Pasta Barilla: il grano proviene da Italia, Francia, Stati Uniti e Australia. L’origine è sulle nuove etichette. Ma le informazioni precise sono sul sito e negli spot
Pasta Barilla: il grano proviene da Italia, Francia, Stati Uniti e Australia. L’origine è sulle nuove etichette. Ma le informazioni precise sono sul sito e negli spot
Roberto La Pira 12 Febbraio 2018Le confezioni della pasta Barilla con nuova etichetta sono apparse in alcuni supermercati ma pochissimi consumatori se ne sono accorti, anche perché le altre marche possono aspettare fino al 16 febbraio per adeguarsi e inserire le nuove informazioni. La novità è una dicitura posizionata dopo l’elenco degli ingredienti (vedi foto in alto), che occupa meno di due righe, e recita così: “Paese di coltivazione del grano: Italia e altri Paesi Ue e non UE”.
Questa frase ha creato una grossa polemica tra i pastifici e il Governo che, con il sostegno di Coldiretti, ha voluto a tutti i costi obbligare le aziende a indicare l’origine della materia prima in etichetta, per aiutare i consumatori a distinguere il vero “made in Italy” e a sapere da dove arriva il grano. In verità si tratta di un’informazione che interessa poco la maggioranza delle persone, e che non soddisfa la curiosità degli osservatori più attenti, desiderosi di conoscere con precisione i paesi di origine del grano. Le persone che vogliono comprare pasta italiana lo fanno già tutti i giorni senza problemi, visto che in commercio esistono oltre 50 marchi che scrivono a caratteri cubitali sull’etichetta “100% grano italiano”. Quando sulla confezione non c’è la scritta, vuol dire che il grano nazionale è miscelato con materia prima di pregio proveniente da: Canada, Francia, Australia, USA… Dalla metà di febbraio 2018 la nuova dicitura prevista dalla legge non dirà nulla di più “Paese e coltivazione del grano: Italia e altri Paesi Ue e non UE”.
Alcuni pastifici hanno deciso (forse tardi) di comunicare ai consumatori attraverso spot e messaggi promozionali che la migliore pasta italiana da sempre viene preparata anche con grano importato, respingendo così la campagna di Coldiretti che tende a colpevolizzare senza uno straccio di prova grano proveniente dall’estero. Le grandi aziende hanno sempre voluto nascondere ai consumatori questo aspetto, dimostrando una certa miopia e un comportamento a volte contraddittorio. Barilla che da anni evidenzia con caratteri cubitali sulla confezione l’origine italiana della pasta Voiello (di sua proprietà), ha sempre “dimenticato” di fare la stessa cosa per i famosi “Spaghetti numero 5”, per paura di perdere quote di mercato.
Tutto ciò risulta abbastanza strano, visto che nel Rapporto annuale di sostenibilità l’azienda di Parma dichiara di importare il 20-25% del grano dall’estero. Barilla da qualche mese, probabilmente sollecitata dalla nuova legge, ha cambiato idea e non solo annuncia sul sito l’origine transnazionale della materia prima, ma lo dice anche negli spot e persino sulla pagina Facebook, dimostrando una versatilità impensabile sino a un anno fa. L’azienda di Parma non è però nuova a questi cambiamenti improvvisi e radicali come ha dimostrato nella vicenda dell’olio di palma quando, dopo numerose prese di posizione pubbliche pro grasso tropicale, lo ha poi sostituito rapidamente in 97 prodotti Mulino Bianco.
I pastifici italiani, oltre che riportare in etichetta la frase sull’origine prevista dalla legge, dovrebbero spiegare ai consumatori che l’uso di semola 100% italiana non è necessariamente un indice di qualità superiore. La gente deve capire che quando si tratta di prodotti DOP come formaggi, olio, mozzarella, prosciutto dove esistono disciplinari da rispettare, il discorso della materia prima italiana ha una certa importanza. Ma per la pasta l’origine del grano non è sempre un elemento distintivo, e l’uso di grano importato può comunque contribuire a creare un ottimo prodotto.
Nessuno può sostenere che uno spaghetto 100% italiano sia migliore rispetto a uno spaghetto ottenuto miscelando grano italiano, canadese o francese. Pagare il 10% in più la pasta “Made in Italy” non vuol dire comprare sicuramente un prodotto di qualità superiore! Anche Italmopa sottolinea questo aspetto quando dice che ” la qualità del frumento duro non può in alcun modo, salvo circoscritte eccezioni, essere automaticamente ricondotta al luogo di coltivazione”. La bontà dipende dalla percentuale di proteine, dalla tenacità del glutine, dal sistema di trafilatura e di essiccazione. I primi due fattori, però, sono spesso collegati all’impiego di grano di alta qualità importato dall’estero. Per questo motivo viene usato dai pastifici.
La beffa finale è che la nuova etichetta potrebbe essere superata dal Regolamento UE sull’origine degli alimenti, che dovrebbe arrivare la prossima estate. In tal caso se le diciture sono anche leggermente diverse i pastifici dovranno modificare il testo.
Leggi qui la lista degli oltre 50 marchi di pasta prodotta con “100% grano italiano”.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Per tutte le considerazioni lette nell’articolo ed per le stesse affermazioni di Barilla, dobbiamo concludere che la pasta Voiello della stessa Barilla, ha una qualità inferiore della stessa gamma a marchio Barilla, perché fatta con 100% di grano duro italiano senza arricchimenti qualitativi di grano estero?
“Nessuno può sostenere che uno spaghetto 100% italiano sia migliore rispetto a uno spaghetto ottenuto miscelando grano italiano, canadese o francese. Pagare il 10% in più la pasta “Made in Italy” non vuol dire comprare un prodotto di qualità superiore! La bontà dipende dalla percentuale di proteine, dalla tenacità del glutine, dal sistema di trafilatura e di essiccazione. I primi due fattori, però, sono spesso collegati all’impiego di grano di alta qualità importato dall’estero. Per questo motivo viene usato dai pastifici.”
Strano, perché se interpellassimo molti consumatori abituali di pasta direbbero che la Voiello è sempre stata una delle migliori paste in commercio.
Concordo pienamente sul fatto che la dicitura obbligatoria: “Paese di coltivazione del grano: Italia e altri Paesi Ue e non UE”, ci dice non più che nulla.
Quindi di cosa si lamentano i pastifici ed i mugnai formulatori delle migliori miscele al mondo di farine di grano duro?
Hanno la mano liberissima di fare tutto quello che vogliono, senza svelare praticamente nulla ai consumatori clienti, proteggendo le loro ricette ed i loro fornitori mondiali, che erano e resteranno un segreto aziendale del marchio.
Salvo che se vorranno arricchire le loro referenze con pasta 100% di grano italiano (come fatto da molti marchi), per tutte le affermazioni sbandierate sulla minore qualità del grano duro italiano verso quello importato, ammetteranno indirettamente di produrre una pasta nazionale di minor qualità.
Perché se una soluzione è migliore di un’altra, quest’altra è ovviamente peggiore della prima definita e sbandierata migliore.
Nell’articolo evidenziamo come non necessariamente una pasta itaiana sia migliore. Le migliori paste italiane sono quasi tutte ottenute con miscele di grani esteri
Nell’articolo si parla di qualità della pasta e non si parla mai di salute dei consumatori.
Come sarà il grano importato dal Canada o dall’Australia coltivato con cicli ripetuti all’infinito di diserbanti (glifosato) e trasportato per mesi nelle stive delle navi con abbondanti additivi chimici antimuffa per evitare che marcisca?
E degli interessi dei nostri contadini? Non se ne parla. La Puglia era il granaio d’Italia …
Già, ma dobbiamo far passare il messaggio che se il grano è UE o, anzi, non UE la pasta è anche meglio perché È PIÙ DURA!
Ma ci rendiamo conto … ben venga una etichettatura dettagliatissima su tutti i prodotti alimentari.
L’aria sta cambiando, gli italiani vogliono sapere cosa mangiano e vogliono scegliere cosa comprare. Lo dimostra l’esperienza della Barilla con l’olio di palma citata anche nell’articolo. Orami rimane solo nutella ad usare olio di palma ma è solo questione di tempo …
Occorrono etichette dettagliate su tutti i prodotti alimentari e poi, anche più importanti, servono i controlli assidui da parte delle autorità preposte. E giornalisti più obbiettivi.
L’Italia ha sempre importato grano duro per fare la pasta, questo va detto ai consumatori anche scrivendolo su etichette il più possibile chiare , quelle approvate sono molto lacunose purtroppo.
Giornalisti più obbbiettivi o obbbligati per decreto di neo-Teodosio a desolato e acritico megafono di beceri luoghi comuni tanto cari ai fanatici seguaci del vescovo Cirillo?
Per quel che possa servire provare ancora a insistere a esporre fatti e dati scientifici, in questo clima oscurantista da V secolo, e in memoria della sua più illustre vittima (Ipazia):
– il gliphosate è un erbicida totale e per tale motivo non può essere usato su grano in vegetazione ( lo si fa solo sulla soia OGM). Le balle invereconde di 4-5 trattamenti divulgate dalle scandalose-scandalistiche trasmissioni TV nazional-populiste rilanciate e rincarate da un web orgogliosamente ignorante sarebbero comiche fantasie prive di qualsivoglia reale itinerario di tecnica agronomica e opportunità economica
– l’uso come acceleratore di maturazione a fine ciclo non ha alcun senso logico, tecnico, economico negli ambienti caldo-aridi italiani, europei, nordafricani, turchi, kazachi, arizonici (Stati Uniti-Messico) e australiani.
– l’uso “essiccativo” (non diserbante) che se ne faceva a volte su parte del raccolto canadese (quello a semina primaverile) può anche destare perplessità ma raggiungeva una coltura a fine ciclo non in pieno turgore vegetativo (come invece per la soia) e quindi obiettivamente e analiticamente con scarsi residui sulla granella. Sicuramente inferiori alle derive di migliaia di km trattati nella rete ferroviaria e stradale e comunque ormai proibiti dalla legislazione UE cui qualsiasi merce in entrata deve sottostare.
– I cereali sono stati la chiave di volta del benessere dell’umanità e principale prodotto dell’attività agricola da millenni, oltre che per il loro strategico equilibrio fra le componenti nutrizionali, anche, e soprattutto in passato, per la loro facile CONSERVABILITA’ senza catena del freddo, del sale o di fantomatiche navi di Nosferatu (BBuBBUUU che paura!) cariche di pesticidi antimuffa che nessuna delle milioni di navi che hanno solcato il Mediterraneo Romano fino al simbolo della pasta Agnesi dello scorso secolo si sono mai sognate di spargere anche perché nemmeno sapevano cosa fosse.
– il grano pugliese, meridionale in genere, è potenzialmente ottimo ma insufficiente a rifornire la fortissima domanda dell’industria trasformatrice che esporta poi in tutto il mondo la pasta italiana con i relativi seppur infastiditi benefici per tutto il Paese.
– demolire con reiterato accanimento allarmista bufaloballistico la qualità e il prestigio dell’agroalimentare italiano è follia masochistica di cui forse siamo unici specialisti nel mondo.
– Il prezzo del grano è vergognosamente basso perché risente della tragica globalizzazione mondiale in atto, politicamente difficilmente contrastabile, salvo anacronistiche chiusure medievali e relativo tonfo dell’economia. Una delle poche possibilità concrete, non demagogico-elettorali, di remunerare meglio i nostri agricoltori è quella di puntare a prodotti di qualità superiore che fortunatamente ci viene riconosciuta internazionalmente e che possiamo giocarci avendo già filiere, trasformatori e marchi di consolidato prestigio.
-La virtuosa e più remunerativa filiera grano duro monovarietale AUREO (frutto della migliore ricerca italiana M O D E R N A) diffusa sempre più fra gli agricoltori più capaci e tenaci per pasta Voiello 100% grano italiano è esempio da adottare su più ampia scala nazionale.
Altrimenti ben presto anche all’estero si chiederanno perché mai comprare il più caro made in Italy se proprio i medio-italici si accaniscono garruli a infangarlo?
fabrizio_caiofabricius
Innanzitutto GRAZIE, sono un operatore del settore e raramente riesco ormai a leggere note in difesa di quella che fino a poco tempo fa è stata il vero fiore all’occhiello del made in Italy nel mondo: LA PASTA.
Oltre ad essere simpatico ed ironico sei estramamente efficace nello smontare le bufale e le paranoie che assillano ormai la maggior parte dell’opinione pubblica.
Che il livello culturale nel nostro paese sia ormai decaduto, lo si evince in maniera lampante dalle bufale messe in atto dai ns politicanti in sede di campagna elettorale. I quali non avendo argomentazioni serie ed efficaci, la mettono anche loro sulle bufale alimentari (sul glyfosate cancerogeno, il vero made in Italy, l’agricoltura italiana) consapevoli (almeno questo) ti trovare terreno fertile e raccogliere voti.
La cosa però più assurda, e secondo me davvero preoccupante, di cui nessuo parla, è che la produzione di grano duro e di pasta (non a caso dicevo sopra “fino a poco tempo fa fiore all’occhiello del ns made in Italy”) si sta spostando verso nuovi paesi produttori. L’esport della nostra pasta si sta pesantemente ridimensionando a favore dei pastifici turchi, egiziani, sauditi, iraniani. La Turchia fra l’altro produce e trasforma le quasi le stesse quantità di grano duro che produciamo in Italia. E’ cresciuta molto in questo comparto grazie ad una attenta politica economica del governo che ha incentivato proprio la trasformazione interna del grano finalizzata all’esportazione della pasta.
Se continuiamo con l’autolesionismo e con le battaglie interne, non è escluso che nei prossimi anni si possa trovare a scaffale… più pasta Made in Tuchia… che pasta 100% italiana.
Se invece di far politiche di importazioni selvagge per buttare giù i prezzi si fosse pensato a tutelare il nostro grano oggi non ci sarebbero migliaia di ha di terreno abbandonati e quindi produzioni ancora minori…poi ora si piange un po’ come la cicala…
I prezzi sono purtroppo internazionali completamente slegati da questa favola- ritornello delle importazioni selvagge nella piccola, marginale Italietta.
Produciamo 4 milioni di tonnellate, ne servono 6, grazie alle esportazioni di pasta che tirano e portano lavoro e benessere. Quei 4 vengono assorbiti tutti dalla trasformazione italiana. Si può anche arrivare a 6 recuperando superfici e migliorando tecnica agronomica e soprattutto stoccaggio differenziato di grandi partite di qualità omogenea con protocolli di filiera finalmente convenienti anche per il produttore
Questa è una delle poche strade percorribili per salvaguardare una coltura strategica per il Sud.
Buttare fango sulla pasta italiana finirà per minarne credibilità e propensione all’acquisto anche e soprattutto nei mercati esteri di sbocco.
Se si continua con questo fuoco incrociate di balle e bufale e fra qualche anno anche quei 4 milioni risulteranno troppi
Commento in parte giusto e in parte errato…E’ vero che recuperando superfici inutilizzate (ormai moltissime) e migliorando tecniche si può produrre molto più grano nazionale ma è errato il discorso sul mercato che in Italia è dettato completamente dai pastifici e mulini che bada caso proprio sotto trebbiatura comprano navi di grano anche di due anni prima a prezzi stracciati con lo scopo solo di buttare giù i prezzi (industria infatti favorevolissima a CETA e accordi simili). Riguardo al buttare fango…nessuno butta fango sulla pasta ma a limite su alcuni pastifici che la producono!!!!
Io cerco di comprare quando mi è possibile pasta 100% italiana ma solo per il semplice motivo che negli altri paesi europei per quanto riguarda il glifosato hanno delle restrizioni minori dell’italia e non mi fido
E DALLE !
Il grano duro importato dall’Europa non è moltissimo e si limita essenzialmente a Francia e Grecia che mai si sono sognate di usare l’inutile Gliphosate per anticipare l’essiccazione finale quando la granella si presentasse troppo umida per lo stoccaggio.
In ogni caso, e per una buona volta, in EUROPA I LIMITI ( bassissimi ) SONO GLI STESSI E PER TUTTI I PAESI MEMBRI !!!!
E sia per i Paesi produttori che per quelli esportatori. Teniamocela stretta st’Europa !
E BASTA , non se ne può più….
(Ma delle micotossine, il primo grande cavallo , anzi BUFALO, di battaglia della disinformazione allarmista e prezzolata non se ne parla più?)
Mi piace l’articolo…..cerco sempre di acquistare prodotti italiani…purtroppo con l’arrivo di questi mega supermercati che cercano di farti acquistare quello che interessa a loro…esempio porri dalla Germania , peperoni pomodori lattughe dall’ Olanda….mozzarelle fatte con il latte che arriva dalla Germania… Non mi piace questa globalizzazione. …
Poveri noi! Ma di questi passi dover andremo a finire? Mi spiace tanto x i miei figli e tutti i ragazzi giovani. Vorrei sapere che futuro gli aspetta. Ma noi in Italia non siamo in grado di produrre grano senza andare a reperirli in paesi Ue ed extra Ue?
Ottima critica . Hai colto nel punto
No Luciana sembra proprio che non produciamo abbastanza per il nostro consumo e inoltre la nostra pasta viene anche esportata in tutto il mondo. Io preferirei che prendessimo il grano dai paesi limitrofi e perche no, soprattutto quelli che sono in crescita. I paesi del mediterraneo. Una volta l’ egitto era il granaio del mondo no? Non ho nulla contro l’ america ma e` lontana e la loro economia non ha bisogno di essere aitata, mentre molti paesi a noi vicini si.
Non credo sia una buona idea, perché la pasta italiana sta subendo la concorrenza internazionale della pasta turca ed egiziana più economiche, anche se di minor qualità.
Il prodotto italiano vende bene dove è apprezzata la maggior qualità e tradizione conosciuta e percepita in tutto il mondo, dove ci sono consumatori disposti a spendere qualche soldino in più per per un piatto Made in Italy.
Inseguire i prezzi al ribasso è poco o nulla remunerativo per tutta la filiera e non strategico per i nostri produttori, non solo per la pasta.
Penso che più che di qualità del prodotto finito sarebbe necessario approfondire la conoscenza sulle diverse leggi che governano l’agricoltura nei paesi stranieri citati e che possono più o meno permettere l’uso di pesticidi particolarmente pericolosi anche per l’uomo piuttosto che ogm e che possono finire sulle nostre tavole.
Le legge in UE sono tutte uguali per quanto riguarda i livelli di sostane chimiche tollerabili e i prodotti importati da Paesi extra UE devono sottostare alle stesse regole
Non esiste grano OGM in nessuna parte del mondo.
Il grano duro è coltura estensiva povera: al massimo è sostenibile economicamente un solo trattamento per il controllo delle malerbe ma molto lontano dalla raccolta e sicuramente non a base di gliphosate, non selettivo.
Anche in Russia o Canada si matura al sole?
I diserbanti si usano per contrastare le malerbe principale causa di riduzione delle rese e in parte anche della qualità. Nel grano duro “al massimo è sostenibile economicamente un solo trattamento per il controllo delle malerbe ma molto lontano dalla raccolta e sicuramente non a base di gliphosate, non selettivo.”
Le bufalo-balle allarmistico-prezzolate citano a sproposito il gliphosate come peeeesticida diserbante, così come il glutine che fffa male a tuuutti SignoraMia, e poi le micotossine del luuungo viaggio, il cadmio e chissà cosa altro per intimidire e condizionare le masse ormai lontane dalla fatica della conoscenza illuminista e avide invece di scorciatoie fideistico-superstiziose per un nuovo potere clerico-talebano che dispensa il fastidio di studiare e pensare, elargendo rassicuranti dogmatiche post-verità neomedievali contro l'”altro”, il “nemico”.
Il grano duro Kazaco, non russo né tantomeno Ucraino babbbau!, ne arriva ancora poco e matura senza aiutini . Così come in quasi tutto il resto del Mondo.
Parte del comunque ottimo grano canadese, quello a semina primaverile in passato si è giovato dell’asciugamento della granella troppa umida usando nella fase finale il gliphosate. Oggi, fortunatamente, questa pratica è vietata in UE anche per tutti i cereali in entrata. In ogni caso un conto era lo spargimento su colture a fine ciclo come il grano e ben più importante sulla SOIA OGM (RR roundup ready) in pieno turgore vegetativo . Sul grano, nelle analisi serie, sempre trovati residui bassissimi, lontani da qualsivoglia prudenziale cautela, spesso derivanti da derive di diserbi chimici di migliaia di km di scarpate ferroviarie, stradali e rive di corsi d’acqua.
Evidenti strumentalizzazioni di parte per distruggere garruli e rabbiosi il nostro prezioso agroalimentare , come le micotossine (ahoo, ma nessuno ne sproloquia più???)
Un contributo alla discussione:
“Frumento la diffusione delle ruggini nelle aree cerealicole italiane”
“I cereali, in particolare il frumento, vengono colpiti da patogeni fungini che appartengono al genere Puccinia: P. striiformis f.sp. tritici, P. triticina e P. graminis f.sp. tritici, agenti causali, rispettivamente, della ruggine gialla, della ruggine bruna e della ruggine nera.
Tali patogeni, così come gli altri funghi che colpiscono l’apparato aereo del frumento, alterano la capacità della pianta di svolgere i normali processi vitali, riducendone la superficie fotosintetizzante e interferendo con l’accumulo delle sostanze nutritive, con ripercussioni negative sulla produzione e sulla qualità della granella.
La ruggine gialla esige temperature più basse e normalmente compare in campo per prima rispetto alle altre due ruggini. La malattia, fino alle recentissime evidenze, costituiva un serio problema per la coltivazione del frumento nei Paesi del Nord Europa e in Italia compariva in campo ciclicamente, essenzialmente nelle regioni centro-settentrionali, attaccando il frumento tenero e talvolta la varietà più suscettibile di frumento duro. Questa situazione però è in netta evoluzione: infatti, nell’annata agraria 2015-2016 in alcuni campi dell’Italia centrale e insulare è stata registrata la presenza della malattia in forma epidemica, sorprendentemente e soprattutto, sulle varietà di frumento duro.
I dati di campo e le indagini di laboratorio hanno trovato un’ulteriore conferma nelle analisi eseguite presso il centro internazionale Global Rust Reference Center (GRRC) su campioni di frumento prelevati in Sicilia.
Tali analisi hanno permesso di caratterizzare, nell’ambito della specie P. striiformis, dei nuovi patotipi fungini particolarmente virulenti. Tra questi, PstS(new) individuato in Italia (Sicilia), Marocco e Paesi Scandinavi, come segnalato dall’allarme lanciato dalla Fao, da altre importanti istituzioni internazionali, quali Cimmyt, e pubblicato anche sulla rivista Nature. L’esistenza di ospiti intermedi per P. striiformische ne permettono la ricombinazione, la comparsa di patotipi più virulenti, la capacità di adattamento del fungo a temperature più elevate e la dispersione delle spore tramite il vento anche a notevoli distanze (1.000-1.500 km) rendono tale patogeno particolarmente pericoloso.
Come nell’annata agraria precedente, anche in quella appena trascorsa abbiamo registrato in Italia la comparsa anomala e preoccupante di ruggine gialla, sia sulle varietà dei frumenti in prova sia sui controlli suscettibili, soprattutto, in alcuni campi del Centro-Sud e Isole.
La ruggine bruna è costantemente presente nelle principali aree cerealicole italiane, tuttavia, nell’ultima annata agraria ha raggiunto gravità di attacco consistenti solo in qualche località e prevalentemente sui frumenti duri.
Epidemie di ruggine nera sono state registrate nel nostro territorio fino agli anni 70 e agli inizi degli anni 80 del secolo scorso. In seguito, il patogeno è comparso in campo raramente e solo in forma sporadica su qualche varietà suscettibile. Ciò è stato possibile grazie alla coltivazione di varietà resistenti, alla eradicazione del crespino (Berberis vulgaris), ospite intermedio del fungo, e alla disponibilità di varietà precoci, capaci di sfuggire alla malattia.
Con preoccupazione, nelle ultime due annate agrarie, abbiamo assistito a un incremento della malattia.
Nell’annata agraria 2015-2016 i dati fitopatologici indicavano, infatti, la presenza insolita di ruggine nera in Sicilia sulle varietà di frumento duro, mentre, la malattia era apparsa solo in forma lieve e sporadica in Sardegna e nel Lazio.
Anche in questo caso, come per la ruggine gialla, le analisi effettuate presso il GRRC su campioni di materiale infetto prelevati dai campi siciliani hanno indicato la presenza di una nuova razza, denominata TTTTF, molto virulenta.
Anche nell’annata agraria appena trascorsa, la malattia è stata osservata in alcune regioni italiane.”
“Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 40/2018
Resistenza alle malattie fungine: frumenti a confronto”
(di A. Iori, M. Palumbo, N. Pecchioni, M. Perenzin, N. Virzì, E. Bersani, L. Mameli, A. Petrini, B. Randazzo, P. Viola, P. Cacciatori, P. Codianni, C. Cristofori, M. Fornara, T. Notario)
Chiediamo lumi a Fabrizio sicuramente ben informato, su quali trattamenti si fanno in queste condizioni di epidemie fungine sui frumenti italiani e possibilmente esteri, la dove le condizioni climatiche sono decisamente più sfavorevoli delle nostre.
Epidemie ricorrenti di Ruggini (gialla, bruna, nera): nulla di nuovo sotto il sole.
Rubigalia erano feste scaramantiche importantissime nell’antica Roma e tuttora il meraviglioso Tempio di Cerere (da cui Cereali) e Faustina (poi S. Urbano alla Caffarella) si erge maestoso ed integro nella superstite campagna romana nel cuore dello splendido struggente Parco archeonaturalistico dell’Appia Antica-Caffarella.
Quando feci la tesi alla facoltà di Agraria di Perugia nel 1977 una spaventosa epidemia di ruggine distrusse gran parte dei frumenti teneri suscettibili nell’Italia centrale. Oggi si riaffaccia un pericolo ben conosciuto, anche se di forme e modalità inattese, complice certamente il mutare del clima e soprattutto del microclima in determinati sottoperiodi del ciclo biologico.
Ecco questo è il punto: la continua feroce antichissima guerra fra l’uomo agricoltore e i parassiti, in questo caso i funghi del genere Puccinia. Il miglioramento genetico più o meno consapevole è l’arma più importante del contendente uomo che si muove proprio in questa direzione da secoli: individuazione, selezione e diffusione di popolazioni poi linee pure (Strampelli) e quindi incroci per fissare nelle nuove varietà geni di resistenza o almeno di tolleranza verso i patogeni. Questi sembrano in un primo tempo soccombere, ma anche tra loro c’è sempre qualcuno che si salva grazie a nuove mutazioni o ricombinazioni geniche e trasmette velocissimo la ritrovata competitività a miliardi di piccoli eredi…e la guerra continua.
Oggi grazie al metodo scientifico abbiamo (avremmo) strumenti di conoscenza e selezione di grande efficacia ma la lotta e la guerra percorre trincee e fronti inattesi e soprattutto molti disertori abbandonano e passano queruli al nemico con tanto di garrulo sostegno dei nuovi movimenti fideistico-superstiziosi fieri della loro proterva ignoranza.
La guerra e il dimenticato rischio fame hanno spesso affinato l’ingegno e già da secoli si è tentata anche l’arma diretta più micidiale: quella chimica di cui si è sicuramente abusato nel seconda metà del Novecento anche se non sottovalutiamo mai il machiavellico adagio” il fine giustifica i mezzi”.
Orbene però oggi (e anche ieri) nessuno si sogna al Centro-sud di fare trattamenti chimici anticrittogamici al frumento duro: NON C’E’ MARGINE ECONOMICO, visti soprattutto i bassi prezzi di vendita ma anche la generale scarsa rilevanza degli attacchi fungini in questi ambienti caldo-aridi, almeno fino ad oggi. Lo certifica anche ISTAT che evidenzia che solo il 4% delle aziende ricorre a questo tipo di trattamenti (63% invece per l’unico, molto più importante, trattamento diserbante).
Difficile prevedere i futuro: i genetisti fortunatamente, malgrado il clima antiscientifico del cupo Cialtronevo, continuano a fare il loro utilissimo lavoro di contrasto al nemico di tutti. Sicuramente più in Francia e infatti e migliori varietà con ancora viva resistenza alle ruggini oggi vengono, ahimè, da lì, e vanno bene “dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno”. Però il clima cambia rapidamente e i vero rischio è che la coltivazione del grano duro (e di tante altre colture) diventi economicamente insostenibile al Sud-Isole facendo sprofondare queste nobili terre a rischio desertificazione.
Last but not least, le ruggini non sono micotossigene a differenza dei Fusarium…quindi poca ciccia per le obbrobriose e falso-scandalistiche prefiche prezzolate di TeleScandalo nazional-populiste
Grazie dei lumi agronomici e condivido l’ottimismo per le colture italiane che si stanno sviluppando, sia per necessità climatiche, sia per una finalmente giusta stimolazione dei pastai che hanno compreso che forse il prodotto nazionale remunera meglio di altre produzioni e fare filiera organizzata produce vantaggi per tutti.