Tra i molti effetti negativi associati alle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) ci sono le alterazioni degli equilibri ormonali. Di conseguenza, queste molecole interferiscono con la fertilità. Ma in che modo lo sviluppo sessuale è modificato dall’esposizione agli Pfas? Per rispondere a questa domanda, i ricercatori dell’Università di Cincinnati hanno condotto uno studio durato diversi anni, i cui risultati sono appena stati pubblicati su Environmental Health Perspectives.
Per la ricerca sono state reclutate 823 bambine di età compresa tra i sei e gli otto anni, 379 delle quali nate e cresciute nell’area di Cincinnati e 444 nella zona della Bay Area di San Francisco. Le due regioni differiscono sensibilmente per quanto riguarda la contaminazione da Pfas nelle acque e nell’ambiente in generale. La prima, infatti, intesa come area dell’intera Greater Cincinnati (area metropolitana che si estende su tre stati, Ohio, Kentucky e Indiana), si affaccia sul fiume Ohio che è stato per anni il corso d’acqua dove il colosso della chimica DuPont, con sede a Parkersburg, in West Virginia, ha sversato le acque reflue della lavorazione degli Pfas. Inoltre, nella zona sono presenti alcuni luoghi dove si svolgono regolarmente le esercitazioni antincendio, durante le quali si utilizzano schiume che contengono elevate quantità di Pfas. Il risultato è che, nonostante alcuni provvedimenti correttivi, da molti anni la zona è una delle più problematiche degli Stati Uniti, per quanto riguarda la presenza di queste sostanze estremamente persistenti, che non a caso sono chiamate perenni. La zona della Bay Area, che comprende la Silicon Valley, ospita invece molte aziende produttrici di semiconduttori che usano Pfas nelle loro lavorazioni. Per tali motivi sono state scelte bambine nate nelle due zone, in età prepuberale, che sono state poi seguite con dosaggi ormonali ogni sei mesi, volti a seguire lo sviluppo, così come attraverso la misurazione dei caratteri antropometrici e sessuali secondari come la comparsa del seno o dei peli pubici e ascellari.
Il primo dato ha confermato quanto gli Pfas siano ormai ovunque, perché l’85% delle bambine di entrambe le coorti aveva concentrazioni misurabili di queste sostanze nell’organismo. Di queste, il 99% aveva tracce più o meno rilevanti di Pfoa (acido perfluoroottanoico), forse il più diffuso tra gli Pfas, vietato o limitato dal 2019. Ma andando più nel dettaglio, è emerso che le bambine con le concentrazioni maggiori di Pfas avevano livelli ormonali più bassi delle altre e arrivavano al pieno sviluppo, cioè alla prima mestruazione, mediamente 5-6 mesi dopo le altre. Secondo Susan Pinney, prima autrice e tossicologa, questi dati ne confermano diversi altri pubblicati negli ultimi anni, che vanno a consolidare un quadro molto negativo. La pericolosità degli Pfas– commenta – è nota fino dagli anni Ottanta, eppure non si riescono a prendere provvedimenti che abbiano un impatto reale, e non si rispetta il principio di precauzione, neppure per ciò che riguarda la salute delle bambine.
Qualcosa, comunque, si sta muovendo, come ha ricordato Nature in un lungo articolo pubblicato in agosto, che prende spunto dalla discussione avviata dalla Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) nello scorso mese di febbraio, che aveva come oggetto il possibile bando. Su suggerimento di cinque Paesi (Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia) infatti, l’agenzia sta valutando pesanti restrizioni di utilizzo per ben 12mila composti della categoria che, secondo i proponenti, solo in Europa sono rilasciati ogni anno nell’ambiente in quantità dell’ordine delle migliaia di tonnellate. Non ci saranno decisioni a breve termine, anche a causa delle elezioni europee: secondo le stime, le prime proposte potrebbero arrivare nel 2025, e anche qualora dovessero essere approvate, prevederanno comunque anni, se non decenni, di adeguamento dei processi industriali. Ma il fatto che se ne discuta è considerato comunque un passo in avanti, verso la direzione di un utilizzo minimo, e solo qualora non vi sia alcun tipo di alternativa.
Che il sentimento stia cambiando, del resto, lo si vede anche dalle aziende: sarebbero già più di cento, tra le quali colossi come Apple e 3M ad aver rinunciato spontaneamente agli Pfas. Per quanto riguarda quest’ultima, l’abbandono, giunto dopo che l’azienda ha dovuto sborsare decine di milioni di dollari a varie comunità locali degli Stati Uniti per la depurazione delle acque da lei inquinate per decenni, è iniziato nel 2002 con le schiume antincendio, mentre da quest’anno si estende a tutti i suoi prodotti: sarà completato nel 2025.
Il primo aspetto da tenere presente, comunque, è il fatto che tra gli Pfas rientrano molecole diversissime, da alcuni farmaci (tra i quali, per esempio, l’antidepressivo Prozac) a sostanze estremamente tossiche, perché i comportamenti chimici dei vari membri della famiglia possono essere molto diversi. È quindi indispensabile analizzarne il maggior numero possibile, prima di esprimersi, e distinguere.
In generale, esistono tre diverse forme di Pfas, la più pericolosa delle quali è quella dei fluorosurfattanti, cioè delle molecole che si comportano come saponi. Alcune di esse sono già state vietate o limitate, come l’acido perfluoroottansolfonico (Pfos), vietato nel 2009, il già citato Pfos delle ragazze di Cincinnati e della Bay Area e, da ultimo l’acido perfluoroesansolfonico (Pfhxs). Poi ci sono i fluoropolimeri come il Teflon, diffusissimi per le loro proprietà impermeabilizzanti e antiaderenti. La terza famiglia è quella degli Pfas a catena corta (fluorocarburi), liquidi o gassosi, usati come gas refrigeranti e in alcuni dispositivi medici come certi spray. Molte di queste sostanze non sono tossiche di per sé, ma lo diventano quando entrano a contatto con altri composti nell’ambiente, nelle acque e nel corpo umano, e quando si degradano. Purtroppo, però, sono ancora centrali in numerose lavorazioni, comprese quelle delle auto, sia a motore termico che elettriche, dei chip o dell’energia a idrogeno: sarà quindi molto complicato liberarsene.
Secondo alcuni, però, la presenza degli Pfas avrebbe bloccato per anni la ricerca di alternative e il fatto che le agenzie pubbliche europee e nordamericane non abbiano mai sostenuto la ricerca in modo deciso ha fatto il resto. Per questo l’iniziativa dell’Echa è comunque positiva. L’agenzia ha raccolto indicazioni e suggerimenti sulla sua bozza fino alla fine di settembre e ora ha iniziato il lavoro di revisione, che dovrebbe portare, entro qualche mese, alle prime stesure della proposta di bando.
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Giornalista scientifica
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———Divieto del PTFE: i costi nascosti per il consumo e la perdita di posti di lavoro
La proposta di restrizione PFAS all’esame delle autorità europee metterebbe a repentaglio le industrie di punta dell’UE, comprese le pentole, e priverebbe i consumatori di prodotti sicuri e durevoli.———-
Esiste un interesse superiore?
La posta in palio è questa e il metodo vale per tutte le sostanze più importanti, domandiamoci sempre chi c’è dietro le quinte.
Da spettatori paganti è inutile fare spallucce fischiettando, guardando da altra parte infervorandosi per sciocchezze e interpretazioni evanescenti, tutto chiaro alla luce del sole, e per nostra sfortuna o incapacità di comunicare è sempre stato così, bugie, miraggi, cavilli e azzeccagarbugli vecchi e nuovi.
Come diceva Pirandello “così è se vi pare” ma anche se non pare perchè non ci sono più nascondigli o isole felici salvo un cambio di paradigma lungo e faticoso, una utopia necessaria.