Che sia per ricavare olio di palma e mangimi, o per allevare bestiame, la domanda di nuove estensioni di terra è cresciuta a tal punto che poco importa se questa terra sia occupata da foreste primarie o habitat insostituibili. E il fiammifero viene acceso.
Mighty Earth spiega che la distruzione per ingrandire e rinnovare pascoli e piantagioni (i roghi servono anche a bruciare coltivazioni precedenti) è funzionale al business delle grandi compagnie internazionali. Quelle specializzate nella produzione, come JBS, Bunge e Cargill, o quelle più attive nella trasformazione e distribuzione, come Stop & Shop, Costco, McDonald’s, Walmart/Asda e Sysco, che acquistano il prodotto per trasformarlo e venderlo al pubblico. E la domanda di cibo, specialmente di carne, è conseguenza di un mercato che si allarga grazie ai Paesi in via di sviluppo e alle nuove potenze: Cina, Hong Kong, Iran, Emirati Arabi Uniti, Filippine sono oggi voci decisive dell’export di manzo brasiliano.
Bunge, Cargill e JBS, colossi per cui è vantaggioso il rogo delle foreste
Tali dinamiche economiche vengono ben raccontate da numerosi studi indipendenti (di qualche anno fa, ma sempre attuale, Agropoly) e rapporti più istituzionali.
Una recente inchiesta in particolare ha mostrato la singolare vicinanza tra le zone più colpite dai roghi e la dislocazione delle infrastrutture necessarie alla filiera della carne (impianti di macellazione), nonché alle vie di comunicazione legate al trasporto della soia e dei suoi derivati. In particolare l’autostrada BR-163, usata dai grandi coltivatori come collegamento fino al porto di Santarem, punto di partenza per l’export delle grandi compagnie.
Le medesime dinamiche produttive e commerciali vengono poi esaminate dall’organizzazione ambientalista Mighty Earth, focalizzata proprio su quanto accade in America meridionale e sulle responsabilità oggettive nascoste dietro chi materialmente accende il fuoco. In due documenti (The Ultimate Mystery Meat e Still At It) la ong analizza l’impegno delle compagnie per la sostenibilità della filiera, e punta il dito contro Bunge e Cargill. In causa vengono chiamati gli appetiti di questi giganti dell’agribusiness che, insieme a Archer Daniels Midland Company e Louis Dreyfus, costituiscono il gota globale che controlla il mercato delle commodities del settore agroalimentare.
Cargill
La statunitense Cargill, definita addirittura come la “la peggior compagnia del mondo”, dal momento che avrebbe ripetutamente rifiutato di interrompere il proprio rapporto economico con i fornitori direttamente coinvolti nella deforestazione. Di certo è la compagnia più importante nel commercio di soia dal Brasile, ed è considerata la maggiore azienda agroalimentare del pianeta, con enormi interessi e attività anche in Bolivia, Paraguay e Argentina. Per quanto riguarda l’anno fiscale 2018 ha registrato un fatturato da 114,7 miliardi di dollari (+5% sul 2017) e utili netti pari a 3,1 miliardi di dollari (+9% sul 2017).
Opera in 70 Paesi con 160 mila dipendenti. Ha interessi nei mangimi per animali e nella trasformazione e nel commercio di materie prime alimentari. Ma è protagonista anche del settore energetico e dei trasporti, dell’industria farmaceutica, e perfino nella produzione di sale chimico per la manutenzione invernale delle strade.
Bunge Limited
Bunge Limited ha sede legale nelle Bermuda e sede operativa White Plains, vicino a New York. Si tratta del maggior commerciante di soia del mondo, ma tratta anche cereali e fertilizzanti. Nel 2018, con poco più di 30 mila dipendenti e attività in 35 nazioni, ha staccato un fatturato di “soli” 45,7 miliardi di dollari.
Acquista, vende, immagazzina, trasporta e trasforma semi oleosi e cereali per produrre oli, margarine e farina proteica per alimenti animali. Produce anche zucchero ed etanolo da canna da zucchero, farine di grano e mais, cereali per mangimi e alimentazione umana, indirizzati all’industria degli snack, dei prodotti da forno, della birra.
JBS
JBS è una compagnia brasiliana da 41,3 miliardi di euro di fatturato nel 2018 (+11,3% sull’anno prima e suo record di sempre), con un utile lordo di 6 miliardi di euro (+10,8% sul 2017). Si attesta tra i principali produttori di carne bovina e suina negli Stati Uniti, di carne bovina in Canada, ed è azionista di maggioranza di Pilgrim’s Pride Corporation, seconda azienda avicola americana, attiva anche in Messico.
La sua controllata JBS USA, infatti, prepara e consegna prodotti freschi di manzo, suino e pollame a clienti in 105 Paesi nei sei continenti. JBS Australia risulta invece il maggiore trasformatore di carne bovina e d’agnello del continente e uno dei principali fornitori di mangimi per allevamento. Complessivamente il gruppo impiega 230mila persone su circa 400 siti, tra unità produttive e di vendita, esportando in più di 150 Paesi.
Ma il colosso globale non macina solo carne e profitti. Nel’ambito di un’indagine chiamata Carne Fria, è stato contestato dall’Ibama per un coinvolgimento nella deforestazione brasiliana, benché la compagnia si difenda rivendicando pubblicamente di adottare rigorosi criteri di sostenibilità. La difesa non è bastata alla ong ambientalista internazionale Greenpeace per proseguire i negoziati con la corporation nell’ambito del cosiddetto Cattle Agreement. Ma non solo. Perché in base a un’inchiesta svolta da Reporter Brazil in collaborazione con The Guardian, JBS avrebbe acquisito bestiame da produttori con responsabilità nello sfruttamento dei lavoratori e nel disboscamento illegale.
Corrado Fontana – Valori
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Vivendo in valtellina non posso non pensare che JBS è attualmente proprietario della Rigamonti e produttore della famosa e vendutissima bresaola della valtellina igp Rigamonti, che in realtà non viene prodotta con carne valtellinese e spesso nemmeno con carne italiana, perché questo è consentito dal disciplinare di produzione, per cui importa solo il luogo di trasformazione del prodotto.
Bella roba: complimenti ai governi mondiali che stanno facendo di tutto per fare estinguere l’uomo sulla terra senza opporsi alle multinazionali. Guardate che la terra è di tutti noi. Non basta la ricchezza mondiale in mano a pochi intimi, sfruttando i poveri. Ma Greenpeace cosa dice :non vorrei che sotto sotto gatta ci cova.