Se davvero si vuole combattere l’obesità infantile, uno degli strumenti da applicare è il divieto di pubblicità relative agli alimenti ricchi di grassi, zuccheri e sale, i cosiddetti Hfss (dall’inglese high fat sugar and salt). Uno studio condotto all’Università di Oxford, nel Regno Unito – paese con un elevato tasso di obesità infantile, che si è dato come obiettivo il dimezzamento entro il 2030 – e pubblicato su PLoS One fa un po’ di conti e mostra i benefici che si avrebbero con una limitazione simile a quella presente per gli alcolici in molti paesi.
Nello specifico, i ricercatori hanno ipotizzato un divieto per tutti i programmi televisivi trasmessi dalle 5,30 del mattino alle 9 di sera. Inoltre hanno analizzato una serie di dati già disponibili, relativi a quanti spot vede in media un bambino, quanto tempo passa davanti al televisore, quante pubblicità vengono trasmesse in media in una giornata normale e quante di queste sono dedicate ai bambini, quante sono quelle di prodotti poco sani, qual è l’associazione tra spot visti e calorie assunte e così via. Alla fine sono state ricavate alcune cifre più che convincenti.
Se fosse in vigore un tale divieto, i 13,7 milioni di bambini e adolescenti britannici vedrebbero, in media, 1,5 pubblicità di alimenti poco sani in meno al giorno, e questo li porterebbe ad assumere una media di 9,1 calorie in meno. Sembra un valore irrilevante, ma vorrebbe dire che, per i bambini e i ragazzi che hanno tra i 5 e i 17 anni, l’obesità calerebbe del 4,6%, e il sovrappeso del 3,6%, cioè ci sarebbero 40 mila minori obesi e 120 mila in sovrappeso in meno. Oltre a tutte le considerazioni relative alla salute degli adulti di domani dal punto di vista della singola persona, ciò farebbe risparmiare alle casse dello stato 7,4 miliardi di sterline all’anno.
Si potrebbe obiettare come la stima riguardi solo la TV, mezzo di comunicazione ormai spesso minoritario tra i giovani, che potrebbero vedere le stesse campagne pubblicitarie online o altrove. Ma si potrebbe anche ipotizzare una normativa estesa a tutti i media o ancora più ampia (per esempio riguardante eventi sportivi, mezzi di trasporto, eccetera), simile a quella relativa al tabacco, e in quel caso l’effetto sarebbe anche maggiore.
Inoltre, anche se non è stato considerato nello specifico, ci sarebbe anche un effetto collaterale molto positivo: bambini e ragazzi perderebbero l’abitudine, molto dannosa per la loro salute, a consumare cibi insalubri e a bere bibite zuccherate, e questo avrebbe probabilmente ripercussioni sulle abitudini alimentari anche nella loro vita da adulti.
Naturalmente non basta un divieto per eliminare l’obesità infantile, ma questa potrebbe essere una delle strategie più efficaci, insieme allo stimolo all’attività fisica e ad altre iniziative in studio. Nel Regno Unito, un bambino su cinque tra i 4 e i 5 anni e uno su tre tra i 10 e gli 11 è in sovrappeso od obeso. La proposta dei ricercatori di Oxford ha già ricevuto il pieno appoggio delle autorità sanitarie nazionali quali il Chief Medical Officier, lo Health Selected Committee e di altre agenzie sanitarie.
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Giornalista scientifica
La solita storia, già ripetuta: si parla di un paese dove il “cittadino medio” ha una cultura alimentare prossima a zero, non ha quasi mai voglia di cucinare, già i genitori probabilmente erano uguali e quindi non gli hanno insegnato molto sull’alimentazione, non ha alcun concetto di qualità e non sa fare la spesa bene.
In poche parole sono i clienti perfetti delle multinazionali del fast food, e vittime facili del marketing. Ecco perchè LA’ è un problema grosso, molto più che da noi piuttosto che in Francia.
I dati dicono che da noi è un problema in peggioramento, specie perché con l’aumento della popolazione sulla soglia della povertà diminuisce anche l’istruzione media (che si riflette anche nell’educazione alimentare).
Per questo, a mio avviso, è meglio agire prima che il problema diventi grosso anche nel nostro Paese.