“Ottimo coadiuvante per il controllo del peso corporeo, non solo riduce lo stimolo della fame ma anche l’assimilazione dei grassi”: è una delle tante meraviglie attribuite in Rete al chitosano, una sostanza che, in vari dosaggi, è alla base di molti integratori per dimagrire, prodotti che in questa stagione dell’anno diventano particolarmente attraenti per molte persone.
Se provate a digitare chitosano sulla stringa di Google usciranno vari link in cui si pubblicizza l’effetto dimagrante, e altri più critici sull’efficacia.
In effetti, la relazione tra assunzione di chitosano e riduzione del peso corporeo non ha un fondamento scientifico, e già da anni sono stati pubblicati diversi articoli su riviste scientifiche.
L’Efsa, nella sua quinta serie di valutazioni delle indicazioni “funzionali generiche” sulla salute, presentate in un lungo articolo da Ilfattoalimentare.it, ha negato l’autorizzazione a scrivere in etichetta“ riduce il peso corporeo”. Bocciata anche la relazione tra ingestione dell’integratore e la velocità di transito intestinale del cibo. È stato invece autorizzato il claim sull’efffetto del colesterolo: per l’Efsa, “Il consumo di chitosano aiuta a mantenere normali le concentrazioni di colesterolo-LDL nel sangue”.
Ma che cos’è il chitosano? E una sostanza che deriva dalla Chitina, che, dopo la cellulosa, è il più abbondante biopolimero presente in natura. Oltre a costituire l’esoscheletro di numerosi insetti e crostacei, la chitina è infatti sintetizzata da diversi funghi e lieviti.
L’esoscheletro dei crostacei è fatto di chitina per il 15-20% del peso, e proprio dagli scarti di lavorazione dei crostacei si ottiene il chiosano impiegato come ingrediente per prodotti dietetici. Ma anche quello derivato da vegetali ha ricevuto l’approvazione come Novel Foods dalla UE, che lo considera identico a quello di origine animale.
Oltre che nell’industria alimentare, il chitosano è utilizzato nel settore farmaceutico, tessile e biomedico. “Strutture” costituite da chitosano possono servire per veicolare farmaci, ed è stato testato anche come conservante: aggiungerlo alla carne macinata riduce significativamente la crescita di Clostridium perfringens, un batterio che causa tossinfenzioni alimentari.
Alcuni studi hanno mostrato che il chitosano non viene digerito, ma è degradato dalla flora microbica presente nell’intestino colon, comportandosi quindi come le fibre alimentari.
Il panel di esperti Efsa ha anche fissato in 3 g la quantità da consumare giornalmente per avere l’effetto sui livelli di colesterolo nella popolazione adulta.
A questo punto sono vari i composti che hanno ricevuto dall’Efsa l’autorizzazione a vantare in un claim in etichetta capacità di regolazione dei livelli di colesterolo. I fitosteroli e i fitostanoli sono stati i primi, poi sono arrivati i betaglucani, l’amido resistente e ora il chitosano.
Quali di questi avete già provato? Avete registrato dei risultati … scriveteci
Gianna Ferretti (blogger di Trashfood)
Foto: Photos.com
Fonte: http://nutrimenti.simplicissimus.it/2011/07/08/il-chitosano/