Misurino di latte in polvere, con biberon trasparente su sfondo verde-azzurro

latte in polvere petizioneLe aziende produttrici di latte in polvere per bambini usano l’allergia alle proteine del latte vaccino come ‘cavallo di Troia’ per stringere relazioni pericolose con i medici e i professionisti del mondo pediatrico”. Sono le accuse che il medico e divulgatore Chris van Tulleken rivolge dalle pagine del British Medical Journal a ‘Big Formula’, l’industria del latte artificiale nel Regno Unito, sottolineando l’influenza sui medici e il rischio dei conflitti di interesse.

Nell’editoriale che accompagna l’inchiesta, la direttrice del BMJ Fiona Godlee prende spunto dalle osservazioni di Chris van Tulleken per dire che l’editore, preoccupato per gli effetti della promozione aggressiva dei sostituti del latte materno nel mondo, “sta valutando di rivedere le proprie politiche riguardo alla possibilità di accogliere la pubblicità di questi prodotti”. Pubblicità che nel 2017 ha fruttato all’azienda 200 mila sterline.

Tutto è partito da un dato inquietante: dal 2006 al 2016 nel Regno Unito le prescrizioni di latti formulati speciali per bambini con problemi di allergia alle proteine sono aumentate del 500%, da poco più di 100 mila a oltre 600 mila all’anno, mentre la spesa del Servizio sanitario inglese (Nhs) per questi prodotti è lievitata del 700%. Il problema è che Chris van Tulleken non ha trovato dati epidemiologici per giustificare questo incremento, sollevando il dubbio che il maggior numero di prescrizioni dipenda più da sovradiagnosi alimentate dall’industria che dal reale aumento del problema.

D’altra parte, l’allergia alle proteine del latte vaccino si presta bene al rischio di sovradiagnosi. Accanto a una forma classica con sintomi chiari e immediati, facilmente diagnosticabile con test di laboratorio, ne esiste una più sfumata, con sintomi poco specifici, che non può essere diagnosticata per via biochimica, ma solo escludendo in modo progressivo e successivo gli alimenti a rischio, cioè latte e latticini. Seppur raramente, l’allergia potrebbe manifestarsi anche in bambini allattati al seno: in questo caso le soluzioni proposte sono appunto l’esclusione degli alimenti a rischio dalla dieta della mamma o il passaggio a una formula artificiale speciale, con un quantitativo ridotto o nullo di proteine di origine vaccina.

bambino ciuccio
Secondo un’inchiesta del British Medical Journal, l’industria del latte in polvere sfrutta l’allergia al latte vaccino per vendere, facendo pressione sui pediatri

Il problema è che siamo di fronte a sintomi vaghi, molto comuni nella primissima infanzia, come irritabilità, coliche, vomito, diarrea, stitichezza, feci morbide, meteorismo, eruzioni cutanee, dermatiti. Alzino la mano i genitori che non hanno riscontrato alcune di queste manifestazioni in un bambino di pochi mesi. Certo, i piccoli allergici alle proteine del latte vaccino esistono e per loro è necessario il passaggio a formule specifiche, mentre se sono allattati al seno è la mamma che deve eliminare dalla dieta giornaliera latte e latticini. Per molti bambini però sintomi così generici potrebbero non avere nulla a che fare con l’allergia. In un contesto informativo plasmato dagli interessi commerciali delle aziende produttrici di latte in polvere, genitori e pediatri tendono però a interpretare i disturbi come manifestazioni di allergia, intervenendo con soluzioni non necessarie, come la modifica della dieta materna o il passaggio a latte formulato speciale.

Il trucco è ormai ben noto nell’ambito della salute, dove si punta su sintomi generici per ‘gonfiare’ la percezione di una malattia o di un disturbo e promuovere la prescrizione di farmaci commenta l’epidemiologo triestino Adriano Cattaneo, portavoce della sezione italiana della Rete internazionale di azione per l’alimentazione infantile (Ibfan Italia). E guarda caso, uno dei settori nei quale accade più di frequente è quello della salute mentale, dove spesso i sintomi sono vaghi, proprio come nel caso della forma sfumata dell’allergia alle proteine del latte, e le diagnosi sono principalmente cliniche non basate su test di laboratorio.

Nell’inchiesta sulla sovradiagnosi di allergia alle proteine del latte per i bambini, Chris van Tulleken punta il dito contro uno degli strumenti fondamentali nei processi decisionali dei medici: le linee guida, che dovrebbero essere basate sulle migliori prove scientifiche a disposizione. Su questo tipo di allergia ne esistono diverse: quelle del Nice, Istituto del Regno Unito per l’eccellenza clinica, pubblicate nel 2011 ; quelle dell’Espghan, Società europea di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica, del 2012; e quelle nazionali britanniche (Map) e internazionali (iMap) sull’allergia al latte nelle cure primarie, rispettivamente del 2013 e del 2017. (In Italia le cure primarie sono quelle erogate dai medici e pediatri di famiglia.)

latte in polvere formula biberon
Le principali linee guida per diagnosticare l’allergia alle proteine del latte vaccino sono viziate dal conflitto di interessi con le aziende del latte in polvere

Come ricorda il British Medical Journal, il contenuto di queste linee guida, molto attente a descrivere anche la forma non specifica di allergia, come pure il concetto stesso di allergia alle proteine del latte, è ampiamente diffuso sia tra i professionisti sia tra i genitori attraverso opuscoli distribuiti in ospedali e ambulatori e campagne educative e informative, anche via web (compresi i forum di genitori). Il risultato è che quando mamme e papà cercano in rete informazioni su coliche, meteorismo o diarrea dei bambini si imbattono facilmente in materiali riferiti a questa allergia.

Ora, nel migliore dei mondi possibili le linee guida dovrebbero essere formulate da organismi indipendenti, per evitare il rischio di interferenze da parte di interessi commerciali. Purtroppo non sempre accade. Per questo tipo di allergia, un numero sconcertante di autori (cinque su 12 per quelle del Nice, 10 su 12 per la Società europea di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica Espghan e tutti gli autori di Map e iMap) hanno dichiarato conflitti di interesse con produttori di latte artificiale, o durante la stesura delle relazioni o in epoche successive.

Attenzione: avere un conflitto di interessi non significa essere corrotti e nemmeno che questi medici abbiano accettato chissà quali compensi per scrivere falsità. La questione è molto più sfumata (come spiega bene il recentissimo libro Conflitti di interesse e salute), per cui è lecito ipotizzare il rischio di interessi secondari in grado di interferire con le decisioni degli operatori sanitari mettendo così in secondo piano i pazienti. “Come ben sanno gli esperti di marketing – precisa Cattaneo – è veramente difficile non farsi influenzare e c’è sempre la possibilità di sentirsi in debito, anche a livello inconscio, nei confronti di chi ha offerto qualcosa, che si tratti di un regalo personale o di qualcosa di più sottile”.

Non è solo Cattaneo a pensarla così. Nella seconda parte dell’inchiesta il parere di Francesco Branca dell’Oms e i problemi collegati ai conflitti di interesse e alla pressione delle aziende sui pediatri per la prescrizione del latte in polvere, anche quando non c’è una vera necessità.

(1) la seconda parte del servizio verrà pubblicata tra pochi giorni

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ezio
ezio
29 Gennaio 2019 14:25

Il conflitto d’interessi è palese quando c’è un invito di un qualsiasi pediatra all’uso di un latte diverso da quello materno, quando questo è disponibile e stimolata la produzione nella mamma.
Prima era verso il latte vaccino più o meno formulato, ora verso le alternative senza, ma sempre sbagliate se alternative al materno, salvo rare eccezioni.