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Frutta e verdura sono più care rispetto al cibo “spazzatura”: questo è uno dei motivi per cui si evitano diete sane

Quando si tratta di elencare le ragioni che spingono verso un’alimentazione scorretta, il “fattore costo” è un elemento sempre presente. Una solida conferma a quest tesi arriva da un accurato lavoro di revisione di una serie di studi, condotto da alcuni scienziati della Harvard School of Public Health. I ricercatori forniscono anche una cifra precisa: una dieta sana costa ogni giorno circa 1,5 dollari in più a persona rispetto a un regime meno salutare.

 

Gli studiosi hanno confrontato i prezzi riportati dalle varie ricerche (27 in tutto, realizzati in una decina di Paesi ad alto reddito) sia rispetto a singoli prodotti alimentari, sia rispetto a diete considerate nel loro complesso. Nel primo caso, gli alimenti sono stati suddivisi in sei grandi gruppi: carne, cereali, latticini, dolci, grassi e bibite/succhi di frutta. In quasi tutte le categorie, eccetto bibite e latticini, le scelte migliori per la salute risultano più care: per esempio, 0,29 dollari a porzione in più per la carne e 0,12 dollari per i dolci.

 

Per le diete si è preso come riferimento un apporto calorico di 2000 kcal al giorno, suddivise in tre pasti. Come riportato sul British Medical Journal Open, un’alimentazione sana, quindi ricca di frutta, verdura, pesce e cereali integrali, costa in media 1,54 dollari al giorno in più a persona rispetto a un regime ricco di cibi trasformati, carne e cereali raffinati. Si tratta di una differenza insignificante, se paragonata ai costi economici per la gestione di patologie legate al cibo (393 miliardi di dollari l’anno negli Stati Uniti, pari a 1200 dollari a persona). Allo stesso tempo, però, si tratta di una cifra importante per famiglie a basso reddito, visto che si traduce in una maggiorazione di circa 550 dollari l’anno a persona per spese alimentari.

 

Bibita
Interventi mirati, come la tassazione su cibi dannosi, dovrebbero essere un obiettivo prioritario

Ma da che cosa dipende questo dollaro e mezzo in più? «Alcuni ritengono che, almeno negli Stati Uniti, i sussidi per alcune produzioni agricole come mais e soia portino a un abbassamento del prezzo di cibi altamente processati e poco sani, rispetto a cibi non processati» spiegano gli autori, che tuttavia contestano questo punto di vista. «In realtà, attente analisi economiche dimostrano che l’impatto principale di questi sussidi si verifica sui compensi per gli agricoltori e non sui prezzi di vendita». In gioco ci sarebbe piuttosto il fatto che da decenni si lavora nell’ambito di un sistema alimentare che in tutte le sue componenti – dai metodi di allevamento e coltivazione ai sistemi di stoccaggio fino alle infrastrutture per processamento, trasporto e commercializzazione – punta alla produzione di enormi quantità di cibo a basso costo. Il che, di fatto, si traduce in alimenti altamente processati che offrono massimi rendimenti all’industria, senza tener conto del fattore qualità per i consumatori.

 

Ecco perché, secondo gli esperti dell’Harvard School of Public Health, bisognerebbe cominciare a lavorare su infrastrutture e reti commerciali che promuovano la produzione, il trasporto e la commercializzazione di alimenti più sani. Maggiori sforzi in questa direzione dovrebbero infatti aumentare la disponibilità di alimenti spazzatura, riducendone allo stesso tempo i prezzi. «E anche altri interventi mirati da parte di chi si occupa di salute pubblica potrebbero essere d’aiuto» concludono gli autori. «Tra questi, per esempio, la tassazione dei cibi dannosi e i sussidi a sostegno di quelli salutari». Il Fatto Alimentare lo ha raccontato: ci sono già studi che suggeriscono che questi provvedimenti funzionano davvero.

 

 

Valentina Murelli

 

©Riproduzione riservata

Foto: Photos.com

 

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mauro bigi
11 Dicembre 2013 14:08

E’ nulla, pari al costo di un mese di auto (450€),o a due sere al mese in pizzeria.