Dopo alcuni anni di tentativi spesso poco efficaci, si inizia a capire quali possono essere le iniziative che hanno contribuito in maniera più incisiva a contenere l’obesità dilagante negli Stati Uniti, per  potenziarle e diffonderle su tutto il territorio nazionale. Le buone notizie arrivano dalla città di New York, che secondo alcuni osservatori ha registrato di recente l’allungamento della vita media dei cittadini, proprio grazie alla grande attenzione posta ai temi della salute, soprattutto da quando è stato nominato sindaco Michael Bloomberg.

 

Questi i fatti. Nel 2007, mentre a livello nazionale veniva introdotto l’obbligo di segnalare in maniera chiaramente visibile la quantità di acidi grassi trans presenti in ogni alimento confezionato, la città è stata la prima a introdurre regole molto severe per quanto riguarda le pietanze servite nei ristoranti, rimasti fuori dall’ordinanza federale: non avrebbero potuto contenere più di 0,5 grammi di questi grassi (i più dannosi per cuore e vasi) per porzione. Inoltre, veniva reso obbligatorio per alcune categorie di ristoranti e fast food, di segnalare le calorie nei menù. Ciò ha indotto tutte le grandi catene di fast food a modificare le proprie ricette per rientrare nei nuovi limiti.

 

A distanza di qualche anno, i ricercatori del New York City Department of Health sono andati a verificare che cosa era cambiato nei piatti proposti ai newyorkesi considerando che loro, come tutti gli americani, assumono più di un terzo delle calorie giornaliere da alimenti acquistati e preparati fuori casa. Come riportato sugli Annals of Internal Medicine, l’analisi di oltre 15.000 pasti, effettuata nel 2007 e poi nel 2009 (cioè subito prima e due anni dopo l’entrata in vigore dei nuovi limiti) ha fatto emergere una differenza significativa nella composizione dei piatti. Gli acidi grassi trans sono diminuiti, in media, di 2,4 grammi a porzione e in alcune catene di hamburger, cibo messicano e pollo fritto si è arrivati a 3,8 grammi.

 

La notizia per certi aspetti più significativa è che queste sostanze molto usate per prolungare la scadenza e facilitare la cottura, sono state rimpiazzate con grassi meno nocivi. Solo in alcuni sandwiches sono stati trovati quantitativi di grassi trans abbastanza elevati. «Certo le catene di fast food non sono diventate spacci di cibo sano – spiega Margo Wootan, direttore del Dipartimento nutrizione del Center for Science in the Public Interest (www.CSPInet.org) – ma è importante che adesso ci siano alimenti migliori dal punto di vista nutrizionale».

 

L’importanza dei dati va però al di là del risultato positivo per i cittadini di New York, perché mostra come sia possibile realizzare cambiamenti importanti senza imporre provvedimenti drastici, che rischierebbero di non essere accolti. Negli ultimi dieci anni, il quantitativo medio di grassi trans assunti dagli americani si è più che dimezzato, e questo è dovuto, sempre secondo Wootan, all’azione sinergica dell’obbligo di indicare le calorie sui menu e sugli alimenti confezionati e a norme per i ristoranti come quelle adottate a New York.

 

C’è ancora molto da fare, se è vero, come indicato in uno studio pubblicato di recente, che il 10% della popolazione (compresi i bambini) assume più di 2,6 grammi di grassi trans ogni giorno, mangiando soprattutto pizze, gelati e piatti surgelati, nonché popcorn (il limite raccomandato dall’American Heart Association ne prevede al massimo 2 e le nuove Linee guida governative consigliano di eliminare il più possibile questi composti dalla dieta). Certo la strada intrapresa è quella giusta – ricordano gli autori e sottolineano che da quando esiste l’obbligo di indicare le calorie nei menu, il 15% dei clienti di New York ordina cibi più sani, assumendo 100 calorie in meno rispetto a prima dell’ordinanza. Il 15% non è una percentuale in grado di modificare rapidamente il peso della popolazione, ma gli indicatori mostrano che forse si sta modificando la pessima cultura alimentare degli americani. «L’ideale – conclude Wootan – sarebbe che il junk food venisse considerato una seconda opzione da ordinare solo dopo avere mangiato un piatto a base di frutta, esattamente il contrario di quanto accade ora». Ne avrà già parlato con Bloomberg?

 

Agnese Codignola

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