Nella preistoria della cucina tra i primi metodi di cottura dei cibi vi è anche quello dell’acqua calda di origine termale o ricavata gettando pietre arroventate in sacchi di pelle contenenti acqua, ottenendo brodo di carne e vegetale. I brodi hanno diversissime composizioni e nel Medioevo sono preparati con carni, rape, cipolle, erbe, spezie, zucchero, pane, persino petali di rosa, uva e ambra e gli vengono attribuite proprietà nutritive e corroboranti. Poi ci sono gli antichi sciamani che preparano brodi con magiche virtù creando miti e credenze giunte fino a oggi. Il brodo con alterne fortune accompagna tutte le culture umane con aspetti talvolta insoliti o poco noti e tra questi la nascita e lo sviluppo dei ristoranti. In gran parte oscura è la nascita del ristorante, come quella dell’acqua calda si potrebbe dire, ma abbiamo alcuni indizi su un fenomeno che al giorno d’oggi pare essere se non esclusivo almeno prevalentemente francese, comparso nei XVIII e XIX e che ha le sue origini strettamente legate al brodo di carne, dal quale trae anche il suo nome.
Fin dall’antichità – come dimostrano le cauponae romane, le tabernae di Pompei, le osterie, le taverne e le rosticcerie medievali e rinascimentali – consumare cibo per strada o in locali dove si mangia e si beve è un’abitudine diffusa soprattutto nelle città. Si tratta però di cibi popolari, diversi da quelli che i cuochi preparano per i pochi signori o ricchi in grado di permettersi una cucina nei loro palazzi. Questo quadro rapidamente tratteggiato cambia alla fine del XVIII secolo, soprattutto in relazione ai cambiamenti sociali che hanno l’apice nella Rivoluzione Francese di fine secolo e con la nascita dei ristoranti. Secondo quanto conosciamo è in questo periodo che soprattutto a Parigi, in conseguenza della disgregazione delle famiglie aristocratiche e del loro mondo elitario, i cuochi della nobiltà spodestata dalla rivoluzione iniziano a lavorare per la nuova borghesia. Nascono così luoghi in cui il cibo di qualità non è più esclusivo appannaggio e privilegio di una sola classe sociale, ma diventa una possibilità se non per tutti almeno per molti.
Secondo lo storico francese Pierre Jean-Baptiste Legrand d’Aussy (1737 – 1800) i ristoranti sarebbero nati nel 1765 quando Boulanger, soprannominato Champ d’Oiseaux o Chantoiseau che vive a Parigi in Rue Bailleu, apre i suoi Bouillons Restaurants, il primo dei quali in Rue des Poulies. Il locale è così denominato perché a ogni ora del giorno serve brodi ristoratori, di solito consumati da donne incinte e malati, anche se incontrano il favore di altri consumatori. Questa narrazione del Bouillon Restaurant non è senza dubbi e recentemente la storica Rebecca L. Spang (The Invention of the Restaurant, Harvard Historical Studies, 2000) sostiene che non vi sono documenti sulla storia di Boulanger. Secondo il testo uno dei primi parigini ad aprire un ristorante moderno non è Boulanger, ma Mathurin Roze de Chantoiseau. Questo uomo d’affari che frequenta i circoli aristocratici di Parigi, con lo scopo di rispondere alle richieste di una cultura d’élite settecentesca con la ricerca della salute e il fascino per la cucina, pubblica anche l’Almanach du Dauphin, un annuario dei mercanti, banchieri, artisti e ristoratori. Nel volume, attribuisce a sé stesso nel 1777 il ristorante presso l’Hôtel d’Aligre Rue Saint-Honoré, prima situato in Rue des Poulies. Non si può escludere che Monsieur Roze de Chantoiseau e il soprannome di Boulanger designino la stessa persona, ma è comunque certo che nella ristorazione parigina vi è un’innovazione con una marcata attenzione per il cliente, con una nuova logica di socialità e rispettabilità, che il Bouillon Restaurant prende il nome dai brodi e che col passare del tempo e i cambiamenti della società il Bouillon Restaurant diviene solo Restaurant.
Il termine ristorante ha successo e ancor oggi vi sono alcuni locali parigini con l’insegna Bouillon Racine, Bouillon Chartier, mentre per gli altri locali il termine Restaurant non fa alcun riferimento al brodo. A Parigi nel 1782 il cuoco letterato Antoine Beauvillier (1754 – 1817) espone il cartello Venite ad me, omnes qui stomacho laboratis, et ego restaurabo vos (Venite voi tutti voi che soffrite di stomaco e io vi ristorerò) nella Grand Taverne de Londres dove in un ambiente elegante e raffinato si offrono piatti come quelli della reggia di Versailles. Alla vigilia della Rivoluzione, Antoine Beauvillier apre un altro ristorante a suo nome nella galleria di Valois del Palais Royal del quale Anthèlme Brillat Savarin dice che è un locale elegante con camerieri ben vestiti, una cantina accuratamente riformata e una cucina d’eccellente qualità. In questo modo nella Francia nel XVIII secolo il ristorante da posto dove mangiare diviene una cosa da mangiare, un bouillon, un brodo quasi medicinale che costituisce un elemento essenziale di una nuova cucina francese prerivoluzionaria e poi rivoluzionaria e borghese . Dalla Francia il ristorante, come termine ma soprattutto come sistema di ristorazione pubblica attenta al privato, si diffonde in tutto il mondo arrivando anche in Italia dove il termine per la prima volta compare nel 1877.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
La riscoperta dell’acqua calda, o meglio del brodo caldo, che per generazioni ha accompagnato le cene frugali, dopo le quali si poteva dormire senza incubi, e la cura casalinga di piccoli disturbi, spossatezza, infreddature… alle quali contribuiva oltretutto l’effetto placebo del sentirsi coccolati, che funziona a ogni età.
Peccato che la riscoperta del brodo coincida con la presenza sempre più massiccia di “brodi pronti”, dalla composizione quanto meno dubbia, millantati in etichetta come brodi genuini di pollo carne verdure e di fatto probabilmente poco più che acqua+dado (a prezzo decuplicato), che fanno leva sulla fretta del consumatore.
Ma più che di fretta si dovrebbe parlare di insipienza indotta dalla pubblicità e dalla presenza sugli scaffali di cibi sempre più assurdi (il mandarino in spicchi nella confezione monoporzione, per dire) che creano la beata illusione di “risparmiare tempo”, come se sbucciare un mandarino richiedesse ore, o mettere sul fuoco un litro di acqua e gli ingredienti, invece di scaldare quello del brick, consumasse invano una fetta imponente della nostra vita.
Il brodo fatto in casa richiede tempo, questo è vero, ma una volta “messi su” gli ingredienti (pollo, carne, vedure, aromi…) il brodo si fa da sè, arrivato a bollore lo si mette al minimo e lo si dimentica (basata attivare il timer), salvo schiumarlo poco prima di metterlo in tavola… ma questo aspetto viene accuratamente nascosto dagli influencer del “tutto confezionato e pronto subito”.
Interessante trovare questa improvvisa attenzione al brodo, che per generazioni con crostini o pasta reale o pezzetti di semplice pane inzuppato ha accompagnato le cene frugali, dopo le quali si poteva dormire senza incubi, o la cura casalinga di piccoli disturbi, spossatezza, infreddature… alla quale contribuiva oltre al reale effetto ristoratore (rivalutato di recente, dopo anni di disistima del brodo) anche l’effetto placebo del sentirsi coccolati e accuditi, che funziona a ogni età.
Peccato che la riscoperta del brodo coincida con la presenza sempre più massiccia in vendita di “brodi pronti”, dalla composizione quanto meno dubbia, millantati in etichetta come brodi genuini di pollo carne verdure e di fatto leggendo gli ingredienti poco più che acqua+dado (a prezzo decuplicato), che fanno leva sulla fretta del consumatore.
Ma forse si dovrebbe parlare di insipienza indotta dalla pubblicità e dall’assuefazione alla presenza sugli scaffali di cibi sempre più assurdi (sei spicchi di mandarino, o un uovo sodo sgusciato, in confezione monoporzione, per dire) che creano la beata illusione di “risparmiare tempo”, come se sbucciare un mandarino richiedesse ore, o mettere sul fuoco un litro di acqua e gli ingredienti, invece di scaldare il beverone industriale del brick, ci privasse invano di una fetta essenziale della nostra vita.
Il brodo fatto in casa richiede un minimo di tempo per la preparazione degli ingredienti (pollo, carne, verdure, aromi…), questo è vero, ma una volta “messo su” il brodo si fa da sè, non occorre accudirlo perché arrivato a bollore lo si mette al minimo e lo si dimentica per un’oretta (in cui ci si può beatamente imbeotire su FB o Netflix, basta attivare il timer…), salvo schiumarlo e poi metterlo in tavola… e se se ne prepara molto è facilissimo da conservare in freezer in porzioni da scaldare in microonde mentre vi fate la doccia, tutti aspetti accuratamente nascosti dagli influencer del “tutto confezionato e pronto subito”.
Il brodino?? Acqua calda si, ma solo con vegetali di prima scelta quando si è malaticci.
Il brodo caldo, un vero toccasana per l arrivo dei primi raffreddori e stati influenzali, dalle proprietà rimineralizzanti e depurative.. Sicuramente il brodo fatto in casa è tutta un altra cosa magari cucinato come facevano le nostre nonne, i accompagnato da pastina, o da tortellini o crostini di pane tostati… E il freddo passa lasciando al corpo u piacevole calore..