Gli USA, condannati anche in appello dalla WTO per avere introdotto l’etichetta “Dolphin safe” sul tonno pescato con tecniche che risparmino i delfini dal rischio della mattanza. Non è sempre facile comprendere il significato delle decisioni prese dalla WTO (World Trade Organization) in ambito alimentare. L’imperativo è sempre quello di eliminare gli ostacoli al libero scambio, pure se essi rispondono alle sensibilità dei cittadini e dei Paesi aderenti.
L’Organizazione Mondiale del Commercio [1] è stata istituita nel 1995 con l’obiettivo primario di abolire o ridurre le barriere tariffarie e tecniche al commercio internazionale delle merci e dei servizi. La sua stessa esistenza, come il suo operato, si basa su accordi cui attualmente partecipano 155 Paesi membri, oltre a 30 osservatori. Gli accordi definiscono, tra l’altro, i limiti che possono venire imposti alla circolazione delle merci per esigenze di tutela della salute pubblica e dei consumatori, nonchè di protezione dell’ambiente e delle risorse naturali. Tali limiti, per quanto riguarda le derrate agricole e i cibi, tendono a identificarsi con le regole (condivise da tutti i Paesi aderenti a Fao e Oms) del Codex Alimentarius [2]: ad esempio, gli Stati membri WTO possono introdurre limiti massimi di residui di antiparassitari negli alimenti, in conformità alle soglie definite nel Codex, senza rischiare di finire nei guai.
I guai cominciano quando uno Stato membro WTO ritiene che la legislazione di un altro Stato membro ostacoli il libero scambio delle merci “senza giustificato motivo”. In tal caso viene istituito un panel (l’organo di risoluzione delle controversie), per valutare se:
– la normativa impugnata effettivamente costituisce una barriera al commercio internazionale
– i motivi a base delle norme sono giustificabili. Che si tratti di protezione della salute pubblica o dell’ambiente, ogni prescrizione o divieto deve basarsi su dati scientifici comprovati e dev’essere proporzionato agli obiettivi. Altrimenti, si abbatte la scure della “Corte del libero scambio”.
Se l’assemblea da ragione al ricorrente, può autorizzarlo ad adottare misure ritorsive di tipo economico nei confronti di chi soccombe al giudizio. Cosi ad esempio gli Stati Uniti e il Canada, dopo aver vinto la battaglia contro i divieti UE alle bistecche con gli ormoni, avevano raddoppiato i dazi d’importazione su molti prodotti in arrivo dall’UE, e la battaglia è durata un paio di decenni con gravi danni per gli esportatori europei [3]
Dolphin safe. Gli Stati Uniti hanno sviluppato un sistema di regole per etichettare come “Dolphin safe” i prodotti alimentari che derivano da tonno pescato senza mettere a repentaglio la vita dei delfini. Tutto dipende dal metodo e dall’area di pesca. Il sigillo “delfino sicuro” è certamente escluso quando la pesca viene eseguita col metodo “Purse-seine” [4], una sorta di tonnara che nel Pacifico Orientale, a livello dei Tropici, sfrutta la presenza (e segregazione) dei delfini per attrarre i tonni. Tale metodo è usato soprattutto dalle flotte messicane, e i prodotti che ne derivano non possono perciò riportare il marchio “Dolphin safe”. Eppure, il Messico ha imbastito un contenzioso al WTO affermando che questo marchio pregiudica le vendite in USA dei prodotti derivati dai suoi tonni sui loro prodotti.
Il 16 maggio il panel di appello del WTO ha confermato la condanna degli Stati Uniti, già inflitta in primo grado a settembre scorso. Secondo i giudici internazionali, il sistema USA di certificazione ed etichettatura “Dolphin safe” sarebbe eccessivo e sproporzionato rispetto alle esigenze di informazione dei consumatori e protezione della fauna marina. I cavilli giuridici su cui la decisione è basata non rispecchiano le sensibilità manifestate da consumatori e ambientalisti.
Dario Dongo
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[1] WTO: sito ufficiale, sito Wikipedia
[4] Seine fishing
Giornalista scientifica
ma in che pianeta viviamo?
incredibile…