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Greenpeace ha pubblicato i risultati delle analisi effettuate sulle acque di scuole e fontane pubbliche del Veneto

Secondo Greenpeace, il numero totale di cittadini veneti potenzialmente esposti alla contaminazione da Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) attraverso l’acqua potabile è superiore agli 800 mila abitanti, mentre secondo la Regione l’inquinamento coinvolge circa 350 mila abitanti. I Pfas sono riconosciuti come interferenti endocrini correlati a patologie riguardanti pelle, polmoni e reni.

L’associazione ha presentato a Padova il rapporto Non ce la beviamo, che contiene i risultati delle analisi fatte fare su campioni di acqua potabile raccolti lo scorso mese in 18 scuole primarie e sette fontane pubbliche nelle province di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo. I risultati, afferma Greenpeace, hanno evidenziato, seppur in concentrazioni diverse, la presenza di Pfas in tutti i campioni analizzati, incluse Padova, Verona, Vicenza e alcuni comuni della Provincia di Rovigo, oltre ai comuni della zona rossa per i quali la contaminazione è già nota. In più della metà dei campioni sono stati superati i valori di Pfas ritenuti sicuri per la salute in Svezia e Stati Uniti e nel campione di acqua prelevato presso una scuola di San Giovanni Lupatoto, un comune non incluso nella zona a maggiore contaminazione, è stato superato, seppur di poco, il livello di Pfos (acido perfluorottansulfonato) consentito nell’acqua potabile in Veneto.

“Un approccio per nulla scientifico, ammantato di propaganda, buono solo per procurare allarmi del tutto ingiustificati”, ha commentato l’assessore alla Sanità della Regione Veneto, Luca Coletto. Contemporaneamente alla presentazione del dossier di Greenpeace, il Consiglio regionale del Veneto ha approvato all’unanimità la proposta che istituisce la Commissione d’Inchiesta sull’inquinamento da Pfas delle acque della regione.

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ezio
ezio
23 Maggio 2017 13:47

Trattandosi di un inquinamento di sostanze tossiche, possibilmente/probabilmente dannose per la salute ed in atto da parecchio tempo, prima che la Commissione d’Inchiesta arrivi ad una determinazione del problema ed assuma provvedimenti conseguenti, non sarebbe logico, responsabile ed obbligatorio prescrivere e raccomandare un uso più sicuro e magari non potabile dell’acqua sotto inchiesta?
Del senno di poi… e delle decisioni prese in colposo ritardo chi ne risponderà oltre all’azienda sospettata di aver causato il problema, forse l’Assessore alla Sanità Regionale? Oppure nessuno perché il problema sarà piovuto dal cielo?
Attendiamo le risposte che arriveranno, forse, ma con molta calma istituzionale.