei cicli fermentativi che impiegano zuccheri, con innumerevoli applicazioni e con rese eccezionali (dalle coltivazioni ogni anno si producono 8 miliardi di tonnellate di scarti con carboidrati da avviare alla fermentazione). Se ciò avvenisse, si otterrebbe lo stesso quantitativo di proteine che arriva da 5 miliardi di bovini, un numero triplo rispetto a quello dei bovini attualmente presenti sulla Terra. Anche solo riutilizzando gli scarti della lavorazione dei cereali, si otterrebbero 562 milioni di tonnellate di proteine all’anno, con un tasso di conversione rifiuto/proteine pari a 197 grammi per persona per giorno (quasi il quadruplo del fabbisogno giornaliero di una persona di 70 chilogrammi).
Bisognerebbe inoltre favorire la realizzazione di cicli chiusi: per esempio, quello che sfrutta gli avanzi della lavorazione della birra o dei crostacei, i cui gusci contengono anche il chitosano, molecola utilizzata nell’industria alimentare e in quella farmaceutica. Lo stesso si dovrebbe fare con tutto ciò che viene scartato dalla distribuzione per i prodotti non più commerciabili o vicini alla data di scadenza.
Anche gli insetti, a loro volta ottime fonti di proteine e altri nutrienti, possono essere alimentati con scarti alimentari, diventando così bioconvertitori straordinariamente efficienti. Tra i migliori ci sono le larve di tarme della farina e quelle di mosca nera, già approvate in Europa e, per questo, secondo tutte le stime, al centro di un importante sviluppo nei prossimi anni. Infine, per quanto riguarda le tecniche bio-fisicochimiche, si tratta di applicare al meglio tecniche quali le separazioni, i trattamenti con enzimi e estrazioni assistite da microonde per recuperare i nutrienti secondo reazioni sostenibili e non associate a emissioni.
Secondo gli autori, al di là dei singoli approcci o dei metodi più o meno efficienti che dovrebbero comunque essere adattati alle tradizioni e alla storia alimentare di un Paese (gli insetti dove già si mangiano da secoli, come in Africa e nel Sud Est Asiatico, la fermentazione microbica dove è più sviluppata, come in Europa e negli Stati Uniti), bisogna ripensare tutto il sistema, dalla produzione al consumatore finale, affinché sia tutto indirizzato al riutilizzo e allo spreco zero. Per esempio, gli scarti che arrivano dalle cucine per essere trasformato deve essere raccolto separatamente e trattato come richiedono i rifiuti organici, e dovrebbero essere le amministrazioni locali a predisporre raccolta e trattamento.
Se si guardano i numeri si capisce quanto sia urgente intervenire. Nel mondo si buttano ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo e questo nonostante la pandemia e la guerra abbiano pesantemente compromesso le filiere e la distribuzione, facendo aumentare il numero di persone che non hanno cibo a sufficienza (840 milioni circa con previsioni di crescita oltre i 900 entro il 2030). Si tratta di centinaia di milioni di esseri umani per i quali il cibo in realtà ci sarebbe ma non è disponibile e, anzi, viene sistematicamente buttato via.
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Giornalista scientifica
Gli insetti proprio no!!!!
Ottima sintesi