Sugli scaffali dei supermercati sono esposti datteri di varie provenienze, Egitto, Marocco, Tunisia, Arabia Saudita e anche Israele che, secondo gli intenditori, sono di pregio. Li abbiamo trovati da Coop, Esselunga, NaturaSì, Iperal e, probabilmente, sono presenti anche in altre insegne. I frutti israeliani provengono da aree agricole il più delle volte “espropriate” o confiscate ai legittimi proprietari.
Il dolore del Papa
I datteri provengono da un Paese, Israele che, secondo i più autorevoli organismi internazionali, porta avanti un genocidio a Gaza. Un Paese che non rispetta le direttive dell’ONU, un Paese protetto dall’Europa e dell’America che forniscono materiale bellico per bombardare uomini, donne e bambini e distruggere le strutture. Anche il Papa esprime un forte dolore per questo genocidio, ma viene poco ascoltato da molti politici e politicanti.
Molti consumatori scelgono di comprare datteri provenienti da altri Paesi. Qualcuno critica la scelta, ma dimentica che, quando per via dell’apartheid si boicottavano i prodotti sudafricani, Mandela non chiedeva di distinguere tra coltivatori bianchi “buoni” e “cattivi”: invitava a boicottare tutto lo Stato razzista del Sudafrica. Oggi un modo per fare capire quale sia l’indignazione internazionale per la distruzione del popolo palestinese è anche di non compare i prodotti israeliani.
Come riconoscere i datteri israeliani
Ma come riconoscere i datteri israeliani? Non essendo obbligatorio riportare l’origine in etichetta, ci sono produttori che citano in modo chiaro sulla confezione il paese di origine – Egitto, Marocco, Tunisia, Arabia Saudita – e in questo caso la scelta è semplice. Quando l’origine non c’è o viene indicato in etichetta solo il paese di trasformazione, oppure si usano frasi generiche del tipo Extra UE, si può supporre il tentativo di mascherare la provenienza e, in questo caso, conviene cambiare prodotto.
La guerra dei datteri può sembrare ridicola, come la guerra dei bottoni del famoso film, ma è l’unico modo quando faccio la spesa di solidarizzare con i palestinesi, di contrappormi a chi vende datteri coltivati in territori occupati illegalmente. È vero che un dattero non fa primavera, ma lo considero una spina virtuale. Resta l’indifferenza delle catene di supermercati come NaturaSì, Coop, Esselunga, Iperal.
© Riproduzione riservata. Foto: iStock
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
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Assolutamente d’accordo. Io pure non compro assolutamente datteri, ed altri prodotti, israeliani.
Ma per legge… non è obbligatorio scrivere sulla confezione, il paese di origine, e dove il prodotto viene confezionato, la lista degli ingredienti, data di produzione e di scadenza? Io personalmente già i prodotti (ad esempio olio extra vergine di oliva e miele) se hanno la scritta UE non li acquisto… Ovviamente prediligo il prodotto italiano, ma se fosse estero vorrei comunque sapere la provenienza. Grazie per l’attenzione
Per i datteri non è obbligatorio. In genere però è scritto.
Il boicottaggio è l’unica arma che abbiamo, usiamola. Puó fare la differenza se si è in tanti.
Temo purtroppo che non avra’ probabilmente effetti rilevanti, ma almeno si evita di mangiare cibi sporchi del sangue dei bambini di Gaza e del resto della Palestina.
Ieri a Gaza è morta di freddo una bambina di tre mesi. Bisogna aggiungere altro?