Il tema della plastica monouso è ormai oggetto di forte discussione. Proprio in questi giorni il ministero dell’Ambiente sta cercando di definire le basi per avviare una strategia green che consenta al Paese di arginare il problema della plastica allineandosi a decisioni già prese in altre nazioni europee.
Ma le pressioni, provenienti da più parti, sono fortissime: diverse associazioni di categoria come quella dei riciclatori (Assorimap), dell’industria dei trasformatori delle materie plastiche (Unionplast) e della grande distribuzione (Federdistribuzione) chiedono un maggiore coinvolgimento, lasciando intendere che interventi troppo bruschi o non calibrati potrebbero avere gravi impatti economici ed occupazionali. Anche Confindustria ha espresso “forte contrarietà” in merito a un’eventuale tassa sugli imballaggi in plastica che il Governo vuole introdurre.
Tuttavia la consapevolezza della crisi ambientale dovuta alla plastica è cresciuta tra i consumatori. Recenti sondaggi mostrano che, all’interno dell’Unione Europea, il 92% dei cittadini approva le azioni per ridurre prodotti in plastica monouso, l’87% è preoccupato per l’impatto di questo materiale sull’ambiente e il 74% teme riscontri negativi per la salute.
Tra l’altro, l’Europa è una delle regioni a più alto consumo di materie plastiche, il 40% delle quali viene utilizzato per gli imballaggi e meno del 30% viene riciclato.
La Commissione europea nel gennaio 2018 ha avviato la propria battaglia lanciando la “Strategia per la plastica nell’economia circolare”, per ridurre l’inquinamento da plastica monouso. Nel giugno 2019 la direttiva UE sulla “Riduzione dell’impatto di determinati prodotti di plastica sull’ambiente” (Sup) ha delineato le misure politiche che i paesi dell’UE dovranno adottare per il problema degli “articoli in plastica monouso trovati sulle spiagge”.
La Direttiva invita ad incentivare un’economia associata a prodotti riutilizzabili e a sistemi che ne stimolino l’utilizzo. Il riuso è una delle soluzioni più efficienti per affrontare il problema dell’usa e getta. Si stima che i vantaggi del riuso superano di gran lunga quelli provenienti da un alleggerimento degli imballaggi e dall’aumento dei tassi di riciclaggio o dalla semplice sostituzione con materiali a base bio.
Un recente rapporto, pubblicato dal movimento Break free from plastic Europe e l’alleanza con Ong europee Rethink Plastic, mostra come sia effettivamente possibile abbandonare la plastica monouso e passare a materiali riutilizzabili. Lo studio si concentra, in particolare, su cinque tipi di articoli monouso coinvolti nella direttiva Sup, oggi ampiamente utilizzati nella vendita al dettaglio di alimenti e bevande, mostrando alcuni progetti sul riuso, avviati in diversi Stati europei che stanno funzionando.
Le tazze monouso realizzate in polistirene espanso (Eps) sono bandite dalla Direttiva Sup dal luglio 2021. Entro la stessa data le tazze monouso per bevande dovranno essere marchiate indicando la presenza di plastica, la modalità di gestione quando diventa rifiuto e il potenziale impatto ambientale negativo in caso di smaltimento inappropriato. Gli Stati Membri devono inoltre sostenere la riduzione del consumo entro il 2026. Oggi si trovano generalmente in commercio bicchieri per caffè o bibite calde più o meno grandi e altri contenitori realizzati in plastica (polistirene o polipropilene) o cartone, foderati internamente con polimeri.
Nei negozi si trovano anche alternative realizzate in bioplastica (in Pla per esempio) che per la direttiva Sup non vanno bene. Il principio su cui si fonda la norma è che un polimero modificato chimicamente, anche derivante totalmente o parzialmente da fonti rinnovabili, deve essere ritenuto un materiale vietato. Il costo di uno di questi contenitori monouso in carta accoppiata da 300 ml è di circa 5 centesimi di euro, mentre il corrispondente prodotto realizzato in polistirene ne costa all’incirca 2.
Un bicchiere dello stesso tipo in polipropilene (Pp) costa 3 centesimi di euro e il prezzo lievita fino a 7 centesimi nel caso di prodotti in Pet o in Pla.
Per capire le dimensioni del problema basta dire che in Germania si usano 2,8 miliardi di tazze da caffè monouso all’anno, mentre nel Regno Unito si arriva a 3 miliardi. Meno dell’1% di queste tazze viene riciclato per le difficoltà di separare il rivestimento in plastica dalla carta. Secondo un recente studio di Lca, la produzione e lo smaltimento di 1000 tazze di caffè monouso, dotate di coperchio, ha un impatto equivalente alle emissioni rilasciate da un’auto di media cilindrata per percorrere 350 km. Considerando una tazza la percorrenza è 350 metri (63 KgCO2e). I medesimi articoli riutilizzabili, sono prodotti usando plastiche come il polipropilene, oppure acciaio, vetro o porcellana. Per i coperchi invece vengono usati materiali come il silicone o la plastica.
Il costo varia in relazione al materiale e al volume del recipiente ma mediamente oscilla intorno ai 13 euro. Esistono anche soluzioni come le tazze in polistirene, lavabili fino a 100 volte, che costano circa 0,30 € o in policarbonato (500 cicli di lavaggio) 0,65 €. Il modello di business oggi considerato più vantaggioso è l’impiego di articoli monouso, anche se politiche a favore di tazze riutilizzabili possono invertire la rotta. In Svizzera e Germania per esempio è stato avviato il sistema Drs (dalla sigla inglese deposit-refund system) basato su un deposito su cauzione denominato “ReCup”. In Germania 3.000 distributori di bevande, localizzati in 450 città, utilizzano questo sistema. I cittadini pagano un deposito di € 1 a tazza, rimborsabile quando viene restituito. Mezzo milione di queste tazze sono in circolazione e ognuna può essere riutilizzata fino e 500 volte.
Anche i contenitori per alimenti monouso a forma di vaschetta (per esempio ) in polistirene espanso o polipropilene saranno banditi a partire da luglio 2021. Il coperchio è in Pvc, polietilene oppure in carta abbinata a strati di alluminio e plastica, soprattutto quando i contenitori da asporto sono in alluminio. Il costo di una vaschetta in polipropilene da 700 ml è di circa 20 centesimi, ma si può arrivare a 80 in relazione al materiale.
L’Italia, assieme a Regno Unito, Germania, Francia e Spagna è nella lista dei 13 paesi al mondo che consumano il numero maggiore di pasti da asporto. Il 50% delle vaschette in polistirene espanso viene incenerito, mentre la quasi totalità della quota restante finisce in discarica. I contenitori riutilizzabili vengono ottenuti plastiche adatte a resistere a più cicli come il Pbt (polibutilene tereftalato), oppure si usano quelle in vetro o acciaio inossidabile.
Un’interessante iniziativa adottata in Svizzera si chiama “Recircle”, prevede il pagamento da parte dei clienti di bar, locali e ristoranti di un deposito di 10 franchi, che viene restituito al termine del pasto consegnando il contenitore a uno degli 800 locali aderenti all’iniziativa. L’alternativa è avere un contenitore pulito da usare per il pasto successivo. Le vaschette attualmente in circolazione sono 70.000.
Bottiglie e tappi sono gli oggetti più comunemente rinvenuti sulle spiagge. Il problema tocca da vicino l’Italia. A livello europeo il consumo annuale di bottiglie monouso per bevande è di 46 miliardi. L’Italia si aggiudica la vetta della classifica essendo il primo paese al mondo per quanto riguarda il consumo di bottiglie di acqua minerale. Con 13,5 miliardi di litri, pari a 224 litri a testa (a cui si sommano 1,5 miliardi di litri esportati), il parco di bottiglie in plastica è di circa 11 miliardi di pezzi, che nel 80-90% dei casi finiscono nei termovalorizzatori, negli impianti di incenerimento, in discarica e in parte vengono dispersi nell’ambiente.
La Direttiva Sup prevede che entro il 2024 le bottiglie siano dotate di un dispositivo in modo che i tappi dopo l’utilizzo rimangono attaccati e che siano ottenute con almeno il 25% da plastica riciclata, entro il 2025, per arrivare al 30% nel 2030. Contro questa decisione le multinazionali del settore (Coca-Cola, Danone, Nestlé e PepsiCo) hanno chiesto un ripensamento per via dei costi che sarebbero superiori ai benefici.
Sulla raccolta differenziata l’Ue ha deciso che entro il 2025 dovrà essere recuperato almeno il 77% (in peso) delle bottiglie che dovrà arrivare al 90% entro il 2029. Il costo di una bottiglia in Pet monouso da 500 ml è variabile, ma mediamente oscilla intorno ai 4 centesimi di euro. Un prezzo decisamente più basso rispetto al vetro che invece arriva a 50 centesimi. Le soluzioni riutilizzabili possono prevedere anche l’uso di Pet, in un formato più resistente rispetto alle monouso. Un progetto interessante è attivo in Germania dove ogni bottiglia di plastica e vetro ha un sovrapprezzo che si può riscuotere alla riconsegna del vuoto (pfand). Per le bottiglie che non possono essere riciclate (riconoscibili da un logo sulla confezione) il deposito è di 0,25 €, per quelle di birra da 30 o 50 cc è di 8 o 15 centesimi a seconda del tipo di vetro, per quelle di plastica rigida è di 15 centesimi. Tutti gli esercizi che vendono le bibite devono accettare i vuoti e catalogarli come “pfand” anche se la bottiglia non è stata acquistata nel punto vendita. Oltre alle macchine automatizzate per il recupero ci sono persone indigenti (Pfandsammler) che raccolgono quelle abbandonate nei cestini o per strade per garantirsi i soldi del reso. Il sistema funziona e permette di ripulire la città senza spese per i comuni, anticipando e velocizzando il lavoro dei netturbini.
Le bottiglie di vetro vengono pulite e riempite fino a 50 volte, quelle in plastica resistente 25 e secondo le statistiche il tasso di riconsegna dei contenitori, grazie a questo sistema, è del 99%. Un confronto fatto in Germania ci mostra tra l’altro che l’impatto ambientale delle bottiglie riutilizzabili (calcolato sulla base dell’impronta di carbonio) è inferiore rispetto a quello associato ai medesimi prodotti in plastica monouso:
➔ 68,7 kgCO2e/1000litri per contenitore in Pet riutilizzabile
➔ 85 kgCO2e/1000litri per contenitore in vetro riutilizzabile
➔ 139 kgCO2e/1000litri per contenitore in Pet monouso
Il sistema può essere esportato anche in altri Paesi europei.
La direttiva europea colloca le posate e i piatti al settimo posto tra gli oggetti monouso più spesso presenti sulle spiagge e forse per questo motivo l’associazione per la difesa degli oceani “Ocean Conservancy” le considera il rifiuto di plastica monouso più letale per la vita di uccelli marini, mammiferi e tartarughe. Dal mese di luglio 2021 questi oggetti non potranno essere commercializzati, e questo ha destato qualche perplessità essendo l’Italia tra primi produttori in Europa, con una quota di export del 30%.
Le posate in polistirene hanno un prezzo intorno ai 0,15 euro (0,45 per un set costituito da coltello, forchetta e cucchiaio), ben inferiore al costo di quelle riutilizzabili, in acciaio o in bamboo, che può aggirarsi intorno ai 5/10 euro. I piatti monouso sono in genere realizzati in polistirene o in carta abbinata a un polimero e costano circa 5 centesimi. In commercio si trovano molte alternative monouso, realizzate con materiali compostabili. Il brevissimo ciclo di vita di questi oggetti non giustifica il dispendio di risorse necessario per produrle. Nel Regno Unito (LessMess) e in Germania (ReCircle) ci sono sistemi basati sul pagamento di una cauzione da versare quando si compra il pasto che viene restituita alla consegna. In caso di eventi all’aperto o festival un certo numero di stoviglie riutilizzabili vengono messe a disposizione di tutti i locali e dei venditori ambulanti. La fase successiva è la creazione di un unico punto di riconsegna, in cui i piatti vengono lavati ed igienizzati per essere reimmessi nel circuito di vendita.
I vari progetti in corso evidenziano che il successo è correlato al numero di riutilizzi del contenitore. A questo punto entra in gioco la disponibilità del consumatore ad accettare di consumare un pasto in un piatto che può risultare leggermente usurato (non in maniera tale da inficiare le caratteristiche organolettiche dell’alimento). Oltre a ciò bisogna considerare la capacità delle aziende di realizzare articoli adatti al riuso, utilizzando materiali durevoli e facilmente lavabili. Allo stesso tempo bisogna progettare sistemi di lavaggio, di trasporto e di deposito in grado di garantire la sicurezza in ogni fase del ciclo di riutilizzo. Nel calcolo dell’impatto ambientale bisogna considerare l’incremento delle risorse idriche, elettriche o di altro tipo, necessarie per il lavaggio e per il trasporto dei contenitori, impatto che potrebbe essere ridotto mediante l’impiego di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili e l’uso di veicoli elettrici).
Ultimo aspetto non secondario riguarda la necessità di dare incentivi economici per sostenere il passaggio ai contenitori riutilizzabili, attraverso la tassazione degli articoli monouso e sgravi fiscali a favore delle alternative, sostenendo così l’innovazione e i cambiamenti comportamentali dei consumatori.
Eps: Polistirene espanso
Pp: Polipropilene
Pet: Polietilene Tereftalato
Pmma: Polimetilmetacrilato
Ps: Polistirene
Pvc: Polivinilcloruro
Hdpe: Polietilene ad alta densità
Pbt: Polibutilentereftalato
Leggi il rapporto originale qui.
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Esperto di Food Contact –
Linkedin: Foltran Luca –
Twitter: @foltranluca
Nelle 16 righe che precedono la tabella sta concentrata la speranza di una soluzione abbastanza buona anche se parziale del problema ormai sviscerato in mille salse , compresa anche nel vostro articolo che denuncia la presenza di plastica in animali come i gamberi e gli scampi dalla Sardegna , nello stomaco di tutto il pesce pescato , nelle tartarughe , nei grossi pesci spiaggiati di tutto il mondo.
Le aziende produttrici di certa plastica e loro sponsor non posso pensare che questi fenomeni siano solo spettacolo e propaganda di chi gli vuol portare via il business , è una questione sostanziale per l’umanità intera , siamo in ritardo di decenni nelle analisi scientifiche sui danni che la plastica induce quando viene introdotta nel metabolismo degli organismi animali, cioè non sappiamo quanta ne serve nei corpi per indurre malattie e morte. Ma ……la plastica non è sostanza commestibile e trovandosi ovunque noi ne mangiamo tanta, non si puo’ più negare.
Anche se domattina diventassimo tutti virtuosi differenziatori e non venisse buttato più nulla nell’ambiente , pensate voi quanto è credibile questa ipotesi , avremmo comunque sostanza difficile da estrarre confezionata con aggiunte di altre sostanze di sospetta salubrità , trasportata , etichettata per un brevissimo uso e poi destinata a bruciare , il carburante del futuro. Sono il solo ad avvertire in questa conclusione una insopportabile presa in giro?
La sostanza riutilizzabile costerà probabilmente sempre di più di quella non riutilizzabile , certo a questi costi va aggiunta la gestione delle operazioni che ne rendono possibile il riutilizzo, ritiro ,ritiro pulizia ecc., ma vale la pena organizzare le cose , quando vogliamo certe cose riusciamo a farle , siano necessari incentivi , tasse , bastoni , carote e/o altro.
Mi riesce difficile spesso capire se sono le regole UE ad essere inapplicabili perchè fumose o se non vogliamo seguirle per filosofia di vita fatto sta che se si stabilisse di vietare una cosa tra 100 anni sono sicuro che un minuto prima della scadenza saremmo li a chiedere una proroga.
si parla tanto dei problemi generati dall’eliminazione in toto della plastica per uso alimentare ,
ma quante e quali sono le ditte del settore? Io dico poche , per cui un governo fatto da persone
serie.
Un Governo serio si comporta come un buon padre di famiglia e immediatamente correrebbe
ai ripari senza se ne ma…