Che gli Stati Uniti d’America stiano fronteggiando una vera e propria epidemia di obesità è ormai noto da tempo a tutti. Ma se inquadrare questo fenomeno è relativamente semplice (un terzo della popolazione americana è obesa), non così può dirsi quando si cerca di comprenderne le cause. Tra i vari commentatori, più o meno autorevoli, il giornalista Mark Bittam, dalle colonne del prestigioso The New York Times, dà il suo contributo al dibattito, ponendosi una semplice domanda:“Davvero il cibo spazzatura fa risparmiare?”.
La risposta non poi è così scontata. Con l’utilizzo di un semplice grafico, Bittam smonta uno dei dogmi assoluti in ambito alimentare e ci svela che un pasto medio per 4 persone presso un McDonald’s viene a costare 27,89 $, mentre cucinare a casa un pollo al forno con contorno di patate e una semplice insalata può costare solo 13,78 $.
Non è tutto: il consumatore può risparmiare di più rinunciando a utilizzare solo prodotti freschi. Per un piatto di riso, fagioli, pancetta e peperoni in scatola si dovrà sborsare l’esigua cifra di 9,26$.
L’autore precisa che gli alimenti acquistati per il test provengono da un supermercato dai costi medio-bassi. Niente a che vedere, quindi, con i cibi venduti dai WholeFoods o da un Farmers Market californiano, dove i prezzi sono elevati rispetto alla media. Ciò non toglie che gli americani continuino a consumare pasti presso le catene di fast-food, anche senza un vantaggio economico assoluto. Perché?
Secondo Bittam la risposta ha radici profonde nella cultura americana. Non tutti hanno il tempo e la voglia di cucinare anche un solo pasto giornaliero e c’è addirittura chi lo considera un’attività da poveri. Inoltre bisogna tener conto anche dei food desert: aree geografiche dove l’accessibilità al cibo è molto difficile. Due milioni di americani dal basso reddito vivono in zone rurali e il supermercato più vicino dista 10 miglia (circa 15 Km). La situazione, di certo, non migliora nelle zone urbane: ben 5 milioni di americani non hanno l’automobile e il supermercato più vicino dista mezzo miglio. di contro, per ogni supermercato in America esistono cinque fast-food. Per non parlare dei soldi spesi nel marketing da parte delle grandi compagnie per promuovere i propri ristoranti: ben 4,2 miliardi di dollari.
Nonostante i food stamps (una sorta di sovvenzione statale per l’acquisto di frutta e verdura pari a 5 $ giornalieri) possiamo quindi dire che per molti americani è ancora molto difficile accedere a cibo più salutare. Per risolvere il problema si tratterebbe di affrontare una vera e propria rivoluzione culturale. Cucinarsi un pasto, da soli o in compagnia, deve ritornare ‘di moda’. Ma sarà sufficiente? Sicuramente no se la politica non farà la propria parte. Le proposte sono tante: dal limitare la pubblicità dei fast food all’utilizzare parte dei sussidi dedicati alla produzione di mais ed altri cereali per la coltivazione di frutta e verdura.
A prima vista sembrerebbe un’impresa impossibile. Ma in fin dei conti parliamo di un Paese in cui i movimenti anti-tabacco sono riusciti, dopo anni di lotte, a limitare il marketing delle sigarette e a costringere le ditte produttrici a finanziare campagne contro il fumo.
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