Pochi giorni fa il New York Times ha pubblicato un servizio sul “suicidio dell’olio extra vergine di oliva italiano” visibile digitando su Google “extra virgin New York Times“. Si tratta di una galleria composta da 15 immagini grafiche che descrivono le frodi e le adulterazioni cui viene sottoposto l’olio esportato negli Stati Uniti. Da questa nuova e accattivante modalità narrativa emerge un quadro desolante dell’Italia, tratteggiata come un paese di produttori fraudolenti protetti da politici. Praticamente siamo descritti dal famoso quotidiano come un “covo di ladri”, riassume in modo efficace Alberto Grimelli, esperto di mondo oleario, in un suo editoriale su Teatro Naturale. Sicuramente c’è del vero – non per nulla l’olio extravergine d’oliva è uno degli alimenti più sofisticati d’Europa – ma il messaggio risulta a tratti eccessivamente semplificato.
Extra virgin suicide
La storia riportata sulle tavole comincia così: “La maggior parte dell’olio d’oliva venduto come italiano non viene dall’Italia, ma da paesi come Spagna, Marocco e Tunisia“. Una volta arrivato in Italia, questo olio viene “tagliato con olio più economico” (per esempio di semi) e “mischiato con beta-carotene, per alterare il sapore, e con clorofilla, per ottenere una colorazione più naturale“.
A questo punto, le bottiglie ricevono l’etichetta “extra vergine” e vengono spedite in giro per il mondo come prodotto “made in Italy”. Negli Stati Uniti dove si consuma prevalentemente olio italiano il 69% del prodotto in vendita sarebbe adulterato.
L’infografica si rivolge prevalentemente a un pubblico americano, per il quale questo discorso può funzionare, ma poiché è stata ampiamente condivisa in tutto il mondo conviene fare qualche precisazione. È vero che il problema delle frodi esiste ed è importante, ma occorre distinguere . Una cosa è chiamare italiano un olio imbottigliato in Italia e ottenuto miscelando materia prima locale con quella proveniente da altri paesi, un’altra cosa è l’adulterazione. In entrambi i casi c’è qualcosa che non va, ma bisogna precisare che la prima operazione, vietata in Italia e in Europa, è consentita dalla legislazione di altri paesi extraeuropei, tra i quali gli Stati Uniti.
Le sofisticazioni
Per quanto riguarda le adulterazioni, il New York Times fa riferimento al “taglio” con oli di semi (soia, nocciola ecc.) dimostrando una certa approssimazione. «Si tratta di un metodo che veniva usato anche in Europa più di una decina d’anni fa e oggi utilizzato per partite destinate a paesi con meno conoscenza del mondo dell’olio, come gli Stati Uniti» spiega Alberto Grimelli. «È probabile che anche in questi paesi presto arriveranno altri tipi di sofisticazioni, come la deodorazione, che oggi rappresenta il problema principale per il mercato europeo».
Si tratta di grandi partite di olio ottenuto da olive che, a causa dei lunghi tempi di attesa prima della spremitura, acquistano un odore poco gradevole. Per eliminare queste note aromatiche, l’olio viene sottoposto a una deodorazione rapidissima non ammessa per l’extravergine d’oliva, che deve essere ottenuto solo con procedimenti “meccanici”. Il fenomeno è molto diffuso ma è difficile da quantificare. Secondo alcune associazioni di categoria, ben 50-100.000 tonnellate delle 500.000 tonnellate di olio che transitano ogni anno in Italia sarebbero deodorate.
Controlli insufficienti?
Ma torniamo all’infografica del New York Times che, focalizzando l’attenzione sui controlli dice che : “Per combattere le frodi, una sezione speciale dell’arma dei Carabinieri italiani è addestrata a individuare l’olio cattivo. Poiché i test di laboratorio sono facili da falsificare, i Carabinieri si basano soprattutto sull’olfatto“. Anche in questo caso c’è qualche semplificazione di troppo, perché l’analisi chimica non viene sostituita da quella organolettica, ma affiancata. «Certi oli, come quelli spagnoli, mostrano parametri chimici perfettamente in linea con i veri extravergini, però hanno caratteristiche organolettiche molto diverse rispetto al prodotto italiano» spiega Grimelli. «Per questo motivo si effettua anche un’analisi organolettica che però non consiste solo nell’annusare qualche campione, trattandosi di un’analisi condotta da un panel di almeno 8 assaggiatori qualificati che operano secondo procedure e regole ben codificate. Insomma non è una banalità come lascia intendere il New York Times, ma un’analisi molto importante.
Nuovi test
C’è di più: da qualche tempo è disponibile anche un nuovo metodo di analisi chimica, che prevede la quantificazione di particolari sostanze dette alchilesteri ed etilesteri, in grado di classificare meglio gli oli di qualità e di individuare quelli deodorati. « Un extravergine italiano – spiega Grimelli – difficilmente supera i 10 mg/kg di etilesteri, mentre un olio spagnolo deodorato ha valori anche 5-6 volte superiori». Purtroppo però la normativa europea consente un limite massimo di 75 mg/kg di alchilesteri. Queste analisi sono richieste in tutti i paesi aderenti al COI (Consiglio oleicolo internazionale), ma non valgono per altri paesi, come gli Stati Uniti.
I problemi sicuramente esistono, ma ci sono anche soluzioni tecnologiche e legislative per difendersi e fino ad ora gli Stati Uniti le hanno trascurate. «La buona notizia – conclude Grimelli – è che finalmente anche negli USA qualcuno sembra accorgersi del problema. Se fino ad ora certi produttori fraudolenti hanno avuto gioco facile nel prossimo futuro non potrà più essere così».
© Riproduzione riservata. Foto: Nytimes.com
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giornalista scientifica
Secondo me il problema esiste ed è da tenere in seria considerazione, anche in Italia succedono cose strane… Troppo spesso negli ultimi tempi alcune catene della GDO italiana stanno pubblicando volantini con Extra Vergini nazionali a € 2,99 in prima pagina. Com’è possibile se il prezzo all’ingrosso di una materia prima di buona qualità (che incide per circa il 70% sul conto economico del prodotto) proveniente da regioni come Puglia e Sicilia è superiore ai 3€/kg? A meno che una catena non voglia rimetterci 50/60 centesimi a bottiglia – e dubito seriamente – è più probabile che siano i produttori, a proporre prezzi molto aggressivi probabilmente grazie ad una materia prima “magicamente” meno cara rispetto ai prezzi che si trovano sul mercato all’ingrosso. Insomma occorre fare chiarezza su questo aspetto: non è possibile che i prezzi all’ingrosso dell’extra vergine nazionale siano più alti dei prezzi del prodotto confezionato. E in questo la GDO fa la sua parte ed è in un certo senso complice di questo fenomeno in quanto è sempre alla ricerca del prezzo più basso perché (a detta loro) si ha a che fare con un prodotto estremamente banalizzato, per il quale il consumatore ha una scarsa percezione dell’effettiva qualità del prodotto. Inoltre l’elevata intensità promozionale della merceologia lo rende ideale come prodotto civetta per effettuare vendite a prezzi stracciati in promozioni 2X1 o al 50% di sconto.
A testimonianza di quanto dicevo, ho trovato questo interessante articolo dalla fonte molto autorevole che conferma esattamente la mia opinione.
http://www.teatronaturale.it/pensieri-e-parole/associazioni-di-idee/18497-strane-manovre-sul-prezzo-dell-olio-extra-vergine-d-oliva.htm
Quante chiacchere! Fate un giro in un qualsiasi supermercato americano e guardate le etichette e i nomi delle bottiglie italiane. Garibaldi, bandiere italiane, papi vari, sagome dell’Italia.. Poi ci scrivete eh!
Nel frattempo, molti olii italiani, sono diventati spagnoli ma riportano sempre la stessa etichetta, come nel caso di “Carapelli (Firenze)” che, dopo la cessione, è diventato l’olio extra vergine di oliva più economico e spesso venduto sottocosto nei centri commerciali. A mio parere è un enorme scorrettezza perché la gente pensa che sia ancora un prodotto italiano. La verità è che per abbassare il prezzo a 2euro/l deve essere avvenuto un processo che ha reso quest’olio certamente più remunerativo! La cosa che mi fa maggiormente rabbia è che siano spagnoli a lavorare dietro un etichetta italiana.
Buongiorno,
sicuramente come in tutte le cose gli americani esagerano, ma un fondo di verità c’è. Falsificazione a parte, sappiamo benissimo che noi italiani simo un popolo di “furbi” e spesso il prodotto che esportiamo non è veramente il prodotto che dichiariamo. Inoltre non siamo in grado di coprire il nostro fabbisogno, figuriamoci se dobbiamo considerare anche l’esportazione.
Noi simo la rovina di noi stessi, pur di vendere abbassiamo la qualità e roviniamo il nome dei nostri prodotti.
pensiamo al prosciutto Pata Negra e il nostro Parma (alcune differenze ci possono essere ma non sono differenze da 150 euro/kg)
champagne e i nostri spumanti.
Cominciamo a farci un’esame di coscienza e a capire che, falsificazioni a parte, siamo noi la rovina del Made in Italy
Questo chiaramente è solo il mio pensiero, accetto altri suggerimenti.
Grazie
Giovanni
L’olio italiano (insomma!) è sulla lista nera delle dogane USA, perché laggiù sono così ingenui da pensare che se una bottiglia dice “olio extravergine d’oliva” DEVE essere olio eccetera. Se non lo è (e non mancano metodi analitici per saperlo) commetti frode in commercio, cosa che non tollerano, indipendentemente dal sapore fruttato, e altre palle organolettiche da sommelier bevuto.
Alcune precisazioni, in Amercia l’ Italia ha il 50% del mercato quindi non è vero che si consuma solo olio italiano.
La ricerca dell’ universita californiana a cui fa riferimento la vignetta è stata finanziata e in parte realizzata da produttori californiani e australiani che ovviamente sono risultati i migliori. L’ università è la UCDAVIS un università privata finanziata dall’ industria olearia locale.
http://olivecenter.ucdavis.edu/research/files/oliveoilfinal071410updated.pdf
Se non è italiano è spagnolo o messicano. Ottimi, del resto. Ma pensate che solo in Italia si sappia fare l’olio d’oliva?
questa è la verità, noi italiani non siamo in grado di difendere quello che abbiamo creato in centinaia di anni di lavoro, e la politica non ci protegge da queste falsita, siamo i primi esportatori mondiali, mi sembra giusto che importiamo da altri paesi per esportare, ma non si pensa all’indotto che gira in questo commercio????
Allora tutto si spiega.. come le analisi sulla brita finanziate da Federacque.. 🙂
Sentite, l’olio californiano io non lo conosco, ma ho assaggiato diversi vini.
Non è male, ma ne deve passare di acqua sotto i ponti prima che assomigli al nostro. E altrettanto sarà per l’olio.
La risposta del Frantoio dei Colli Toscani http://www.youtube.com/watch?v=ZIKZxrtE2w8&feature=youtu.be
Certamente siamo un popolo di furbi, ma “mollare” olio sofisticato agli americani sembra propaganda antitaliana.
Nessun produttore serio lo farebbe, si chiuderebbe un mercato proficuo.
Credo più a sofisticazione dell’oilo che circola in italia.
Il problema dell’olio, così come quello di altri prodotti del settore alimentare italiano soffre di una caratteristica peculiare: troppi soldi e moltissimi interessi incrociati. La frode c’è, indubbiamente, tant’è, per esempio che nel settore del vino un amico con un’azienda vitivinicola è stato multato (1500 euro) dalla ASl per aver indicato precisamente sull’etichetta il sito delle viti, il tipo di vite e la data di vendemmia e pigiatura. Non è possibile indicare queste cose, la legge non lo prevede, cosa che invece dovrebbe essere accettata vista la dimostrazione dell’azienda!!!
Se non siamo seri nemmeno in casa nostra cosa possiamo aspettarci dagli altri?
Altra cosa è invece la populistica presa di posizione del NYT notoriamente in mano ad alcune lobby che remano contro gli interessi europei ed italiani nello specifico.
La notizia del NYT è purtroppo vera. Il tutto è legato al controllo del mercato alimentare operato dalle grandi catene di distribuzione che operano solo sul prezzo e non sulla salute del consumatore. Nel caso dell’olio d’oliva i famosi disciplinari citati da qualcuno non servono a NIENTE! Esistono nuove regole di etichettatura che consentirebbero di superare il problema.
Al dipartimento CTC dell’Università della Calabria abbiamo messo a punto tutta una serie di protocolli brevettati, o pubblicati su riviste internazionali, in base alle quali riusciamo a certificare l’origine dell’olio, la qualità in termini scientificamente validi, la freschezza, ecc. Basta associare il mio nome o quello dei collaboratori alla ricerca a quello di olive oil sul web. Disponibile ad inviare una rassegna scientifica. IL SUICIDIO DELL’OLIO EXTRAVERGINE giustamente reclamato dagli americani potrebbe fornire lo stimolo, finalmente!, ad operare in maniera seria.
Giovanni Sindona
direttore del dipartimento CTC
Università della Calabria
Buongiorno, nei diversi test non ho mai visto un test fatto con la cristallizzazione sensibile.
Io ho fatto fare un test di un olio di oliva EV, per esempio considerato bio ma non certificato e attraverso la http://www.cristallizzazione.it ho ricevuto la relazione che l’olio era bio.
Penso che con questo test ogni dubbio sarebbe stato risolto. Cosa ne dite ?
Francesco