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La notizia sulla presunta cancellazione della legge 283 del 1962 – lo strumento più noto e diffuso per sanzionare in sede penale gli illeciti alimentari – gira in Italia da qualche giorno. È apparsa sui siti internet di quotidiani nazionali come il Corriere della sera, La Repubblica e la Stampa in decine di altre testate. I toni sono concitati e ovunque si afferma che la legge sarebbe stata cancellata dal ministro Calderoli.
Ma la notizia è falsa!
Tutto è iniziato il 22 dicembre scorso quando il  “Sannio quotidiano” riferiva di un commerciante assolto dal reato di detenzione di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione.  Secondo la tesi difensiva (a quanto pare, accolta dal giudice di merito) la norma che punisce questi fatti – articolo 5 della legge 283/62 appunto – risulterebbe abrogata a partire dal 16 dicembre 2010.
Ciò deriverebbe, secondo il teorema difensivo, dalla c.d. “legge-delega per la semplificazione legislativa” (voluta appunto dal citato ministro) nella quale è prevista l’abrogazione di tutte le disposizioni legislative statali pubblicate prima dell’1 gennaio 1970, con eccezione di quelle indicate nei suoi decreti di attuazione.
Una lettura distratta delle norme in tema di semplificazione potrebbe in effetti portare a credere che anche la legge 283 del 1962 sia stata “spazzata via”, ma grazie al cielo non è così. La legge-delega per la semplificazione esclude infatti dall’abrogazione, in linea di principio, tutti  i provvedimenti  che rechino  in epigrafe la dicitura  “codice” o ” testo unico” (legge 246/05, articolo 14, comma 17). E tra questi provvedimenti si iscrive a pieno titolo anche la legge 283/1962, rubricata come “la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”, meglio conosciuta come la legge sui cibi adulterati. D’altra parte se così non fosse lo stesso Codice penale (che risale al 1930) sarebbe stato abrogato, e le patrie galere si svuoterebbero all’improvviso!
A dispetto di quanto riportato su vari siti e giornali, rimane dunque in pieno vigore l’articolo 5 della legge in questione, che recita quanto segue:

“È vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari:
–    private anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo quanto disposto da leggi e regolamenti speciali;
–    in cattivo stato di conservazione;
–    con cariche microbiche superiori ai limiti stabiliti […];
–    insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione;
–    con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati […] o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l’osservanza delle norme prescritte per il loro impiego […];
–    che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l’uomo […]”.

Certo una “rinfrescatina” alla legge del ’62 non guasterebbe, visti i grandi passi avanti sulla sicurezza alimentare fatti negli ultimi anni dalla legislazione europea. Ma sino a che non si provveda a una riforma organica della materia, nessun venditore di alimenti insudiciati o conservati male potrà sottrarsi al processo.

Vale comunque la pena di ricordare che la tutela del consumatore in ambito alimentare è garantita anche dal Codice penale:

Commercio di sostanze alimentari nocive – Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo  sostanze destinate all’alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a € 51,65. La pena è diminuita se la qualità nociva delle sostanze è nota alla persona che le acquista o le riceve.” (art. 444 c.p.),

Frode in commercio – Chiunque, nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a € 2.065,83. Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a € 103,29.” (art. 515 c.p.).

Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine, art. 516 c.p.  Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 1.032,91.

Possiamo ancora dormire sonni tranquilli, dopo una buona cena in Italia

Foto: Photos.com
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