Dopo l’uscita dall’Unione Europea, gli inglesi devono fare i conti con i cambiamenti delle norme che regolano quanto arriva sulle loro tavole. E la carne, uno degli alimenti cardine della loro dieta, non essendo più vincolata dalle limitazioni e dai controlli comunitari, potrebbe essere diversa da quella a cui i cittadini britannici sono stati abituati per decenni. In particolare, preoccupa l’opinione pubblica l’ipotesi che arrivi carne australiana ottenuta da animali trattati con ormoni, anche se il Governo si è impegnato a impedirne l’ingresso sul mercato. L’argomento sta suscitando molte reazioni, di cui dà conto il Guardian, illustrando una situazione più articolata di quanto si potrebbe pensare.
In Australia circa il 40% dei bovini è infatti trattato con ormoni, sia sintetici che naturali. La modalità di somministrazione più diffusa è tramite una pompa impiantata dietro l’orecchio, che inietta una miscela di estrogeni e androgeni: questi ormoni permettono di aumentare del 15% l’efficienza nella produzione della carne, accelerando la crescita. Per motivi ignoti, le femmine crescono di più se si somministrano loro più ormoni maschili, e viceversa. Tra le molecole sintetiche più utilizzate vi sono il trenbolone acetato, un androgeno, e l’estradiolo benzoato, un estrogeno. Gli ormoni sintetici sono dalle cinque alle 20 volte più potenti di quelli naturali.
Secondo le autorità australiane, che controllano attentamente la concentrazione di ormoni presente nella carne, i livelli che arrivano al consumatore sono circa mille volte inferiori rispetto a quelli degli analoghi naturali prodotti nel corpo umano. Inoltre, con la normale dieta se ne introducono molti altri, per esempio dalla soia, dalle uova (uno solo fornirebbe tanti ormoni quanto 10 kg di manzo trattato) e da altri alimenti vegetali che contengono fitoestrogeni naturali, come alcune crucifere o il mais. Tutto ciò renderebbe il rischio legato alla carne irrilevante, come del resto sembra essere confermato dai dati del monitoraggio della popolazione. Ma diversi esperti ribattono che proprio questo è uno dei principali problemi: le conseguenze dell’accumulo di ormoni non sono note.
Tuttavia, secondo alcuni docenti universitari australiani, la questione non sarebbe scientifica, ma psicologica e di marketing. Secondo David Hopkins, della Charles Sturt University, il divieto approvato nell’Unione Europa nel 1989 è il frutto della crisi del DES (dietilstilbestrolo), un estrogeno sintetico interferente endocrino accusato di essere cancerogeno, trovato nella carne negli anni Settanta e Ottanta, che aveva destato un enorme allarme nella popolazione. Oggi però, sottolinea Hopkins, si usano sostanze diverse, molto più sicure, e tutte studiate approfonditamente prima di essere autorizzate.
Una conferma dell’infondatezza del bando europeo arriverebbe anche da una sentenza del WTO: interpellato nel 1996 dagli Stati Uniti, che si opponevano al bando europeo sostenendo l’assenza di prove scientifiche a supporto del rischio, il comitato aveva dato ragione agli USA. Ciononostante in Europa gli ormoni sono ancora vietati, il Regno Unito vuole mantenere il divieto e una delle più grandi catene della grande distribuzione australiana, Coles, già nel 2011 ha rinunciato alla carne agli ormoni.
C’è infine un altro aspetto da tenere in considerazione: la contaminazione ambientale. Gli ormoni di sintesi sono infatti molto stabili, e possono volerci fino a 200 giorni perché si dimezzi la quantità presente nell’ambiente. Tuttavia, se presenti nell’acqua, anche in concentrazioni molto basse, dell’ordine dei nanogrammi per litro, possono stravolgere gli equilibri endocrini dei pesci, compromettendone lo sviluppo e la fertilità. Per questo si chiede che le acque reflue degli allevamenti siano diluite, trattate oppure lasciate a decantare per settimane prima di essere scaricate, per aspettare che queste molecole si degradino e non possano nuocere agli animali selvatici.
Ma, anche in questo caso, c’è chi sottolinea che far crescere i bovini più rapidamente significa emettere meno metano e consumare meno risorse. Infine, c’è chi evidenzia l’aspetto forse più importante: spingere per accelerare la produzione tramite gli ormoni significa trasmettere un messaggio che non è più attuale, e cioè che il problema della carne sia quello di aumentare con ogni mezzo la produzione. E, di conseguenza, abbassare i prezzi e incrementare i consumi.
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Giornalista scientifica