Non solo gas e luce. C’è un’altra utenza domestica, troppo spesso trascurata, il cui costo sta crescendo silenziosamente da anni: l’acqua potabile. La tariffa che paghiamo per questo bene fondamentale, non comprende esclusivamente la fornitura di acqua, ma anche i servizi di fognatura e di depurazione ed è cresciuta negli ultimi quattro anni quasi del 10%, con punte di incremento superiori al 20% a Cagliari, Trieste, L’Aquila e Potenza (record del +25,9%). Il costo è invece diminuito solamente nelle province di Bologna (-8,9%) e di Milano (-1,8%).
Il capoluogo lombardo detiene anche il record del prezzo medio più basso d’Italia. Secondo la tabella proposta sul numero di marzo di Inchieste, la rivista di Altroconsumo, che ha analizzato la bolletta idrica in 74 province, la spesa annua per una famiglia milanese di tre persone è stata, nel 2021, di 140 euro. Il calcolo, fatto considerando un consumo medio annuale di 182 metri cubi, evidenzia una grandissima disomogeità a livello nazionale. Se la tariffa minima è di 140 euro, nella maggior parte delle altre città la fascia di prezzo varia da 300 a 400 euro l’anno e in 12 realtà urbane, quasi tutte del centro Italia, l’importo supera addirittura i 600 euro. La palma di capoluogo più caro spetta a Frosinone, con 779 euro.
Non è però questo l’unico primato della provincia laziale, vi si registrano infatti anche le maggiori perdite idriche d’Italia, corrispondenti all’80% del volume di acqua immesso nella rete. Da questo punto di vista non si discosta molto dalla vicina Latina, che ha perdite del 74% ed è la seconda città con la bolletta più salata della regione. Il problema delle perdite ha anche una ricaduta economica sugli utenti, perché comporta un incremento dei costi. Infatti, nonostante ai consumatori venga fatturato il consumo effettivo in metri cubi, i gestori pagano anche per l’acqua che viene persa e queste spese ricadono necessariamente sull’utenza. Si calcola che l’acqua persa in Italia, tra rotture, furti ed errori, sia il 42% del volume immesso in rete: un patrimonio immenso, corrispondente a 156 litri al giorno per ogni abitante (il consumo medio nel Paese è di 215 litri al giorno).
La causa principale di questo fiume di acqua potabile che finisce per andare smarrito è da ricercarsi nella vetustà del sistema idrico, sottolinea in un’intervista a Inchieste Silvia Meniconi, insegnante di Idraulica presso l’Università degli studi di Perugia. “Il 22% delle infrastrutture idriche italiane ha superato il tempo di vita utile e il tasso di sostituzione è molto inferiore alle reali esigenze. Il contesto è complesso e mancano le risorse, ciononostante, alcuni passi avanti si stanno compiendo, soprattutto sul fronte della consapevolezza e della mappatura dell’entità del problema. Inoltre, il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha destinato 900 milioni al miglioramento delle reti idriche. “Possono sembrare tanti – aggiunge Meniconi – in realtà, per il tipo di infrastruttura e per le condizioni in cui versa, non è così”.
Nel frattempo, i prezzi salgono e non resta che cercare di applicare almeno le regole per evitare lo spreco domestico, che sono di due tipi. Da una parte le indicazioni che non richiedono alcun investimento, come quella di preferire la doccia al bagno, di chiudere il rubinetto mentre si lavano i denti o di lavare i piatti immergendoli in acqua e sapone invece di lasciar scorrere l’acqua. Dall’altra ci sono quelle che richiedono qualche acquisto: dagli economici areatori da applicare ai rubinetti agli scarichi del water con l’interruttore del flusso, dall’irrigatore a goccia per le piante a lavatrici e lavastoviglie più efficienti, da usare rigorosamente a pieno carico.
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