Negli Stati Uniti si mangia meno carne. Se per tutto il secolo scorso la crescita dei consumi è stata continua, sembra che negli ultimi anni si sia raggiunto il picco e che ora il trend sia in discesa. È il quadro fotografato dall’Earth Policy Institute, un istituto indipendente di ricerca ambientale, a partire da dati governativi raccolti dal Dipartimento dell’agricoltura e dal Census Bureau (ufficio del censimento) degli Stati Uniti.
Il consumo individuale di carne ha raggiunto il livello massimo nel 2004, con 83,5 kg a persona, scesi a 77,4 nel 2011. Secondo le stime, inoltre, nel 2012 caleranno ancora, assestandosi attorno a 75 kg. Stesso andamento per i consumi totali del paese (vedi grafico): il picco è stato nel 2007 con 25,1 milioni di tonnellate, passati a 24,1 nel 2011. Per l’anno in corso, la stima è di 23,7 milioni di tonnellate. Il livello più basso da dieci anni a questa parte.
Il calo riguarda soprattutto la carne bovina, sempre meno apprezzata dopo il momento d’oro degli anni Settanta: se nel 1976 ogni americano aveva mangiato in media 41,3 kg di carne di manzo o vitello, si stima che nel 2012 ne mangerà “appena” 23,6 kg, il 43% in meno. Una tendenza guidata, secondo gli esperti dell’Earth Policy Institute, da due fattori principali: le preoccupazioni per la salute e l’aumento dei costi. Senza dimenticare che, negli ultimi anni, caldo record e siccità hanno significativamente ridotto la resa dei grandi pascoli americani, portando a un ridimensionamento delle mandrie.
A metà degli anni Settanta la passione per il manzo si era trasformata in passione per il pollo, da allora in continua crescita a parte la lieve diminuzione degli anni recenti: nel 2012 il consumo dovrebbe essere di 31,7 kg per persona (-5% rispetto al 2006). Anche il maiale mostra una minima tendenza alla riduzione, benché il suo consumo sia rimasto piuttosto costante negli anni: oggi infatti siamo a 19,6 kg a testa, contro i 24,3 kg nel 1944.
Ma perché questo andamento? Secondo Janet Larsen, direttore di ricerca dell’EPI, un ruolo di rilievo è sicuramente giocato da fattori economici, con famiglie sempre più povere a causa della crisi globale e prezzi della carne sempre più alti. Anche perché, spiega Larsen, l’alimento principale del bestiame, il mais, viene spesso dirottato sulla produzione di bioetanolo.
Inoltre alcuni fattori culturali, tuttavia, possono aver rivestito una certa importanza: «Mettere in tavola la carne ogni giorno non è più un indicatore di ricchezza. Molte persone scelgono deliberatamente di mangiare meno carne perché sono preoccupate per la loro salute, per l’ambiente o per le condizioni in cui sono mantenuti gli animali negli allevamenti industriali».
Per Nicoletta Pellegrini, nutrizionista dell’Università di Parma, il dato è positivo, anche se da solo appare incompleto. «Bisognerebbe sapere con che cosa gli americani hanno sostituito la carne, per capire se dal punto di vista nutrizionale stanno facendo davvero scelte corrette».
In ogni caso, va sottolineato che il consumo di manzo, pollo e maiale negli Usa rimane comunque troppo elevato. «Noi nutrizionisti consigliamo agli adulti di mangiare carne non più di 4 volte alla settimana, con porzioni di 70 grammi. Significa 280 grammi alla settimana, mentre nel 2011 gli americani sono stati ben oltre il chilogrammo settimanale».
Valentina Murelli
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