Secondo l’analisi mensile dell’Istat, ad aprile il lockdown ha fatto registrare rincaro marcato del cosiddetto “carrello della spesa”, che include i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona, con un balzo di +2,6% su base annua, mentre l’inflazione è praticamente azzerata. Le cause sono diverse e ormai note, in particolare, “il restringersi dell’offerta e della domanda commerciale al dettaglio” precisa l’Istat, e la chiusura di molti punti vendita e di mercati rionali, con derivanti criticità di rifornimento e di concorrenza abituali, ma soprattutto i problemi di trasporto e la carenza di manodopera nella filiera alimentare.
Secondo un’analisi firmata da Coldiretti sull’impatto del lockdown, realizzata sul rapporto dell’Istat sui prezzi base, sarebbero in difficoltà quasi sei aziende ortofrutticole su dieci (57%). Questo ha portato a uno sconvolgimento del mercato che ha fatto schizzare i prezzi al consumo dalla frutta (+8,4%) alla verdura (+5%), ma anche di latte (+4,1%) e salumi (+3,4%).
Un grande peso sulla crisi dell’agroalimentare nazionale ha avuto la chiusura forzata di ristoranti, alberghi e bar a causa dei mancati acquisti di cibi e bevande per la preparazione dei menu. Coldiretti ricorda che “la spesa degli italiani per pranzi, cene, aperitivi e colazioni fuori casa prima dell’emergenza coronavirus era pari al 35% del totale dei consumi alimentari per un valore di 85 miliardi di euro all’anno”.
Altro punto critico causato dal protrarsi della quarantena riguarda il settore agroalimentare del Made in Italy. Il motivo è la difficoltà di esportare molti prodotti come vino e birra, frutta, verdura ma anche salumi e formaggi di alta qualità, viste le difficoltà con molti Paesi stranieri che hanno adottato le stesse misure di blocco per il settore della ristorazione.
Nel mese di aprile, “pienamente investito dall’emergenza sanitaria in corso, da una parte il restringersi dell’offerta e della domanda commerciale al dettaglio (concentrate su un minor numero di comparti merceologici), dall’altra il crollo delle quotazioni del petrolio determinano – ha spiegato l’Istat – spinte contrapposte: inflazionistiche per i prodotti alimentari e deflazionistiche per i beni energetici. Queste ultime sono prevalse, determinando l’azzeramento dell’inflazione (non avveniva da ottobre 2016 quando la variazione dell’indice dei prezzi al consumo fu negativa e pari -0,2%); tuttavia, i prezzi del cosiddetto “carrello della spesa” accelerano (+2,6%), portandosi a livelli di crescita non registrati da febbraio 2017″.
Questo aumento dei prezzi renderà ancora più evidente il divario sociale fra chi può permettersi cibo di qualità e chi invece si deve orientare verso opzioni più a buon mercato. A lanciare l’allarme è Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, che interpreta in questo senso alcuni mutamenti nei consumi, ad esempio il fatto che le uova crescano del +47% a discapito di altri prodotti più pregiati, come il pesce, in caduta libera, o la carne che aumenta in quantità ma si concentra principalmente sui tagli meno costosi. “È evidente una stretta connessione fra questi mutamenti nella composizione della spesa alimentare e le buste paga più leggere di aprile” spiega Scordamaglia. “Stiamo assistendo a una polarizzazione netta fra chi può permettersi un carrello di qualità, perché la crisi non ha messo in crisi il potere di acquisto o l’ha visto aumentare per la riduzione di altre spese, e chi ha perso il lavoro o è in cassa integrazione, deve necessariamente concentrarsi su prodotti di meno costosi”.
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