Il recente scandalo delle carni di cavallo vendute al posto di macinato bovino (leggi articolo) è balzato alle cronache planetarie poiché coinvolge diversi Stati membri, ma non è dissimile dal caso della tartare di pollo e manzo venduta per cavallo da Auchan a Torino, nè da quello dei kebab con tracce di suino. Si tratta di frodi ed è velleitario – anzi, ridicolo – affermare che un’etichetta più eloquente possa prevenire il crimine. Bisogna invece riferirsi al primo caposaldo della legislazione alimentare, le normative a presidio della sicurezza di processi e prodotti. Cosa c’è e cosa manca.
Il General Food Law (reg. CE n. 178/02) ha introdotto alcune prescrizioni-chiave, applicate in ogni fase, nell’intero corso della filiera, a decorrere dall’1.1.05: rintracciabilità (art. 18) e gestione delle situazioni critiche (art. 19). Ha istituito l’Efsa, per la valutazione scientifica del rischio, e definito l’operatività di un network europeo per la gestione dei rischi, sotto il coordinamento della Commissione. Oltre a rendere pubblico il Sistema di Allerta Rapido su Alimenti, Mangimi e materiali a contatto (RASFF).
Il “Pacchetto Igiene” (regolamenti CE n. 852, 853/04 e seguenti), contestualmente e identicamente applicato in UE dall’1.1.06, ha definito in termini chiari le responsabilità e le prescrizioni a carico degli operatori. Il regolamento (CE) n. 882/04, in tale ambito, ha posto le basi per l’armonizzazione dei controlli pubblici ufficiali nella filiera alimentare, che ricadono sotto la responsabilità degli Stati membri e sono soggetti a ispezioni e audit da parte del Food & Veterinary Office europeo.
L’aquis communitaire a presidio di igiene e sicurezza delle produzioni agro-alimentari è dunque solido e ben fondato, ha mostrato la sua efficacia in diverse occasioni negli ultimi anni.
Cosa si può e si deve fare allora, per prevenire il ripetersi di situazioni come quella in esame che – pur senza mettere a rischio la salute dei consumatori – é emblematica di una frode internazionale su ampia scala? Entro il prossimo giugno la Commissione presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio il progetto di revisione del Pacchetto Igiene. Nelle intenzioni, una semplice opera di maquillage, che tuttavia non appare idonea a risolvere alcuni problemi frattanto emersi:
– idoneità e omogeneità dei controlli pubblici ufficiali nei diversi Paesi membri. Amministrazioni sanitarie come quella italiana, in questi anni, hanno dato buona prova dell’efficacia del proprio operato. Non altrettanto può dirsi della Germania (come evidenziato dalla cattiva gestione di tre crisi di sicurezza in 12 mesi, 2011-2012: bacillus cereus nelle mozzarelle, E.coli nei germogli, diossine nei mangimi), nè dei Paesi ora coinvolti dallo scandalo della carne di cavallo venduta per bovina (Regno Unito, Francia, Romania, Polonia, Cipro). Non serve stilar l’elenco di “buoni e cattivi”, ma di sottoporre a un regime di sorveglianza speciale gli Stati che hanno rivelato gravi falle nei propri sistemi di controllo,
– efficacia ed effettività dei sistemi sanzionatori, cooperazione. L’ambito sanzionatorio è rimesso ai governi nazionali, e tuttavia la Commissione dovrebbe rafforzare il monitoraggio sull’idoneità di procedure e sanzioni a prevenire violazioni – dolose e colpose – delle regole comuni. Dev’essere verificata e garantita l’effettività dei vari apparati sanzionatori, ed è opportuno estendere al settore alimentare la cooperazione giudiziaria e amministrativa internazionale. Chi sbaglia deve pagare, la galera a chi froda,
– proporzione tra rischi e prescrizioni a carico degli operatori. Il reg. (CE) n. 853/04, che stabilisce requisiti supplementari a carico degli operatori della filiera dei prodotti di origine animale, tuttora non si applica agli esercizi della grande distribuzione organizzata (GDO). Vale a dire che identiche operazioni – come il sezionamento e riconfezionamento di salumi e formaggi – sono soggetti a sistemi di regole assai diversi a seconda del ruolo di chi le compia. Il laboratorio annesso all’impresa di produzione dev’essere preventivamente autorizzato dalle autorità sanitarie, lavorare in “camera bianca”, seguire rigorosi criteri a cui invece non è tenuto il reparto “carni (e/o formaggi)” di un supermercato. Identici rischi, diversi livelli di tutela e di controllo. Una disparità inammissibile e ingiustificata, che ha già “mostrato le corde” in varie crisi alimentari degli ultimi anni.
Dario Dongo
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Nella revisione del Regolamento 882/04 sui controlli ufficiali vi è l’introduzione dell’obbligo di registrare tutti i prodotti controllati, al livello dei punti di controllo frontalieri, nel sistema informatico europeo TRACES . Adesso purtroppo non è così e il coordinamento tra le polizie di frontiera è molto relativo. Speriamo che il nuovo regolamento venga presto approvato.
Non riesco a capie cosa c’entrano i laboratori dei supermercati con la carne equina nelle lasagne… Forse invece sono proprio i controlli nei laboratori riconosciuti che a livello comunitario devono essere ripensati e sopratutto resi più trasparenti
Come sempre ci sono due pesi e due misure. Come si può giustificare il fatto che una mescita o un piccolo laboratorio alimentare siano vessati da controlli minuziosi e talvolta stucchevoli mentre i “grandi” del business alimentare riescono sempre a trasgredire rimanendo, talvolta, impuniti? Ben venga l’omogeneicità nei controlli, sempre che permanga lo spirito “del buon padre di famiglia” piuttosto che del sordo (e talvolta compiacente) burocrate!
Concordo pienamente; propio la “proporzione tra rischi e prescrizioni a carico degli operatori” non può prevedere la stessa modalità ed operatività dei controlli. Fortunatamente si parla di una semplificazione dei controlli nelle piccole e medie imprese da parte della comunità Non si vuole abrogare la vigilanza, ma forse se si applicasse seriamente una “valutazione del rischio”,vi sarebbero maggiori controlli dove in rischio è maggiore: ed uno stabilimento che fornisce alimenti x 16 paesi comunitari…. non sarà un laboratorio annesso ad un supermercato!
Sono generalmente d’accordo. Tuttavia, prima di entusiasmarsi troppo per il sistema italiano, varrebbe la pena porsi alcune domande, senza nulla togliere al grande lavoro delle ASL. Sulla base di quali dati si può sostenerne la superiore performance del sistema Italia? C’è in Italia una capacità epidemiologica di rilevare epidemie ed una trasparenza sui dati raccolti che ci permette un paragone con altri paesi? La mia risposta è no; tanto è vero che i paesi scandinavi segnalano problemi sui nostri prodotti che in Italia non vengono mai rilevati. Questa superiorità italiana emerge dai rapporti FVO? Io dico di no. I dati epidemiologici e di prevalenza analizzati da EFSA indicano questa superiorità? No, anzi. L’esperienza di chi fa audit in vari paesi conferma una qualche superiorità nazionale, non delle eccellenze, ma diffusa? Anche qui, no, anzi. Il livello e sistema delle sanzioni amministrative in Italia è un reale deterrente? Ho dei dubbi. Nello specifico, se è vero, come riporta il Fatto Alimentare, che cavalli italiani non destinati all’alimentazione umana, finiscono di routine in Romania, come mai nessuno in questo sistema eccellente si è posto il problema di questi flussi?
Per evitare bruschissimi risvegli sarebbe il caso di lasciar perdere i nazionalismi alimentari, di fare una disamina onesta della realtà e rimboccarsi le maniche.
Forse l’esperienza di analoghe parabole italiane, dell’Italia senza problemi di debito che andava alla grande, delle banche italiane senza problemi, dovrebbe suggerirci prudenza nell’entusiasmarci del sistema alimentare. Anche a costo di staccarsi dal coro.
Bravo Luca ! attenzione a farsi pubblicità di eccellenze che non si è in grado di dimostrare con i fatti, specie quando il sistema di controllo nazionale, molto spesso basato sul piano delle verifiche cartolari dell’autocontrollo, è purtroppo deficitario dal punto di vista dei campionamenti e di efficaci verifiche di tracciabilità. Infatti la presenza di carne di cavallo nei ravioli è stata trovata analiticamente solo molto dopo la prima allerta, non italiana. Se in etichetta c’è scritto manzo, qualche veterinario dovrebbe chiedere a chi mette il prodotto sul mercato una dimostrazione univoca della corrispondenza e della tracciabilità, anche oltre i confini nazionali, vista la valenza dei regolamenti in tutti i paesi CE. Inoltre ci sono storture legali anche nell’etichettatura di diversi alimenti che sembra non vengano rilevate dall’autoproclamato “ecccellente” nostro sistema di controllo, anche dopo che su riviste specializzate se ne sia avuto sentore. Ci auguriamo siano sviste o interpretazioni “non volute” , anche a livello dei censori tecnici e giudiziari più attivi. Sembra ancora che si punti l’attenzione ai fatti più eclatanti per “far vedere quanto siamo bravi”, mentre la difesa del consumatore, al centro della filosofia di sicurezza europea, si persegue con azioni silenziose, costanti e mirate,con vera e mai superficiale analisi del rischio.
Nessuna urla alla ns eccellenza, anzi i commenti precedenti richiamano proprio alla necessità di maggiori controlli in produzione, non certo a piccoli laboratori annessi alla vendita. In merito alla valutazione degli interventi di controllo, mi spiace informare che sul sito del ministero della salute da due anni è iniziata la pubblicazione del piano integrato dei controlli sulla sicurezza alimentre. Un piccolissimo passo per raccogliere informazioni, numeri non opinioni. In merito poi alle notizie dei cavalli italiani esportati in Romania abbiamo numeri ed evidenze? no. Allora iniziamo a programmare e valutare i controlli come previsto dal Reg. 882/04. Buon lavoro
Stefano, i dati che citi sono interessanti, e con le cifre mirabolanti che piacciono, ma non permettono un confronto comparativo, anzi – pur partendo da buone intenzioni ed essendo un passo avanti – rischiano di gonfiare ancora di più il petto. Sarebbe bello che anche i richiami non fossero informazioni clandestine.