latte

LatteNon ricordo l’anno esatto, eravamo tra il 1981 e il 1983 ed ero tra gli incaricati di rilevare la consistenza degli allevamenti di vacche da latte ai fini dell’imminente adozione del regime delle quote latte con regolamento CEE n.856/1984. All’epoca non esisteva la banca dati nazionale dell’anagrafe zootecnica* e non c’erano i servizi informativi veterinari, non c’erano nemmeno Excell (pochissimi facevano i conti su DigiCalc, ancora meno sul nuovo Lotus 1-2-3) il web, i telefonini e i navigatori, che sarebbero stati assai utili.

Il lavoro non era dei più agevoli: gli allevatori contattabili per telefono erano una sparuta minoranza e li si doveva per forza raggiungere fisicamente a casa (a ora di cena, per avere la ragionevole speranza di trovare qualcuno che non fosse nei campi), con l’unico appoggio di una lista di nominativi e indirizzi ovviamente in piena campagna, con strade sterrate, segnaletica carente e illuminazione inesistente.

Una volta raggiunti (qualcuno si presentava all’uscio imbracciando lo schioppo: non si sa mai, con gli sconosciuti che ti suonano il campanello col buio mentre stai guardando Superflash…), si spiegava il motivo della visita: niente di complicato, bastava ci dicessero quante vacche da latte avevano in stalla, al calcolo della produzione media avrebbero poi provveduto gli uffici incaricati. Era percepibile il timore che fosse allo studio una specie di “patrimoniale” sulle vacche: tra noi rilevatori era diffusa l’impressione che la tendenza fosse di dichiarare una consistenza dell’allevamento decisamente inferiore a quella effettiva.

Se nella gestione successiva delle criticità collegate al sistema delle quote latte al ministero sono addebitabili pesanti responsabilità, non gliene si può attribuire più di tante per aver comunicato una quota iniziale di produzione troppo bassa: se il sistema delle imprese denunciava un numero di vacche largamente inferiore alla realtà, la quantità di latte calcolata non poteva che essere di fantasia. Fu così che, sulla base delle dichiarazioni delle diverse autorità competenti, il regolamento fissò le quote di 25.585 mila tonnellate per la Francia, di 23.487 mila per la Germania, di 15.698 mila per il Regno Unito, di 12.52 mila per l’Olanda, di 8.323 mila per l’Italia e così via: l’1% in più della quantità dichiarata per il 1981. Anzi, dato che in Italia la raccolta 1981 era stata la più scarsa degli ultimi dieci anni la CEE concesse di far riferimento a quella del 1983, così come per l’Irlanda.

Nessuno degli operatori biologici (e nessuno dei loro prodotti) ha presentato profili d’irregolarità

Riferisco il fatto per amor di verità: il peccato originale non fu del ministero (che pure, poi, ne compì in abbondanza). Veniamo, invece, alla convinzione che i controlli ufficiali sul latte siano carenti o che gli allevamenti presentino situazioni border line: così non è. Il ministero della Salute pubblica annualmente i risultati dell’attività di controllo svolte dai numerosi organi che hanno competenza sull’agroalimentare; le informazioni sono liberamente accessibili. Nel corso del 2018 sono stati sottoposti a controlli 4.564 prodotti di 2.532 operatori del comparto lattieri caseario (a fronte di 25.985 stalle di vacche da latte e altre 22mila di bufale, pecore e capre).

La quota di prodotti irregolari è stata dell’8,4%, quella di operatori irregolari il 14% (la differenza sta a significare che una quota di operatori, pur presentando delle non conformità, magari documentali, aveva una produzione in ogni caso regolare). Sono state segnalate 28 notizie di reato, che hanno quindi interessato l’1,1% degli operatori controllati; le altre irregolarità non erano penali, ma punibili con una sanzione amministrativa o una semplice diffida. Solo en passant segnalo che nessuno degli operatori biologici (e nessuno dei loro prodotti) ha presentato profili d’irregolarità, come testimonia lo zero tondo in tabella 2.

Tab.1 Consistenza patrimonio zootecnico al 31.12.2018

Tab.1: Fonte  Ministero della salute, Attività del controllo ufficiale 2018

Le attività di controllo svolte dall’ICQRF sul settore dei prodotti lattiero-caseari nel 2018 sono riepilogate in tabella 2.

Tab.2 – I controlli dell’ICQRF

In tabella 3 sono esposti i risultati delle analisi sulla contaminazione da microrganismi e micotossine.

Tab. 3 – Analisi eseguite sul latte crudo. Fonte: Ministero della salute, Attività del controllo ufficiale 2018

È risultato non conforme lo 0.8% dei campioni; di questo 0,8% le quote più significative sono rappresentate da Escherichia coli (13 campioni positivi su 983), Campylobacter  (11 campioni positivi su 1007), Staphylococcus aureus (12 campioni positivi su 937).

Venendo alla qualità igienico sanitaria del latte di produzione estera, se prendiamo in esame le importazioni (latte e crema di latte), dalla tabella 4 verifichiamo agevolmente che non provengono da origini incerte, ma da altri Paesi UE, nei quali vigono le medesime normative e il medesimo livello di controllo vigenti in Italia; la tesi che si tratti di prodotti meno sicuri di quelli munti nella Penisola, è suggestiva e indice di sano orgoglio nazionale, ma destituita da ogni fondamento.

 

Tab.4 – Importazioni in Italia di latte e crema di latte per quantità (ton.) nel 2018 (Paesi con oltre 50.000 ton). Fonte Ministero della salute, Attività del controllo ufficiale 2018

Nel corso del 2018 sono state introdotte in Italia da Paesi UE 569.281 partite di latte e prodotti derivati dal latte. Tutte tali partite erano necessariamente scortate da certificati sanitari rilasciati dalle autorità veterinarie/sanitarie del Paese esportatore, con tanto di bollo ufficiale, che attestavano il mancato utilizzo di proteine di origine animale nell’alimentazione delle vacche, che il latte proveniva da aree indenni da afta epizootica, che agli animali da cui proveniva il latte non erano state somministrate sostanze estrogene e ormonali, preparati tireostatici o altri inibitori della crescita, che i prodotti non contenevano residui di sostanze come antibiotici e pesticidi né metalli pesanti a livelli superiori a quelli fissati dalle normative, proprio come per il prodotto nazionale. 1.080 partite di prodotto sono state in ogni caso sottoposte a controlli documentali/fisici e 539 a controllo analitico di laboratorio. In tutto il 2018 è stata riscontrata 1 sola irregolarità per la presenza di Escherichia coli shigatoxin-producing, per la quale si è proceduto alla distruzione della partita.

L’Italia è al terzo posto in Europa per consumo di antibiotici a uso veterinario

La vulgata che vorrebbe il latte estero come d’incerta qualità e sicurezza è quindi manifestamente campata in aria: in 539 campionamenti sul latte comunitario entrato in Italia l’anno scorso si è registrata una sola non conformità per Escherichia coli (0,18%) a fronte di 13 campioni positivi sui 983 (1.32%) di produzione nazionale analizzati. Con ciò non intendo assolutamente attribuire maggiori qualità e sicurezza al latte di provenienza estera (non sarebbe vero), ma smentire la tesi bizzarra secondo la quale il prodotto estero sarebbe in qualche maniera di “seconda” qualità: generalmente i prodotti sono da considerare equivalenti.

Anche la tesi che vorrebbe smodato il ricorso ad antibiotici negli allevamenti esteri è bizzarra. Per il rapporto Ecdc/Efsa/Ema 2017 , l’Italia è al terzo posto in Europa per consumo di antibiotici a uso veterinario, con 359.9 mg per ogni chilo di peso vivo, con un consumo che è oltre il doppio della media europea, oltre il triplo di quello francese, oltre 5 volte quello della Gran Bretagna e oltre 10 volte quello della confinante Slovenia. Totò direbbe “Alla faccia del bicarbonato di sodio”, ma sono antibiotici e non bicarbonato.

Tab. 5 -Consumo di antibiotici per uso zootecnico ( quantità e consumo in mg per kg di biomassa)

L’abuso di antibiotici è un’emergenza sanitaria (“il fenomeno dell’antibiotico-resistenza, ossia la diffusione di “super-batteri” resistenti a gran parte degli antibiotici conosciuti che prosperano grazie alla “selezione naturale” favorita dall’abuso di antibiotici, è un’emergenza globale, che va affrontata con un lavoro comune di tutti i soggetti coinvolti”, ha dichiarato in audizione alla Commissione Affari Sociali della Camera Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità).

Latte
Vanno aumentate le misure di contrasto all’antibiotico-resistenza

L’Italia è prima in Europa per numero di decessi legati all’antibiotico-resistenza: delle 33.000 morti che avvengono ogni anno nella Ue per infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici, oltre 10.000 si registrano in Italia, dove le percentuali di resistenza alle principali classi di questi farmaci per otto patogeni sotto sorveglianza (Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter species) continuano a essere più alte rispetto alla media europea.

Quindi, da un lato vanno aumentate le misure di contrasto all’antibiotico-resistenza, necessariamente anche ripensando alla struttura della nostra zootecnia, dall’altro, per favore, smettiamola di ripetere a mo’ di pappagalli le fake news che descrivono un’Italia isola felice e beata circondata da Paesi esteri in cui i controlli non funzionano, le norme consentono ogni turpitudine e la produzione agroalimentare mette a rischio la salute.

* Il regolamento per l’attuazione della direttiva 92/102/CEE relativa all’identificazione e alla registrazione degli animali è stato adottato con il DPR n. 317/1996

Roberto Pinton

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Claudio Piccini
Claudio Piccini
4 Gennaio 2020 21:38

Articolo impreciso e estremamente scorretto su molti punti… Si vuol far credere che in Italia si usa più antibiotici che altrove in europa ma nessuno dice che in europa (neanche in Italia e altrove ancora meno) non c’è assolutamente una comunicazione veritiera dei farmaci utilizzati (in alcuni paesi quasi ridicola) e allo stesso tempo si dice che i decessi in Italia per farmacoresistenza sono 1/3 di tutta l’europa quando sappiamo benissimo che ormai importiamo la maggioranza delle carni anche da quei paesi cosi virtuosi… Poi ancora si dice che in percentuale dai controlli effettuati sul latte risulta che in qualità e sicurezza vince quello di importazione ma subito dopo si dice “Con ciò non intendo assolutamente attribuire maggiori qualità e sicurezza al latte di provenienza estera (non sarebbe vero)”… Cos’altro aggiungere… Altro articolo pro importazioni e autolesivo della nostra agricoltura che cmq a breve avrà finito di esistere per la gioia di molti.
Un agricoltore.

Roberto La Pira
Reply to  Claudio Piccini
5 Gennaio 2020 10:54

Premesso che l’Italia deve importare latte perché la produzione interna non è sufficiente, la nota riporta dati ufficiali da cui emerge che il latte che arriva in Italia è regolare e questa mi sembra uno notizia interessante per tutti.

Claudio Piccini
Claudio Piccini
Reply to  Claudio Piccini
15 Gennaio 2020 20:40

Ho voluto semplicemente far notare le evidenti contraddizioni presenti nell’articolo… per quanto riguarda le insufficienti produzioni interne che giustificano le importazioni è assolutamente vero e ribadisco che continuando con queste politiche pro importazioni e di concorrenza sleale specialmente intraeuropea grazie al cielo dell’agricoltura italiana rimarrà sempre meno.

roberto pinton
roberto pinton
6 Gennaio 2020 09:02

Il succo è questo: come scriveva Roberto La Pira (https://ilfattoalimentare.it/origine-del-latte-report-rai3.html):

“A dispetto di queste evidenze in televisione e sui giornali si tende a criminalizzare le materie prime importate. Eppure in Italia arrivano grandi quantità di materie prime necessarie per produrre ed esportare in tutto il mondo eccellenze come la pasta, l’olio e decine di altri alimenti.

Lo si è visto con la pasta più volte sotto accusa per l’impiego di grano duro straniero che copre il 30% circa del fabbisogno, e viene anche pagato di più perché di ottima qualità. Anche in questo caso l’origine è indicata in etichetta e chi usa materia prima nazionale lo scrive a caratteri cubitali sulle confezioni. La stessa cosa avviene per l’olio extravergine di oliva importato in quantità variabile dal 30 al 60% da Spagna, Grecia e Tunisia.

Analogo ragionamento per le cosce di maiale destinate a diventare prosciutto cotto. In questo caso non è obbligatorio indicare l’origine della carne, ma chi usa suini allevati in Italia lo evidenzia con grandi scritte sul frontespizio della vaschetta.

Difendere il prodotto italiano è comprensibile, ma creare ingiustificati allarmismi o ipotizzare inganni nei confronti dei consumatori e lanciare sospetti sulla qualità dei prodotti preparati in parte o totalmente con materie prime straniere è scorretto.

Aggiornamento del 2 dicembre: anche il Sivemp, il Sindacato italiano veterinari di medicina pubblica, ha preso posizione con un comunicato del segretario Aldo Grasselli: https://ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2019/11/Comunicato-Sivemp-Report.pdf“.

Per l’art.3 del reg.1169/2011 “La fornitura di informazioni sugli alimenti tende a un livello elevato di protezione della salute e degli interessi dei consumatori, fornendo ai consumatori finali le basi per effettuare delle scelte consapevoli e per utilizzare gli alimenti in modo sicuro, nel rispetto in particolare di considerazioni sani­tarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche”.

Carpire le buona fede dei consumatori con informazioni false per indurli a modificare le loro scelte economiche è inaccettabile.

Detto questo, piaccia o meno, i dati dei controlli ufficiali sono quelli riportati.

gianni
gianni
6 Gennaio 2020 15:12

Le quote di carta sono una invenzione investigativa dell’epoca avventurosa e romantica degli allevatori con il fucile in mano in ambienti medioevali?
lo stato incoerente che da una parte non riesce a convincere le associazioni di settore a comunicare dati affidabili perchè è nel loro interesse ( fu preparata e spiegata bene questa raccolta dati?) ,
e dall’altra consente appunto ai possessori di suddette quote di intascare contributi non dovuti,
gli allevatori evasori che temono le tasse e non scuciono dati reali ,
gli allevatori ingannati da chi aveva promesso che non ci sarebbero state multe ma che poi arrivarono salate,
i trasformatori che considerano segreto di stato la diffusione di semplici dati statistici di importazione di latte peraltro buono e con le stesse probabilità del nostrano di essere nei limiti di legge fino a prova contraria,
aziende trasformatrici con discreti bilanci economici , che si fregiano di italianità ma sottobanco preferiscono importare qualcosa di sostanzioso e non investire nel proprio business delle materie prime ora che le quote non ci sono più,
dulcis in fundo la farmacoresistenza con mille numeri a casaccio ma tremendamente reale che il mondo investigativo registra ma che sembra essere senza responsabili, (impossibile da prevedere e governare?)………il fato crudele in persona.
Ma il problema è la inaccettabile circonvenzione di consumatori marziani con informazioni false, fuorvianti e maliziose da parte di qualche malevolo investigatore sfaccendato…………..
Per indurli a cambiare quali scelte , a svantaggio di chi e a favore di chi, devo ammettere che non ho capito niente.

gianni
gianni
7 Gennaio 2020 12:16

Rispettosamente faccio notare che lo scandalo del latte con la salmonella della Lactalis a cavallo tra il 2017 e il 2018 ha toccato anche l’Italia , noi abbiamo acquistato questo latte nonostante il rifiuto di informazioni ufficiali tempestive , e soprattutto considerate che il bubbone è scoppiato e proliferato in un paese di pari attenzione e pari premura della sicurezza dei prodotti in vendita con complicità nel mondo della distribuzione organizzata.
Non voglio essere frainteso e essere additato come un menagramo , vorrei oppure meglio pretenderei che non ci si gloriasse troppo se non ci sono problemi , i controlli funzionano (quasi) sempre ma i pericoli sono sempre dietro l’angolo e la sicurezza non è fatta di autoproclamazioni.