La gente compra bio perché non vuole trovare nel piatto una quantità esagerata di residui chimici, perché si preoccupa giustamente dell’impatto ambientale. In realtà sulle effettive caratteristiche nutrizionali, ambientali e sulla sicurezza delle carni biologiche si sa ancora poco.
Ma ora un libro scritto a più mani da vari esperti del settore cerca di fare il punto della situazione della carne bio. Il volume, Organic Meat Production and Processing, è pensato per addetti ai lavori, ma uno dei curatori – Ellen Van Loo, del Dipartimento di economia agraria dell’Università di Gent, in Belgio – e uno degli autori – il veterinario Sergio Ghidini dell’Università di Parma – ci hanno aiutato a fare un po’ chiarezza.
Identikit del consumatore
In Europa occidentale la carne rappresenta il 13% del mercato dei prodotti agro-alimentari di origine biologica. La vendita di polli, braciole e fettine bio costituisce però una porzione molto piccola del mercato delle carni: appena il 2%. Chi sceglie questo prodotto (in genere si tratta di donne con bambini con un buon livello di istruzione e un reddito discreto) lo fa perché si preoccupa delle conseguenze dell’agricoltura e dell’allevamento intensivi sulla salute del proprio figlio e perché vuole rispettare di più l’ambiente e il benessere animale. «Casi come la “mucca pazza” o i “polli alla diossina” hanno reso i consumatori ancora più diffidenti rispetto ai prodotti convenzionali», spiega Van Loo. «E poiché la carne bio è ritenuta più sana e sicura, sono disposti a pagare anche molto di più, anche se il costo elevato costituisce un limite notevole».
Amica dell’ambiente?
Una delle giustificazioni più diffuse per l’acquisto di carne prodotta con metodi biologici è il minore impatto ambientale. È davvero così? Per Ellen Van Loo è difficile dare una risposta definitiva: « Esistono diversi metodi di produzione e i parametri da considerare sono moltissimi, per cui bisognerebbe valutare l’impronta ecologica caso per caso». Per esempio: è un bene non usare sostanze di sintesi per produrre i mangimi, ma bisogna anche valutare da dove arriva il mangime “verde”. Se è prodotto dall’altra parte del pianeta e viaggia in un container per migliaia di chilometri per raggiungere l’allevamento, l’effetto positivo sull’ambiente si riduce. Anche la questione del benessere animale può essere un elemento critico. La definizione di “biologico” si riferisce solo al tipo di alimentazione e di terapie veterinarie, non alla modalità di allevamento. Insomma, biologico non significa necessariamente che l’animale cresca libero all’aperto.
Tra gusto e salute
Diciamolo subito: studi definitivi ed esaustivi sul valore nutrizionale e organolettico delle carni biologiche rispetto a quelle convenzionali non ce ne sono. Nel libro, però, due ricercatori dell’Università di Varsavia riportano alcuni risultati interessanti. Sembra che le carni bio siano meno grasse (e dunque meno caloriche) rispetto alle altre e che il profilo di grassi (alto tenore di acidi grassi insaturi e basso tenore di acidi grassi saturi) sia particolarmente benefico per la salute. L’analisi di carcasse di animali allevati con metodi biologici, inoltre, ha evidenziato un maggior contenuto di grasso intramuscolare, condizione che potrebbe essere associata a un sapore migliore.
Sicurezza
Anche in questo caso bisogna essere chiari: i prodotti convenzionali e quelli biologici sono sottoposti alle stesse regolamentazioni. Per legge, entrambi devono essere assolutamente sicuri (e se qualcosa sfugge alle maglie dei controlli è un altro discorso).
Qualcuno si potrebbe chiedere se in virtù del particolare metodo di produzione, le carni bio non possano essere considerate “un po’ più sicure”. Un dato positivo è che negli animali allevati in regime biologico, gli antibiotici sono somministrati solo in casi eccezionali, riducendo così il rischio dello sviluppo di batteri resistenti (che costituisono una seria minaccia alla salute).
Sono invece minori le certezze sul fronte dell’eventuale contaminazione con residui chimici, metalli pesanti, diossine, pesticidi e farmaci. «I dati scientifici sono molto scarsi» anticipa subito Sergio Ghidini, che nel libro si è occupato proprio di questo aspetto. «Al momento non c’è alcuna prova che la carne biologica garantisca livelli inferiori di contaminazione chimica». Anzi, alcuni studi hanno ritrovato residui più elevati, per esempio di metalli pesanti nelle carni bio. La spiegazione è semplice: gli animali allevati all’aperto possono restare più a lungo in contatto con eventuali contaminanti ambientali, che sono ubiquitari e praticamente impossibili da eliminare.
Un discorso analogo vale per il rischio di infezioni da batteri e parassiti: all’aperto, gli animali potrebbero contrarre più facilmente infezioni trasmesse da altri organismi. Per Ghidini è importante sottolineare che “biologico” non è automaticamente sinonimo di maggior sicurezza. «Ci possono essere mille buone ragioni per acquistare carni bio, precisa, ma non la sicurezza sul fronte chimico e microbiologico. E insistere su questo aspetto potrebbe addirittura essere controproducente: il giorno in cui si dovesse presentare anche un minimo problema si creerebbe un danno d’immagine gravissimo per tutto il settore».
Resta il fatto che, al momento, le conoscenze effettive sulle caratteristiche e i limiti della carne ottenuta con metodi biologici sono scarse. «Per il futuro, conclude Van Loo, non possiamo che augurarci più ricerca per questo settore».
Valentina Murelli
foto: Photos.com
intanto nella produzione zootecnica biologica quando non è possibile l’allevamento allo stato semibrado o brado(molti allevamenti zootecnici biologici sono allevati così)va rispettato il "benessere dell’animale" con spazi più consoni rispetto al metodo convenzionale (reg 864/2007) , e poi come si fa a dire che non c’è differenza nel sistema di allevamento? le cure allopatiche con antibiotici e quanto altro pensa che siano una cosa da poco?ci sono studi che rilevano squilibri ormonici nei bambini/adolescenti correlati alle carni con presenza di pesticidi, antibiotici ecc… considerando che molti di questi farmaci e pesticidi sono interferenti endocrini!!!, mi viene da ridere quando nomina che gli animali stando all’aperto sono più soggetti ad attacchi di batteri ecc.., l’animale in queste situazioni è più sano e più forte si ammala di meno; faccia un giro negli allevamenti biologici e troverà riscontro…
Per il Dott. Ghidini:
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Questo asseriscono gli stessi autori del libro citato, però lui associa in modo errato l’allevamento bio con l’allevamento all’aperto, escludendo in modo pregiudiziale la possibilità che nell’allevamento convenzionale si faccia uso di spazi all’aperto e quindi tutte le possibilità di contaminazione che ha citato per il bio.
E la supplementazione ormonale ed anabolizzante, oltre a quella antibiotica di largo ed abbondate uso nel convenzionale, non ha valore negativo pregiudiziale per il Dott. Ghidini?
Quando leggo questi pareri di esperti scelti dall’articolista divulgatore, mi domando spesso quale sia la scala gerarchica dei valori di questi addetti ai lavori, e mi rispondo che spesso in loro non prevale la scentificità degli assunti, ma la loro convinzione personale e soggettiva in contraddizione con l’approccio razionale e trasparente.
Devo dire che rimango sempre più dubbioso sulla competenza dei vostri articolisti. Ammesso che questo sia un articolo di recensione (anche se dal titolo non è chiaro) l’autrice farebbe bene a studiarsi le normative europee prima di scrivere. Ciò che ha detto Alessio è verissimo. Inoltre per gli allevamenti avicoli è vietato l’uso di gabbie.
alcuni studi hanno dimostrato la presenza di aflatossine negli allevamenti bio di vacche da latte, questo perchè l’insilato non viene trattato contro le muffe che possono formarsi…e l’insilato di mais è l’alimento principale in questi allevamenti.
Benvenga il biologico controllato e possibilmente km0, meglio utilizzare questa enorme conoscienza tecnologica di cui ora l’uomo può vantare, per produrre cibo sano, nel rispetto dell’ambiente e senza sprecare inutilmente risorse piuttosto di imbottire qualunque cosa con la chimica che ci colpisce più volte nella filiera di produzione oltre che nel consumo diretto.