Un ballo sul Titanic. Così viene descritto l’approccio o, meglio, il non-approccio delle autorità britanniche a quella che probabilmente è la questione più importante relativa all’uscita dall’Unione europea, e cioè le conseguenze sul sistema-cibo, da tre tra i massimi esperti del settore. Si tratta di Erik Millstone, dell’Università del Sussex, Tim Lang di quella di Londra e Terry Marsden di quella di cardiff, autori di un dettagliatissimo rapporto di 86 pagine intitolato: Food Brexit, il tempo della realtà. Nel testo si analizzano i possibili aspetti critici e si indicano le direzioni verso cui procedere con maggiore urgenza, tra le numerose che sarà necessario affrontare. E questo perché, com’è noto, il corpus di normative e leggi più importanti emanate dall’UE riguarda proprio la catena alimentare e la Gran Bretagna, come gli altri stati membri, da decenni ha integrato il sistema continentale con il proprio.
Ora però cadranno tutti i vincoli e le tutele, e il paese dovrà adattare i propri regolamenti a una realtà completamente diversa. Infatti dovrà rimodellare tutta la filiera tenendo conto delle esigenze ambientali, lavorative, di salute, economiche. Inoltre potrà contare solo su stesso, nonostante appartenga a un continente in qualche modo federale e realizzando tutto ciò in un’organizzazione generale che, secondo i tre esperti, versa in pessime condizioni, dopo anni di declino, non sarà semplice. Tutto ciò richiederà una grande organizzazione e pianificazione delle quali, a oggi, al contrario, non c’è traccia, a parte qualche vago riferimento in alcuni discorsi di personaggi politici a nuovi piani per l’agricoltura e la pesca made in UK.
Il rapporto “Food Brexit” che contiene decine di opinioni di esperti del settore e sono citati moltissimi studi pubblicati negli ultimi anni, riassume in 15 punti gli aspetti più delicati, ponendo domande molto imbarazzanti, che spesso sono anche dei veri e propri j’accuse:
1. La visione. Quali obbiettivi avrà il nuovo sistema inglese, e quanto sarà diverso rispetto a quello europeo? Si terrà conto delle esigenze della sostenibilità, conciliandole con quelle sociali e di salute?
2. Leggi nuove. Saranno riadattate sulla traccia di quelle europee (oltre 4.000 quelle presenti nell’ordinamento inglese che risultano in linea con quelle UE) o si procederà a una semplice cancellazione per poi reimpostare tutto da zero?
3. Sicurezza. La Gran Bretagna importa dall’Unione Europea il 31% del cibo consumato dai cittadini. La quota rimanente è prodotta in loco, ma nell’ambito di un sistema vecchio, che non ha un indirizzo né una leadership forti. Tutto ciò può essere molto pericoloso.
4. Sostegno pubblico. Quanto sa l’opinione pubblica dei cambiamenti che si verificheranno in questo ambito nel 2019, per esempio per l’accesso delle merci provenienti da altri paesi, per gli standard di qualità e sicurezza, per l’andamento dei prezzi e così via? Quanto si intende coinvolgerla?
5. Qualità e standard. I promotori della Brexit non hanno mai raccontato bene alle persone che il cibo in futuro non dovrà sottostare alle norme di sicurezza europee. Questo vuol dire che alcune aziende nazionali e multinazionali sperano in futuro di non dover sottostare ai severi standard e ai controlli europei. In che modo le autorità inglesi intendono organizzare lo One Nation Food e quali regole verranno applicate ai prodotti alimentari provenienti da paesi asiatici che applicano controlli molto blandi.
6. Politica agraria e della pesca. I piani relativi a pesca e agricoltura comunitari sono stati spesso criticati dalla Gran Bretagna con delle buone ragioni. Ma quando questi accordi verranno meno, che cosa si intende fare? Al momento non esiste un piano organico, ma solo vaghe dichiarazioni relative alle nuove tecnologie o alla sospensione di alcuni tipi di pesca.
7. Lavoro. Gran parte del sistema-cibo dipende dal lavoro degli immigrati, che provengono per più di un terzo dall’Unione Europea: nel complesso, oltre 4 milioni di persone. Che si vuole fare?
8. Sussidi. Oggi i sussidi europei rappresentano circa la metà degli introiti delle fattorie inglesi. È stato detto che saranno mantenuti fino al 2022. E poi?
9. Politiche nazionali e regionali. Oggi in Gran Bretagna non esiste una politica alimentare, perché ci si è sempre appoggiati all’Europa; solo la Scozia e il Galles hanno programmi precisi. Ma il problema del cibo è forse la principale sfida del futuro, anche alla luce del riscaldamento globale. La Gran Bretagna cosa intende fare?
10. Rapporti con i vicini. I paesi confinanti, tutti europei, sono increduli e ostili. Bisogna costruire ponti, perché la Gran Bretagna non può provvedere al fabbisogno alimentare da sola.
11. Conseguenze sociali. Il gap tra ricchi e poveri è destinato ad ampliarsi anche in Inghilterra e questa differenza è di solito associata alla qualità dell’alimentazione. La questione è cruciale per la salute, ma nessuno sembra preoccuparsene.
12. Organismi e infrastrutture. Con che cosa le autorità vogliono rimpiazzare le agenzie e gli uffici comunitari che fino ad ora hanno contribuito a definire regole e controlli nel Paese?
13. I negoziati. Entro 18 mesi dovranno essere conclusi. Se non si prenderà in mano la situazione e non si predisporranno i provvedimenti necessari, a oggi neppure immaginati, sarà semplicemente il caos. Un caos dal quale la Gran Bretagna uscirà sconfitta, e che la condizionerà per molti anni.
14. Il ruolo di Big Food. Il vuoto sarà colmato dalle grandi multinazionali, che già oggi, pur in un sistema di regole severe, riesce spesso a far prevalere i loro interessi. Come potrà fronteggiarle un piccolo paese isolato?
15. Prezzi e tariffe: secondo alcune stime, i prezzi degli alimenti importati aumenteranno in media del 22%, dopo la Brexit, e saranno in generale più instabili, esponendo i più poveri ai rischi maggiori. C’è qualche idea sulla politica economica legata al cibo?
“I politici devono sviluppare una strategia, e prendere le decisioni conseguenti” ha commentato Millstone “perché il nostro paese corre gravi rischi; se non si elabora al più presto un piano sarà inevitabile cadere in una situazione caotica dalla quale sarà molto complicato uscire. Prima di entrare nella seconda guerra mondiale, il paese aveva predisposto i piani di emergenza” gli ha fatto eco Lang. “Ma ora non ha nessuno, anche se rischiamo una grave compromissione di risorse, qualità, prezzi, salute”. “I consumatori inglesi” ha concluso Marsden “ogni anno spendono 201 miliardi di sterline e contribuiscono con 101 miliardi al PIL; di questi, 9 miliardi provengono dall’agricoltura e 0,7 dalla pesca. Se non si prenderanno provvedimenti urgenti, il paese rischia un tracollo anche economico senza precedenti”.
In un mondo sempre più piccolo, la tentazione di fare da soli è grande, e conquista fasce crescenti di popolazione. La quale non sempre ha le idee chiare sulle conseguenze di alcune decisioni. Ora gli inglesi ne sapranno di più, e non solo loro.
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Giornalista scientifica