Per intervenire sugli acquedotti e risolvere il problema dell’inquinamento da sostanze perfluoro-alchiliche (Pfas) in provincia di: Vicenza, Verona e Rovigo, servono almeno 180 milioni. Per ora ne arriveranno 80, deliberati dal Cipe il 1° dicembre, per gli interventi ambientali sul bacino Fratta-Gorzone. Ne mancano ancora almeno 100, secondo la stima fatta dai tre Consigli di Bacino – Bacchiglione, Valle del Chiampo e Veronese – che regolano il servizio idrico integrato nelle aree interessate dall’inquinamento da Pfas. La soluzione prospettata dai tre organismi è di sostituire le fonti e interconnettere gli acquedotti.
Nelle tre province venete l’inquinamento da Pfas ( una sostanza tossica classificata nel gruppo degli interferenti endocrini), è stato scoperto nel 2013, grazie a uno studio del Cnr, e si è esteso progressivamente dall’acqua potabile alla catena alimentare. Un bio-monitoraggio condotto dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con la Regione Veneto ha stimato che 250.000 persone abbiano utilizzato per anni acqua inquinata da Pfas e che 60.000 siano interessate per via di un livello maggiore di contaminazione. Intanto Greenpeace ha presentato un rapporto che evidenzia altri tre casi analoghi negli Stati Uniti, in Olanda e in Cina. L’associazione ecologista ricorda che i PFC, di cui fanno parte i Pfas, «sono sostanze che non esistono in natura. Una volta rilasciate nell’ambiente si degradano lentamente, rendendo la contaminazione quasi irreversibile, ed entrano nella catena alimentare. Proprio per questo, più di 200 scienziati di 38 Paesi hanno firmato la Dichiarazione di Madrid che chiede l’eliminazione dei PFC da tutti i beni di consumo».
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Giacché queste sostanze non esistono in natura, qualcuno deve averle prodotte chimicamente.
Se la contaminazione da Pfas è limitata alle province di Vicenza, Verona e Rovigo in Veneto, evidentemente la fonte di questo inquinamento si trova in quella zona. Trattandosi di sostanze chiave nel trattamento idrorepellente ed antimacchia dei tessuti, l’inquinante deve provenire senz’altro da una o più fabbriche tessili e/o chimiche di quelle province.
Possibile mai che non è stato individuato alcun colpevole?
E aggiungo: non si potrebbero tassare gli indumenti sottoposti a questi trattamenti (come già in alcuni paesi si tassano, ad esempio, le bevande zuccherate, perché legate inequivocabilmente alla comparsa di determinate patologie, che sono poi causa di elevati costi sociali e spese sanitarie a carico di tutti i cittadini) per recuperare e ammortizzare le spese necessarie per gli interventi di risanamento ambientale?
Se non si trovano i colpevoli ai quali chiedere i danni (cosa per me incredibile), che almeno i responsabili indiretti – ovvero coloro che producono quegli abiti e li comperano – partecipino delle spese (e non sempre i soliti cittadini incolpevoli, con le loro tasse).