Secondo una stima dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) i bambini italiani assumono il 49% in più di grassi saturi rispetto a quanto consigliato dai Larn e dall’Efsa. Buona parte di questo eccesso (41% della quantità massima) è dovuto al consumo di olio di palma aggiunto in molti alimenti industriali. Sono i dati più importanti che emergono dal documento pubblicato sui consumi di olio di palma dall’ISS il 25 febbraio 2016. Queste percentuali sono però dimenticate nel comunicato stampa ufficiale del Ministero della salute. Ma basta decodificare i numeri delle tabelle per rendersi conto che siamo di fronte a un problema serio per i bambini, e che i toni rassicuranti ripresi dalla maggior parte dei giornali e dai media, sul consumo dell’olio tropicale in Italia, sono fuori luogo.
Il documento dell’ISS prende come riferimento la fascia di età dai tre ai dieci anni e indica un’assunzione giornaliera media di acidi grassi saturi derivanti da prodotti contenenti olio di palma di 7,72 g (pag. 21) a fronte di un fabbisogno energetico medio di 1.689 kcal di maschi e femmine (Larn 2012). Secondo l’Efsa la quantità di acidi grassi saturi complessivi nella dieta giornaliera derivante da carne, formaggio, latte, prodotti da forno, biscotti… dovrebbe essere la più bassa possibile “as low as possible” (1), e comunque non superiore al 10% delle calorie: quindi nel caso in oggetto non dovrebbe superare il valore medio di 18,7 g. La relazione a pag. 14 stima un consumo di 27,88 g/die per i bambini che rispetto ai 18,7 da noi calcolati risulta il 49% in più. Si tratta di un dato importante perché dei 27,88 grammi di acidi grassi saturi totali, ben 7,72 g (il 28%) derivano dal palma (2). Abbassare questa percentuale è possibile perché è dovuta a cibi con bassa densità nutrizionale ed elevata densità energetica che le linee guida raccomandano di ridurre per contenere sovrappeso e obesità (3).
Questi acidi grassi saturi rappresentano quasi la metà della quantità massima, e risultano circa un terzo rispetto a quanto assunto dai nostri bambini. Il problema è che non sono quelli presenti in: yogurt, latte, formaggi, prosciutto cotto… ma derivano da prodotti dove il grasso viene aggiunto volontariamente (merendine, biscotti, grissini, cracker, fette biscottate e prodotti da forno…). Basterebbe sostituire l’olio di palma con altri oli più ricchi di mono e poli-insaturi (girasole, mais, oliva) per normalizzare l’assunzione di saturi nella dieta dei bambini. Da queste osservazione emerge che il consumo di olio tropicale nei bambini contribuisce in modo rilevante all’assunzione di acidi grassi saturi la cui presenza deve essere “la più bassa possibile”. Perché queste osservazioni non sono evidenziate chiaramente nel documento dell’ISS e nel comunicato stampa del Ministero della salute?
Anche per gli adulti come viene detto a pag. 16, la quota dei saturi deve essere inferiore al 10% delle kcal (se si considera un fabbisogno di 2.000 kcal – GDA per etichettatura – l’apporto non dovrebbe superare le 200 kcal equivalenti a 22 g circa). Il documento (tabella 10 pag. 14) attribuisce agli adulti un consumo giornaliero di saturi di 27,21 g ovvero il 24% in più del dovuto (22 g). Anche in questo caso il valore in eccesso non è trascurabile, eppure nelle conclusioni (pag. 21) l’ISS dice “Complessivamente emerge che il consumo totale di acidi grassi saturi nella popolazione adulta italiana è di poco superiore (11,2%) all’obiettivo suggerito per la prevenzione (inferiore al 10 % delle calorie totali giornaliere)”. Si tratta di una frase che confonde le idee e non evidenzia la criticità.
Per quanto riguarda i consumi nazionali occorre fare una precisazione. L’Italia importa 350 mila tonnellate di olio di palma l’anno (Istat 2014), la metà è utilizzata dall’industria dolciaria che esporta il 30% della produzione (dati 2011). Alla fine il consumo interno (120 mila tonnellate) corrisponde a 6 g/die (4) pro capite. Il dato è confermato anche da Stefania Sette (ex Inran ora CreaNut) in una dichiarazione a Il Fatto Alimentare rilasciata nel 2015 (5) sulla base di elaborazioni statistiche. Ipotizzando un’identica quantità di olio tropicale per l’industria alimentare del salato (cracker, grissini, prodotti da forno, olio per friggere…) è ragionevole ipotizzare un apporto giornaliero di circa 12 g/die di palma pari a circa 240mila tonnellate/anno.
Il documento dell’ISS indica 77 mila tonnellate (dato FAO non più aggiornato dal 2011), da cui si ricava un consumo medio per gli italiani di 3,15 g. Si tratta di una quantità ampiamente sottostimata che non considera l’incremento esponenziale delle importazioni registrato negli ultimi 5 anni. Basta esaminare i dati ufficiali pubblicati sui siti di Barilla e Ferrero per rendersi conto che il contributo giornaliero di olio di palma derivante dal consumo dei loro prodotti è di poco superiore ai 2,5 g al giorno (6). La differenza tra il consumo reale e il dati dell’ISS è sin troppo evidente. Per fortuna il documento quando valuta i consumi degli italiani non considera il valore delle importazioni, prende in considerazione valori che si avvicinano di più alla realtà.
Ci chiediamo perché l’ISS non abbia dato il giusto risalto agli aspetti rilevanti emersi nello studio, evidenziando l’eccesso di acidi grassi saturi nei bambini (49%) e negli adulti (+24%). Si tratta di informazioni importanti per promuovere l’attività della salute proprie dell’ISS e del Ministero della salute. Da queste percentuali si evince che basterebbe sostituire l’olio di palma con altri oli più ricchi di mono e poli-insaturi (girasole, mais, oliva) per normalizzare l’assunzione di saturi sia nella dieta dei bambini che degli adulti; in fondo è quello che ci ha insegnato la tradizione della dieta mediterranea, dove l’olio di palma trova difficilmente un posto.
(1) Scientific Opinion on Dietary Reference Values for fats, including saturated fatty acids, polyunsaturated fatty acids, monounsaturated fatty acids, trans fatty acids, and cholesterol. EFSA Journal 2010; 8(3):1461
(2) Elaborazione secondo i riferimenti LARN 2012
(3) SIO ADI Standard Italiani per la Cura dell’Obesità, pag 142
(4) Fonte lettera indirizzata a Il Fatto Alimentare da Aidepi autunno 2015.
(5) Testo inviato da Stefania Sette (ex Inran ora CreaNut) a Il Fatto Alimentare nel mese di ottobre 2015. “Considerando che in media il consumo di biscotti e dolci è di 31 g/die e ipotizzando una composizione media di acidi grassi saturi pari a 11 g/100 g di prodotto, l’assunzione di acidi grassi saturi da biscotti e dolci è di circa 3,4 g/die nella popolazione totale (0-99 anni). Se tale stima si applica agli adolescenti maschi, si ottiene un’assunzione di circa 6 g/die di acidi grassi saturi da biscotti e dolci. Chiaramente queste valutazioni derivano da una media di popolazione che include consumatori e non consumatori”.
(6) In questo documento Barilla indica l’impiego di 35.000 tonnellate di olio di palma (l’85% destinato al mercato interno equivalente a a circa 1,5 g die di Palma per Italiano solo per Barilla. Da questo documento ufficiale Barilla sembrerebbe che quasi il 50% del palma consumato in Italia provenga solamente da prodotti Barilla, il dato FAO sembra poco realistico.
Ferrero usa 150.000 tonnellate di palma considerando che il 17% del fatturato è in Italia, si può desumere che altre 25.000 tonnellate olio di palma equivalenti a 1,15 g circa al giorno vengano assunte dagli italiani. Secondo queste stime Barilla e Ferrero apportano da sole 2,65 g di palma al giorno per ogni persona, un dato difficilmente conciliabile con i 3,15 indicati dall’ISS.
Roberto La Pira.
Si ringrazia il dr. Michele Sculati per il supporto all’analisi dei dati
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24