Il 21 giugno, la Food and Drug Administration ha preso una decisione che è destinata a cambiare la storia della produzione di proteine animali: ha approvato definitivamente, in contemporanea, la vendita per consumo umano della carne coltivata di pollo di due aziende. Si tratta di due delle prime aziende che hanno iniziato a lavorare nel campo: Upside Foods (già Memphis Meat), fondata nel 2015 dall’ingegnere tissutale della Mayo Clinic Uma Valeti, e Good Meat, fondata a San Francisco come ramo di Eat Just da Josh Tetrik e la prima a essere arrivata al traguardo delle autorizzazioni a Singapore, nel 2020. Il via libera è giunto dopo che ispezioni ai siti di produzione e ai processi di confezionamento eseguite dal Dipartimento dell’agricoltura americano sono andate a buon fine, chiudendo così una lunga fase di controlli e verifiche. Ciò non significa che da domani la carne coltivata sarà disponibile nei supermercati: la capacità produttiva è ancora limitata a poche centinaia di chili a settimana e i costi restano superiori a quelli della carne tradizionale (soprattutto per l’energia elettrica necessaria e per i reagenti della coltivazione, purissimi e molto costosi). Tuttavia, il giudizio è unanime, perché l’apertura del mercato statunitense potrebbe cambiare molto, e non solo in Nord America.
La stessa Upside Foods, in novembre, ha aperto uno dei siti di produzione più grandi del mondo, dove presto sarà prodotta la carne che sarebbe ottenuta da 10mila animali: un quantitativo notevole, ma quasi irrilevante a fronte degli otto miliardi di polli che ogni anno finiscono sulle tavole degli americani. Per ora, quindi, la distribuzione sarà limitata a qualche ristorante, aiutato anche dal lavoro di chef stellati che stanno immaginando nuove ricette. Ci vorrà qualche anno prima che la produzione raggiunga livelli accettabili e una decina perché i costi siano sovrapponibili a quelli della carne tradizionale.
Ma la notizia è giunta in occasione di un anniversario importante: sono passati esattamente dieci anni da quando l’ingegnere tissutale Mark Post, dell’Università di Maastricht, ha presentato a Londra il primo burger di carne coltivata, costato circa 250mila dollari e accolto con grandissimo interesse. In seguito Post ha fondato Mosa Meat, senza mai smettere di lavorare anche a livello europeo per favorire l’arrivo della carne coltivata, e continuando a svolgere un’opera di divulgazione, per migliorare le conoscenze dell’opinione pubblica sul tema ed evitare la diffusione di fake news. Il Fatto Alimentare ha chiesto proprio a Post di fare un bilancio del primo decennio, idealmente conclusosi con il semaforo verde degli Stati Uniti. Ecco che cosa ci ha risposto:
Professor Post, se dovesse riassumere i principali progressi tecnici, cosa metterebbe in evidenza? Cos’è cambiato nei processi fondamentali che portano da una cellula staminale a un filetto o un hamburger?
Noi non avevamo un sistema di produzione nel 2013. Quel famoso hamburger era solo una prova ma, vista la risposta internazionale, abbiamo capito che avremmo dovuto avviare un’azienda. Dopo essere stato un accademico per 30 anni, non ne ero entusiasta. Tuttavia, lo ammetto, questo ha anche reso la mia vita molto più divertente. Negli anni successivi ci siamo quindi concentrati su come produrre il grasso, fondamentale per aromatizzare la carne bovina e per rimuovere componenti animali come il siero fetale bovino dai terreni di coltura cellulari. Abbiamo raggiunto tutti questi obiettivi e altri ancora, quindi è un momento molto emozionante per noi.
Che cosa ne pensa delle evoluzioni su cui stanno lavorando alcuni gruppi, per esempio con l’aggiunta di bioscheletri e, recentemente, di ibridi con micelio? Pensa che ci siano soluzioni migliori di altre?
Le sfide che dobbiamo affrontare per ripensare tutto il sistema alimentare richiederanno di ottenere proteine da fonti diverse. Ben vengano dunque la carne coltivata, la fermentazione di precisione, la fermentazione di biomassa, le proteine di insetti e i prodotti di origine vegetale. Sono lieto di vedere progressi in tutti gli ambiti.
Si sarebbe aspettato uno scenario come quello attuale, con la carne coltivata già sul mercato a Singapore, in Israele e ora anche negli Stati Uniti in soli 10 anni? Ci sono errori da evitare o, al contrario, strategie vincenti da imitare?
Quando abbiamo presentato l’hamburger nel 2013, avevo detto che probabilmente ci sarebbero voluti dieci anni per avere i primi prodotti commerciali. Essendo olandese, avevo sperato che i primi alimenti coltivati sarebbero stati venduti in Europa, ma non sorprende che Singapore sia arrivata prima. Singapore è infatti un piccolo Paese che importa il 95% del proprio cibo e per questo ha forti motivazioni geopolitiche a pensare fuori dagli schemi. I programmi governativi varati negli ultimi anni sono stati coerenti e hanno contribuito ad allineare le agenzie governative allo stesso obiettivo: la creazione di un forte ecosistema di innovazione. Questo è un modello che molti altri Paesi dovrebbero prendere in considerazione, e che si sta già diffondendo, anche negli Stati Uniti e in Europa.
Anche se alcuni centri di produzione sono in costruzione (per esempio in Svizzera e nel Regno Unito), secondo lei l’Europa rischia di restare indietro, visto che non è ancora chiaro cosa intende fare l’Autorità europea per la sicurezza alimentare? Cosa si può fare per velocizzare i processi? Lei e altre aziende collaborate con l’Efsa (anche attraverso l’associazione di Bruxelles)? In che modo?
Sebbene il governo olandese sia stato da subito molto favorevole e stia aiutando a realizzare qui un ecosistema di agricoltura cellulare, i tempi di approvazione lunghi e la mancanza di consultazioni preliminari da parte di Efsa hanno indotto alcune aziende a dare la priorità ad altri luoghi. Per questo motivo Mosa Meat ha unito le forze con diverse altre società europee e israeliane per formare un’associazione di settore a Bruxelles, al fine di coinvolgere l’Efsa, la Commissione europea e il Parlamento europeo. Siamo soddisfatti dei risultati finora ottenuti, poiché l’Efsa è stata più aperta al dialogo e alla condivisione delle conoscenze, e siamo quindi cautamente ottimisti sul fatto che presto arrivino i primi dossier e che inizino gli iter di approvazione.
Cosa fare per favorire l’accoglienza della carne coltivata di Paesi che hanno forti tradizioni culinarie come l’Italia?
È importante sottolineare che l’approvazione per la nostra carne bovina Mos, così come, probabilmente, quella per altri prodotti, sarà chiesta a livello europeo, e anche se ogni stato membro avrà voce in capitolo, la decisione sarà presa dalla Commissione. Detto questo, è importante che sia i vecchi che i nuovi attori del settore comprendano che i nostri prodotti coesisteranno con l’agricoltura convenzionale. In effetti, gli agricoltori hanno enormi opportunità economiche, perché chi coltiva carne ha bisogno di nutrienti per le cellule e si vuole fare di tutto affinché essi provengano dall’Europa. In fin dei conti, stiamo producendo carne tradizionale, ottenuta in un modo nuovo. E poiché il consumo globale di carne dovrebbe aumentare del 50% o più nei prossimi 30 anni, ci sono molte opportunità per tutti i produttori di proteine.
© Riproduzione riservata Foto: Good Meat, Upside Foods, Mosa Meat
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Giornalista scientifica
un vero progresso ecologico sarebbe invece quello di un consumo complessivo di carne che non tenda ad aumentare nei prossimi anni e che, se tutti i controlli dovessero andare a buon fine, le autorizzazioni anche in Europa alla produzione di carne coltivata possano dare luogo ad una graduale sostituzione di quella proveniente da allevamenti, in particolar modo da quelli intensivi. ma per raggiungere questo risultato, bisognerebbe coinvolgere di più le istituzioni governative, affinché diano gli indirizzi giusti ai mercati. sfortunatamente in Italia abbiamo a che fare con associazioni di categoria e personaggi di governo che non si curano dei problemi della comunità e che faranno di tutto per ostacolare questo percorso (auspicabilmente) virtuoso.
assolutamete favorevole