«L’insicurezza degli approvvigionamenti alimentari e il cambiamento climatico stanno già ostacolando il benessere dell’umanità e la crescita economica in tutto il mondo», afferma John Beddington, chief science adviser del Regno Unito, nel recente rapporto della International Commission on Sustainable Agriculture and Climate.

 

Oggi siamo 7 miliardi (di cui 2 con meno di 2 dollari in tasca ogni giorno), saremo 9 miliardi nel 2050, il 70% urbanizzati. Il cibo non scarseggia, ma è distribuito irregolarmente: 1 miliardo alla fame, 1 miliardo sovrappeso, 300 milioni gli obesi. E i leader politici sono lontani dagli Obiettivi di Fine Millennnio (Millennium Development Goals) di cui si parla da una dozzina d’anni.

 

Nel 2050 la popolazione mondiale avrà bisogno del 70% di cibo in più. Intanto volano alle stelle i listini alimentari, si aggravano in tragedie umanitarie e le crisi alimentari,  land grabbing e bio-fuels rubano ogni speranza alle popolazioni nei Paesi in via di sviluppo.

 

Ciò che serve, secondo gli esperti, è una raffica di “green bullets”: ‘pallottole verdi che non hanno a che fare con l’industria degli armamenti ma con l’innovazione in agricoltura e in agroindustria sul territorio, in pratica il sostegno delle produzioni locali. Una ricetta unica non basta: il mito della “green revolution” ha mostrato i suoi limiti, le monocolture intensive inaridiscono i terreni e l’uso sconsiderato di fertilizzanti e antiparassitari inquina le falde acquifere.

 

Dalle parole ai fatti, condividere buone prassi ed esperienze – anche su piccola scala, ma di successo – potrebbe essere utile. Forse ancora più di alcuni mega-progetti di aiuto diretti dall’esterno, spesso mal compresi dai beneficiari o comunque inadatti alle condizioni locali. Gli esempi non mancano: nell’Africa sub-sahariana colture di sorgo e miglio anziché riso per resistere alla siccità, silos a prova di parassiti per le riserve necessarie quando i prezzi volano, sistemi di irrigazione a goccia, piantumazione. Nelle bidonville keniote, coltivazione vegetali nei sacchi di terra accanto agli alloggi. Negli slum americani, orti urbani e colture idroponiche. Nelle Filippine, riso capace a sopravvivere alle inondazioni. E così via.

 

In attesa che le Guidelines for responsible tenure of farmland, fisheries and forests di recente adottate dal Committee on World Food Security trovino effettiva applicazione da parte dei 191 Stati della Fao, è essenziale l’impegno di Ong come Landesa per formalizzare i diritti delle famiglie sulle terre.

 

Oltre il 40% della produzione agricola in Africa e Asia è frutto dell’impegno femminile che merita sostegno in termini di diritto sulle terre, ma anche di informazione. La crescente diffusione degli smartphone può aiutare ad avere in tempo le previsioni meteo, in modo da adottare misure preventive di protezione dei raccolti. Se ne ha già buona prova, ad esempio in Andhra Pradesh (India).

 

Molte caselle vanno ancora riempite, ma coloro che hanno anche un minimo potere di scelta – spesa, conservazione, preparazione e consumo dei cibi – possono fare la loro parte. Per esempio impegnandosi a ridurre gli sprechi. E per promuovere un cambiamento all’insegna della solidarietà e sostenibilità, sono utili anche strumenti innovativi di partecipazione democratica come le petizioni online. Sono queste le conclusioni della ricerca illustrata dalla Fondazione Thomson Reuter (vedi link). 

 

Dario Dongo

foto: Photos.com

 

Per saperne di più

“Nel 2030 il collasso alimentare”: era la previsione di uno studio degli anni Settanta del MIT. Il parere di Vittorio Prodi

Millennium Development Goals

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Landesa – Rural Development Institute

‘Green bullet’ innovations aim to feed world of 9 billion

Thomson Reuters