Vietare le pubblicità del junk food, limitare le vendite delle bibite dolci, investire nel trasporto pubblico e nel verde urbano, puntare sulle etichette e i semafori. Cosa, tra i provvedimenti “naturali”, che non intervengono direttamente sulla composizione della dieta aiuta le persone a non ingrassare? In che modo sono stati condotti gli studi per convalidare i vari tipi di approccio? Su questiu temi gli esperti della Drexel University School of Public Health, che in un articolo pubblicato su Obesity Reviews hanno fatto il punto della situazione.
Gli autori hanno analizzato oltre 1.100 abstracts e 115 studi pubblicati tra il 2005 e il 2013 e ne hanno verificati 37, giungendo ad alcune conclusioni.
Per quanto riguarda divieti, limitazioni e così via, gli atti con conseguenze più significative sono:
· il divieto di utilizzare acidi grassi trans;
· l’introduzione di limitazioni alla vendita di alimenti e bevande zuccherate, per esempio nelle scuole e nei luoghi di lavoro;
· l’introduzione di limiti alla reperibilità di alimenti ricchi di grassi.
Al contrario, i provvedimenti che non modificano se non in misura minima le abitudini sono:
· l’obbligo di segnalare sulle confezioni e sui menu le informazioni nutrizionali;
· la costruzione di supermercati in aree dove non ve ne siano, per agevolare la scelta dei cibi e la cucina casalinga, e scoraggiare l’abitudine di recarsi nei fast food.
Altro grande settore sul quale si sono concentrati i tentativi di modificare le curve del crescente aumento di peso nei paesi occidentali e non solo in essi, è l’ambiente, definito spesso obesogeno quando privo di verde dove fare attività fisica o camminare e pieno di fast food e rivendite di junk food. Da questo punto di vista funziona di più :
· il miglioramento delle infrastrutture che permettono il cosiddetto trasporto attivo, e cioè le piste ciclabili e i percorsi per i pedoni, che possono incoraggiare la popolazione a lasciare a casa l’automobile;
· modifiche studiate dopo osservazioni e sperimentazioni di lungo periodo, che permettano alla popolazione locale di abituarsi al cambiamento e di continuare a perseverare nelle buone pratiche.
Al contrario, i rimedi scarsamente o per niente efficaci sono:
· il miglioramento di parchi e giardini pubblici;
· i treni
Interessanti anche le critiche mosse agli studi realizzati sino ad finora. Secondo gli autori troppo spesso sono stati presi in considerazione obiettivi di breve respiro, come l’acquisto di certi tipi di alimenti o i minuti passati in bicicletta o a piedi, mentre raramente si sono studiati il peso, l’indice di massa corporea della popolazione coinvolta, o altri parametri più significativi quali l’aumento costante, duraturo e significativo dell’attività fisica svolta, gli unici che possono davvero promuovere una certa azione introdotta in una specifica zona.
Gli esperimenti “naturali” concludono poi i ricercatori della Drexel, sono importanti, perché non di rado vengono utilizzati per orientare le scelte di sanità pubblica. Ma proprio per questo dovrebbero essere condotti con maggiore scrupolo: le conclusioni cui giungono devono essere sostanziate da prove solide e che reggano al tempo.
Agnese Codignola
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Giornalista scientifica
Dice il saggio che le “cose buone” nella vita o sono peccato o fanno ingrassare 🙂
I divieti salutistici sono spesso inutili se non controproducenti.
Le tassazioni straordinarie fanno bene solo al fisco.
Rimane l’educazione sanitaria di fondo e la prevenzione: i bambini diventano obesi mangiando cio’ che i genitori acquistano e/o fanno trovare loro in casa. Molto più comodo/semplice prendere un pacco di merendine/patatine che fare una crostata.
L’extrema ratio sarebbe quelle di far pagare l’assistenza sanitaria per le patologie indotte. Ma dovrebbe valere per i fumatori in primis (chiudiamo il monopolio ?) e per tutti quei comportamenti/consumi a rischio (sport pericolosi, alcolici e perché no, il sesso)
1984 ?