Pubblichiamo in anteprima l’editoriale sulla chiusura dell’Inran che Riccardo Quintili (direttore del settimanale di consumi Il Salvagente) ha scritto per il giornale che sarà in edicola domani 19 luglio.
Quintili propone di accorpare l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran) che è stato soppresso per decreto, all’Istituto Superiore di Sanità piuttosto che al Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra). Si tratta di un’idea interessante che speriamo venga vagliata dal Ministero.
L’editoriale de Il Salvagente sulla chiusura dell’Inran
L’equivoco, a nostro giudizio, è di fondo e viene da lontano. Ed è quello che la salubrità dei cibi, gli errori della dieta, o magari anche i benefici che possono provenire da un gruppo di alimenti, siano di competenza di un Ministero che ha nei suoi “fondamentali” la tutela e la promozione delle politiche agricole.
Un vecchio equivoco, che per anni ha mescolato le carte provocando in questo Paese inversioni di ruoli al limite della schizofrenia tra i dicasteri della Salute e quelli dell’Agricoltura. Tutti ricordiamo, ad esempio, le dichiarazioni di chiusura netta agli Ogm di Pecoraro Scanio o di Alemanno (entrambi titolari dell’Agricoltura) e quelle invece molto più favorevoli alle potenzialità del biotech per l’agricoltura di Sirchia e Veronesi (loro, sì, Ministri della salute).
Troppa confusione tra politica agricola e salute
Solo partendo dalla cronica confusione tra politica agricola e salute dei consumatori si può tentare di comprendere l’errore di chi ha deciso (o di chi, come il ministro Catania, ha fatto poco per evitare) la chiusura dell’Inran, l’Istituto che fa ricerca sui cibi, tanto per capirci, quello che ha condotto le campagne (e gli studi per supportarle) sull’educazione alimentare degli italiani.
E di decidere l’accorpamento dell’Inran al Cra, il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura che si occupa, tra l’altro, di ingegneria agraria, climatologia, pedologia (lo studio dei terreni). Ruoli meritori, senza alcun dubbio, per l’evoluzione della nostra agricoltura, per la sua redditività, ma che sarebbe più giusto considerare antitetici nella ricerca libera sulla salubrità degli alimenti.
Lo abbiamo detto già nelle settimane scorse, ma vale la pena ribadirlo: da oggi in poi chi ci toglierà dalla testa che uno studio sui benefici nutrizionali dell’olio d’oliva o una ricerca sulle virtù del grano italiano non nascano dagli interessi (legittimi, per carità) dell’agroindustria tricolore?
L’ombra del conflitto di interessi, si sarebbe detto in altra epoca, si stenderà inevitabilmente sull’esperto di turno che ci dovesse consigliare di consumare più frutta e verdura…
A nostro avviso una soluzione si può ancora trovare, ma va cercata con serietà. Basterebbe a salvaguardare la professionalità di scienziati che sono una risorsa di questo paese e la credibilità di un ente come l’Inran, ma avrebbe bisogno di un atto di umiltà politica. Si vuole accorpare l’Inran a qualche ente esistente per risparmiare?
Bene, lo si porti sotto l’Istituto Superiore di Sanità, dandogli atto di un lavoro a vantaggio dei consumatori italiani. Anche quando questo possa andare a scapito degli agricoltori.
Riccardo Quintili, direttore de Il Salvagente
© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock
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meno male che c’è l’istituto superiore di sanità a garantire l’indipendenza da interessi commerciali… aspartame docet
Dissento. Se l’INRAN finisse sotto l’egida del Min Salute cesserebbe la possibilità di assumervi figure come tecnologi alimentari o agronomi che hanno competenze importanti ma che non figurano nella pianta organica del MinSalute. Andrebbe a finire che se ne occuperebbero i medici (che studiano poco e male la nutrizione umana) e i veterinari, che manco la studiano ma che sono una lobby potentissima.