La cronaca di qualche mese fa narra di un banchetto di nozze, servito in una bel ristorante sul lago di Verbania gestito da uno chef stellato, finito con i due sposi al pronto soccorso per dolori acuti al basso ventre. Nell’arco di qualche ora anche altre decine di invitati colpiti dagli stessi sintomi seguono gli sposi in ospedale. Qui finisce la storia di un matrimonio poco allegro e comincia la ricerca dei motivi che hanno rovinato la festa. Le autorità sanitarie, intervenute il giorno dopo, focalizzano l’attenzione sulle vongole veraci raccolte in laguna, servite crude sul risotto. I sospetti si concretizzano attraverso l’esito delle prime analisi microbiologiche che confermano la presenza di Norovirus nelle vongole crude.
Il Norovirus
Il Norovirus è un virus enterico patogeno per l’uomo che si può accumulare in ostriche, cozze e vongole a seguito della filtrazione. Ingerito dall’uomo, dopo un periodo di incubazione di 12-48 ore provoca disturbi gastrointestinali con nausea, vomito e diarrea. In genere tutto si risolve in un intervallo che varia da 1 a 4 giorni. Il problema si riscontra maggiormente dopo avere consumato ostriche crude provenienti dalla Francia (il paese che non certo casualmente ha segnalato al Sistema di allerta europeo Rasff 8 dei 10 focolai di Norovirus registrati nel primo trimestre del 2022). Va però precisato che la Francia produce ogni anno circa 80mila tonnellate di ostriche, mentre l’Italia solo qualche centinaio.
I rischi dei frutti di mare crudi
Interrogato dagli inquirenti il cuoco descrive il suo fornitore di frutti di mare come una persona di fiducia, che non ha mai avuto incidenti e, comunque, sulle etichette non c’è scritto ‘da consumarsi previa cottura’. Eppure gli addetti ai lavori sanno che, su alcune etichette che affiancano la cassetta di ostriche o la rete delle vongole, compare sempre di più spesso l’invito a consumare i frutti di mare cotti. Si tratta di un modo che mette al riparo i fornitori da cattive sorprese come quelle del banchetto di matrimonio sul lago.
“Sarebbe necessario formare ed informare cuochi e consumatori e, soprattutto, responsabilizzarli rendendoli più consapevoli sui potenziali pericoli da consumo di molluschi bivalvi crudi così come si è fatto per quello dei prodotti ittici crudi per il parassita Anisakis”, precisa Valentina Tepedino, medico veterinario referente per il settore ittico dell’Associazione donne medico veterinario. “Oggi, per la prevenzione dell’Anisakis, quasi tutti hanno capito che determinati prodotti ittici devono essere abbattuti prima di essere consumati crudi – continua la veterinaria – allo stesso modo, molte persone dovrebbero sapere che i molluschi crudi e non cotti possono essere portatori di Norovirus (e non solo) nonostante i numerosi controlli a campione effettuati a livello pubblico e privato. Questo non significa che il sistema di sorveglianza funzioni male, ma solo che non è possibile, secondo me, gestire diversamente il rischio Norovirus, almeno al momento “.
La situazione ambientale
“Attualmente in Italia – spiega Giuseppe Arcangeli dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie – le aree dove si allevano vongole, cozze e anche ostriche (sono poche le zone in Italia dedicate all’osrticoltura) vengono classificate in base a una survey preliminare. La supervisione del luogo permette di valutare la presenza di scarichi civili e/o e industriali che insistono sull’area di allevamento, la vicinanza di un porto o altre situazioni che potrebbero inquinare le acque. A questo punto dopo sei mesi di prove le aree vengono classificate in zona A o in zona B. Nella prima la presenza di Escherichia coli (batterio di origine fecale utilizzato come marker specifico di riferimento anche per tutti gli altri patogeni fecali), non deve superare i 230 mpn/100 g, mentre nell’area di tipo B si può arrivare sino a 4600 mpn/100 g. Nel primo caso i molluschi subito dopo la raccolta possono essere confezionati ed etichettati e partire per le pescherie. Nel secondo caso i bivalvi vengono avviati ai centri di depurazione per essere depurati attraverso permanenza in acqua per 12-24 ore. Per il Norovirus, come per altri patogeni fecali, fa fede il valore di Escherichia coli, che ad oggi è l’unica garanzia di salubrità dei bivalvi in commercio”.
Come ridurre i rischi?
È quindi molto importante conoscere l’origine del prodotto, sapere che proviene da aree classificate tenute sotto il continuo controllo delle autorità sanitarie. La tracciabilità, come per tutti gli alimenti, anche per i bivalvi è la vera garanzia di salubrità. Inoltre una verifica importante che il consumatore deve fare al momento dell’acquisto è che il bivalve sia vivo e vitale. Ci sono molluschicoltori che si spingono a scrivere in etichetta: ‘da consumarsi previa cottura’, una garanzia ulteriore, che però non è un obbligo di legge. La dicitura dovrebbe garantire da pericoli biologici insorti dopo la fase di raccolta in acqua, contaminazioni secondarie che possono dipendere da altri attori della catena distributiva.
È in corso la preparazione una norma presso il legislatore europeo per aggiungere al parametro dei controlli ufficiali oltre all’Escherichia coli anche il Norovirus, per avere garanzie ulteriori di salubrità del prodotto visto che finora non è oggetto di monitoraggio sistematico. In effetti nel periodo temporale tra un controllo e l’altro, pari ad un mese nell’allevamento possono succedere degli imprevisti. Se accade un evento alluvionale importante, il molluschicoltore stesso dovrebbe sospendere la raccolta per garantire l’assenza di contaminanti fecali, ed i più virtuosi lo fanno. Infatti oltre ai normali controlli ufficiali, vengono commissionate dai molluschicoltori prove microbiologiche supplementari a garanzia di salubrità dei bivalvi raccolti.
Perché i frutti di mare sono così rischiosi?
I molluschi bivalvi sono animali filtratori, si nutrono di particelle sospese nell’acqua concentrandole nei tessuti e negli apparati. Per questo motivo possono accumulare agenti patogeni come Nororvoirus, Virus dell’epatite A, Escherichia coli, Vibrio parahaemolyticus e Salmonella tali da costituire un rischio alimentare per l’uomo se le acque in cui vivono sono contaminate, come accade in prossimità della foce dei fiumi, o in seguito ad eventi meteo avversi per effetto dell’azione delle correnti marine anche in zone considerate altrimenti sicure. Per questo motivo – continua De Stefani – in Francia, secondo un vecchio adagio, si dice che è meglio non mangiare ostriche se nei giorni precedenti c’è stato un temporale a Parigi. Chi non vuole rinunciare al piacere di consumare questi frutti di mare deve pertanto acquistarli in pescherie, supermercati e mercati ittici, regolarmente registrati e sotto il controllo dell’autorità sanitaria competente, oppure gustarli in ristoranti in cui si sia certi che lo chef possiede una buona cultura della sicurezza alimentare (e non abbia “tante stelle per la testa”)”.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
E’ notorio che in esercizio pubblico non si possono servire molluschi crudi. Se il ristoratore lo ha fatto, sono cavoli suoi, non credo ci sia alcuna assicurazione che copra un atto simile.
Io ho sempre lavorato nel settore ittico per quasi 12 anni e i molluschi li ho sempre cotti. Con il pesce crudo non si scherza.
Il grossista/distributore non credo abbia trattato solo quelle poche vongole, se in altri casi nessuno ha avuto problemi basta fare due più due…
Mangiare a crudo ciò che cotto è più sicuro è una scelta furbissima