Spreco alimentare nelle scuole: nel piatto solo il 12,6%! Perplessità e dubbi sul dato fornito da un’indagine degli operatori dalle aziende
Spreco alimentare nelle scuole: nel piatto solo il 12,6%! Perplessità e dubbi sul dato fornito da un’indagine degli operatori dalle aziende
Beniamino Bonardi 2 Gennaio 2016Il 12,6% del cibo di ogni pasto servito nelle mense scolastiche rimane nel piatto. È quanto emerge da un’indagine realizzata da Oricon, l’osservatorio sulla ristorazione collettiva e la nutrizione che riunisce sei grandi aziende – CAMST, CIR food, Compass Group Italia, Elior, Gruppo Pellegrini e Sodexo. Sulla base di questa percentaule Oricon afferma che “la ristorazione scolastica non è certo il settore con la più alta percentuale di sprechi alimentari, anche se l’obiettivo comune è ridurre quanto più possibile il fenomeno”. Dai dati non si riscontrano eccessive variazioni tra i diversi menu: se la media degli sprechi per i primi piatti si assesta all’11%, quando vengono proposte minestre e zuppe (come vellutata, brodo, passato di verdure, ecc.) si registra uno spreco pari all’11,4%; con la pasta fresca o ripiena (ravioli, lasagne, gnocchi, panzerotti, ecc.) lo spreco è pari all’11,3%; se si tratta di pasta o riso il valore è del 10,8%. Il giorno in cui viene servita la pizza o la focaccia, la quantità di spreco diminuisce all’8% mentre per il pesce rriva al 21%. Il 12,6% di avanzi rappresenta però una cifra sorprendentemente bassa, se raffrontata ai risultati di altre indagini molto acurate condotte negli ultimi anni. Secondo una ricerca condotta dal Comune di Roma nel 2010-2011 su 1.629 gruppi di classe, pari a circa 16.300 utenti e 65.160 porzioni, il valore medio del rifiuto alimentare era pari al 37% , ovvero il triplo rispetto a quanto valutato da Oricon.
Secondo un’indagine realizzata nel 2011 dal Centro Studi per la Sicurezza Alimentare nel comune di Ariccia (Roma) nell’ambito del progetto “Alimentazione e cultura”, su 4.475 pasti consumati in 36 classi della scuola primaria e 11 della scuola dell’infanzia, il valore degli scarti è pari a circa il 53% della somma stanziata, senza considerare i costi di smaltimento. Una rilevazione effettuata nel 2012 da Milano Ristorazione (società del comune che gestisce le mense scolastiche del capoluogo lombardo) in dieci scuole elementari per quattro settimane, pesando il cibo rimasto nei piatti: solo il 43% circa del cibo servito nelle scuole veniva accettato, mentre la rimanente quota era solo parzialmente accettata. Prendendo spunto da questi dati, Milano Ristorazione cambia i menù, tornando a un modello basato su piatti tradizionali. Una seconda rilevazione condotta per 4 settimane l’anno dopo nel 2013 su un totale di mille studenti, scelti in mondo da essere rappresentativi della popolazione scolastica, registra un incremento dell’indice di gradimento (dal 72% a 75%), e la riduzione del rifiuto dal 28% al 25%. Un risultato da considerarsi buono, anche secondo i parametri adottati dalla Regione Lombardia.
Come mai l’indagine di Oricon indica uno spreco pari a meno della metà rispetto a quello registrato due anni fa a Milano, è comunque decisamente inferiore rispetto ad altre situazioni. Il segreto sta nel metodo di calcolo adottato. Per stabilire la quantità del rifiuto, il cibo non è stato pesato ma ci si è basati su questionari compilati dagli addetti alla distribuzione delle mense scolastiche (cioè dagli addetti delle aziende stesse incaricati di scodellare e ritirare i piatti). Il calcolo della quantità di cibo avanzato è stato fatto a occhio. Anche se la valutazione è stata affidata ad addetti esperti, come spiega l’ufficio stampa di Oricon, si tratta di un metodo non documentabile, e per di più realizzato dai dipendenti delle aziende oggetto del monitoraggio. È lecito chiedersi come sia possibile calcolare “a occhio” e poi riuscire a definire valori percentuali decimali riferiti al cibo rifiutato.
Per la precisione l’indagine di Oricon è stata condotta da lunedì 26 ottobre a venerdì 6 novembre 2015, e sono stati monitorati oltre 64.000 pasti somministrati a 7.000 alunni di età compresa da 3 a 11 anni, quindi scuola dell’infanzia e scuola primaria. Oricon non indica le scuole monitorate e neanche i comuni interessati, adducendo motivi di riservatezza. L’unica informazione filtrata è che si tratta di comuni medio-piccoli, situati in sette province ( Milano, Lecco, Brescia, Pavia, Piacenza e Reggio Emilia).
Oricon definisce l’ indagine “qualitativa”, “esplorativa”, “pilota” e precisa che i valori non rappresentativi del Paese, ma aiutano a fornire un quadro complessivo” e sono stati diffusi avendo come primo obiettivo quello di “dimostrare la fattibilità di un Piano di monitoraggio, misurazione e analisi degli sprechi nelle scuole. Un monitoraggio serio sullo spreco alimentare nelle mense scolastiche sarebbe auspicabile, ma i metodi di misurazione, analisi, trasparenza e indipendenza adottati da Oricon non sono certo quelli da utilizzare come riferimento.
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L’educazione alimentare dei bambini è paragonabile a quella culturale degli stessi.
Se ci dovessimo chiedere in che percentuale gli allievi assorbono dati e conoscenza offerta dagli insegnanti, constateremmo dati deludenti.
D’altra parte come si può insegnare, proporre ed impartire insegnamenti e buona educazione, senza proporre materiale e cibo di diversa e buona cultura?
Non fossilizziamoci sul problema dello scarto, ma concentriamo le tematiche al giusto insegnamento familiare e scolastico, offrendo ai nostri pargoli la maggior offerta possibile. Sarà la loro curiosità ed interesse a fare la differenza e la formazione, se l’offerta sarà varia e qualitativamente elevata.