Nei paesi più industrializzati e in quelli con uno sviluppo medio, negli ultimi vent’anni il consumo di calorie è rimasto sostanzialmente stabile ma l’obesità è esplosa. Nei soli Stati Uniti, tra il 2000 e il 2018 è passata dal 30,5 al 42,4%, e rispetto agli anni Settanta è addirittura triplicata. Questo è accaduto non solo alle persone, ma anche agli animali da compagnia, i roditori che popolano le città e i primati. Come mai? Cosa c’è all’origine di un continuo aumento di peso che sembra difficilissimo se non impossibile combattere con la sola dieta o l’incremento dell’attività fisica? Secondo una parte della comunità scientifica, il motivo è relativamente chiaro: l’umanità vive in un ambiente obesogeno, cioè circondata da almeno 50 sostanze (ma probabilmente sono migliaia) – tra le quali ftalati, bisfenolo A e Pfas – che interferiscono con il metabolismo, favorendo l’accumulo di grasso, e che sono ormai così pervasive da essere presenti in quasi tutti gli esseri umani. E oltretutto si tratta in gran parte di molecole (soprattutto quelle secondarie, derivanti dal metabolismo) sconosciute per quanto riguarda gli effetti di ciascuna di esse, delle loro associazioni e del loro accumulo nel corpo umano. E quindi, di fatto, quasi invincibili.
Per fare il punto, la rivista Chemistry World ha pubblicato un lungo articolo, intervistando alcuni dei massimi esperti mondiali del settore e illustrando lo stato delle conoscenze attuali, partendo dalla prima molecola identificata nel 2006, anno in cui fu coniato anche il termine ‘obesogeno’: la tributiltina cloruro (o tributilstagno cloruro). Somministrata ai ratti, li faceva ingrassare incrementando così l’obesità anche se non mangiavano di più e non mostravano alcun segno di rallentamento della normale attività fisica rispetto agli animali non trattati. Per questo si è pensato che avesse qualche effetto di altro tipo, anche perché, somministrato alle madri incinte, causava un significativo aumento di grasso nei neonati (in particolare nel fegato e nei testicoli). Da quel momento ci sono state decine di studi sui modelli animali che hanno messo in evidenza, per esempio, come un estrogeno sintetico, il dietilstilbestrolo, faccia la stessa cosa in gravidanza o come gli animali mangino di più e accumulino grasso se esposti al DEHP, uno ftalato usatissimo per conferire elasticità al PVC, per esempio nei contenitori per alimenti, nelle tappezzerie, nei cosmetici e nei giocattoli.
Per ovvi motivi non è mai stato fatto uno studio in cui queste sostanze sono state somministrate volontariamente agli esseri umani, ma molte analisi sulla popolazione hanno fatto nascere più di un sospetto, fornendo una serie impressionante di indizi. Per esempio, è stato dimostrato che chi ha più Pfas nel sangue è destinato a ingrassare molto nei 10 anni successivi all’analisi. E diversi studi hanno mostrato che Pfas e ftalati sono presenti nel 90% degli americani.
Secondo quanto si è capito finora, i meccanismi attraverso i quali gli obesogeni stimolano l’accumulo di grasso e favoriscono l’obesità – funzione cui gli esseri umani sono predisposti, come eredità di quando spesso non trovavano cibo a sufficienza – sono di vario tipo. Uno è cellulare, perché numerosi obesogeni come gli ftalati, il bisfenolo A e analoghi, i plastificanti, i ritardanti di fiamma e gli Pfas stimolano un recettore chiamato PPAR-γ. Per semplificare, queste molecole, quando si legano a questo recettore, rendono le cellule adipose perennemente attivate sulla modalità di accumulo e mai su quella di smaltimento: e poiché ogni adipocita presenta molti di questi recettori, si capisce perché lo stimolo indotto da decine di sostanze diverse sia un disastro per l’equilibrio tra immagazzinamento e utilizzo dell’energia.
Inoltre, intervengono sicuramente alterazioni del microbiota intestinale, dell’appetito e del metabolismo basale (cioè di quanta energia consuma l’organismo a riposo) mediato dalla tiroide. E non è tutto: sono state dimostrate azioni sui recettori dei glucocorticoidi e degli ormoni sessuali. È dunque emerso che, con ogni probabilità, gli obesogeni interagiscono contemporaneamente con numerosi organi e tessuti, e questo spiega la difficoltà di determinare ogni singola azione (e di difendersi).
E non ci sono solo gli inquinanti, ma anche diverse sostanze utilizzate nelle lavorazioni industriali degli alimenti, il più noto dei quali è l’ubiquitario fruttosio, che rallenta il consumo di energia laddove di solito è più efficiente: nei mitocondri, gli organelli incaricati della respirazione cellulare e, per questo, i più energivori tra i componenti delle cellule. E non va meglio con i dolcificanti, compresi quelli a calorie zero: aspartame, saccarina e sucralosio possono favorire l’accumulo di peso perché interferiscono con l’insulina. Sono sospettati di essere obesogeni anche decine di additivi considerati sicuri come i parabeni, o la carbossimetilcellulosa. Come ricorda la rivista, molti di questi sono stati inclusi nelle liste dei composti considerati generalmente sicuri (GRAS), perché in uso prima del 1958 o con una lunga storia di consumo. Ma la realtà è che la maggior parte non è mai stata studiata, e che di molte delle ricerche arrivate dopo nessuno ha tenuto conto, aggiornando la lista. L’Efsa lo ha fatto con il bisfenolo A, diminuendo di 100mila volte i dosaggi massimi, ma è stato un caso quasi isolato e sarebbe giunto il momento di una generale rivalutazione soprattutto delle sostanze più vecchie.
A fronte di tutte queste conoscenze ormai consolidate, c’è un ritardo culturale che ha un ruolo decisivo, nella scarsa efficacia degli interventi proposti. Molti nutrizionisti impostano ancora regimi dietetici e raccomandazioni solo sulle calorie, quando è noto da anni che il conteggio calorico, di per sé, ha poco significato. Inoltre, la dieta e l’esercizio sono molto positivi per la salute, ma non necessariamente aiutano a diminuire il grasso, e anche quando lo fanno l’effetto è raramente duraturo. Lo stesso vale per la chirurgia.
Dal momento che gli obesogeni sono ovunque – nell’acqua, nell’aria, negli alimenti processati e nei loro packaging, ma anche nei prodotti per la cura della persona e negli arredi di casa, in tutte le plastiche, nei pesticidi, nei dispositivi elettronici, nella polvere – che fare? Come difendersi? Per il momento, i consigli sono quelli di limitare il più possibile il consumo di alimenti confezionati nella plastica e di conservare tutto nel vetro, in casa. È poi fondamentale scaldare i cibi nel microonde sempre e comunque in contenitori non in plastica (anche quando sono teoricamente adatti), perché le plastiche contengono decine se non centinaia di obesogeni, una parte dei quali è sempre rilasciata in risposta al calore. Inoltre andrebbero evitati anche gli alimenti in lattine rivestite, che possono contenere bisfenolo. Infine, il consiglio che li riassume è sempre lo stesso: per difendersi dagli obesogeni, la strategia vincente è quella di acquistare alimenti sani, freschi e non processati, acquistati di volta in volta e cucinati a casa e di leggere le etichette di tutti gli altri, avendo cura di evitare in generale la plastica e di controllare anche i cosmetici e i prodotti per la cura della persona. In attesa che arrivino studi e poi regolamenti più attenti alla salute di chi vive – non per scelta – immerso negli obesogeni.
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Giornalista scientifica
ottimo molto interessante
confermo e, aggiungo, almeno per il sottoscritto materiale completamente sconosciuto che pone il fenomeno dell’obesita’ e del sovrappeso in un ottica diversa da come trattate usualmente.
Ottimo, da condividere con tutti.
Posso fare l’avvocato del diavolo?
A me sembra che questo articolo serva per pulire la coscienza di chi è in sovrappeso in quanto sembra che sia difficile combattere l’obesità perchè gli obesogeni pare siano dappertutto:
“Dal momento che gli obesogeni sono ovunque – nell’acqua, nell’aria, negli alimenti processati e nei loro packaging, ma anche nei prodotti per la cura della persona e negli arredi di casa, in tutte le plastiche, nei pesticidi, nei dispositivi elettronici, nella polvere … “.
Credo che il sovrappeso dipenda principalmente dalla combinazione di alimentazione non corretta combinata con la scarsa attività fisica che si fa nella quotidianità.
Un esempio banale: avete mai visto dei maratoneti obesi? Nonostante gli obesogeni siano ovunque: nell’acqua, nell’aria, nella polvere…
Articolo estremamente interessante, Per fortuna un importante segnale sul sopraggiunto cambiamento di epoca culturale e non solo rispetto agli ambiti dell’ alimentazione.e della salute (e della chimica). Se non si tratta della paradossale celebrazione dei cento anni del ‘principio di indeterminazione’, slamo entrati nella nuova era della “complessità esponenziale”. Gli effetti intrecciati di queste scoperte riverberanno sensibilmente (e dolorosamentel nella politica – si pensi alla conseguente pratica impossibilità di applicazione del c.d. ‘principio di precauzione’ – nell’ economia -sviluppo/decrescita/sottosviluppo- fino a toccare più di quanto si possa
sospettare ora, la nostra psicologia nel profondo (ridefinizione e ricollocazione dei concetti di “morbido”, “elastico”, “flessibile”…
Al di là di queste considerazioni l’articolo esprime anche importanti indirizzi per la ricerca e nuove linee guida per migliori stili alimentari.
Complimenti.