Container in mare: l’impatto sull’ambiente e sulla qualità dei trasporti di alimenti. I risultati delle ricerche dell’Università di Bologna presentate a Expo
Container in mare: l’impatto sull’ambiente e sulla qualità dei trasporti di alimenti. I risultati delle ricerche dell’Università di Bologna presentate a Expo
Beniamino Bonardi 17 Settembre 2015Il trasporto dei prodotti alimentari sulle lunghe distanze ha assunto sempre maggior rilevanza negli ultimi anni, con viaggi che durano anche 30-40 giorni, in container su navi, esposti a notevoli variazioni di temperatura e ad altri fattori, come vibrazioni e umidità. I prodotti freschi vengono trasportati in container refrigerati, mentre altri no e sono sottoposti a notevoli stress, che possono incidere sulla qualità finale del prodotto, una volta arrivato a destinazione.
Le attività di logistica nel settore agroalimentare sono oggetto di studio all’Università di Bologna, per tracciare le modalità e le condizioni di trasporto di alcuni prodotti alimentari, valutando gli impatti sulla qualità e la sicurezza alimentare, quelli economici e quelli ambientali. Attualmente, l’attenzione è focalizzata sul vino e l’olio di oliva, per identificare le criticità e le opportunità di miglioramento. A breve, l’idea è inserire nell’analisi altri prodotti come frutta, verdura e carni.
Lo stato di queste ricerche è stato illustrato durante un convegno organizzato da Granarolo all’Expo 2015 da Riccardo Manzini, direttore del Food Supply Chain Center del Dipartimento di Ingegneria industriale dell’ateneo bolognese. Il progetto vuole coinvolgere un sempre maggior numero di aziende agroalimentari italiane, al fine di tutelare e valorizzare l’export dei prodotti tipici, garantire la qualità e la tracciabilità a tutela del consumatore finale, e verificare la sostenibilità ambientale e sociale dell’intera catena logistica dei prodotti alimentari.
I ricercatori dell’Università di Bologna hanno sviluppato un laboratorio di monitoraggio e simulazione degli stress fisico ambientali. In una prima fase vengono inseriti dei registratori di dati e delle tecnologie di tracciabilità nelle varie spedizioni di merce. Terminato il viaggio, queste apparecchiature vengono inviate all’Università di Bologna, che ne analizza i dati in dettaglio e ricostruisce in laboratorio le condizioni di trasporto (temperatura, umidità, vibrazioni) mediante l’impiego di un simulatore, effettuando anche un’analisi organolettica (sensoriale) e di laboratorio, per giudicare gli effetti sulla qualità del prodotto imputabili al trasporto.
I dati hanno mostrato che nei container non refrigerati i prodotti vanno incontro a rilevanti sbalzi di temperatura, che possono andare dai -15° ai +50° e che, nel caso dei vini, sensibili alle alte temperature, possono avere effetti diversi tra quelli bianchi e quelli rossi, mentre l’olio è sensibile alle basse temperature. I sensori indicano anche come gli stress dovuti alle vibrazioni, che possono provocare fenomeni di ossidazione, sono decisamente maggiori durante le operazioni condotte nei porti, rispetto alla navigazione in mare.
La conoscenza di questi dati e dei possibili danni qualitativi ai prodotti alimentari trasportati consente alle aziende produttrici di organizzarsi al meglio per ridurre gli effetti negativi. Come spiega Manzini, l’opzione di generalizzare l’utilizzo di container refrigerati è interessante, ma comporta un significativo costo per le aziende e un notevole impatto ambientale. La soluzione verso cui ci si sta indirizzando è di utilizzare delle specie di cappotti termici per coprire i container, limitando gli sbalzi di temperatura, e cercando di posizionare i container nelle zone della nave meno sottoposte a vibrazioni. Un elemento importante, però, è che queste misure diventino pratica comune da parte di un numero significativo di produttori di beni alimentari, in modo che chi adotta le soluzioni più avanzate non risulti penalizzato dal punto di vista dei costi, rispetto ai concorrenti.