carne macellazione

I macelli e gli impianti di lavorazione delle carni si confermano come possibili luoghi di infezione e di focolai di Covid-19. Uno dei casi più gravi, dopo i molti registrati in diversi paesi tra i quali la Germania, è emerso in Brasile, nello stato di Paranà, dove BFR, il più grande produttore mondiale di polli, ha fatto i conti con oltre 1.100 casi di infezione da Sars-CoV-2 in uno dei suoi stabilimenti, a Toledo. Da solo, l’impianto ha rappresentato circa un terzo di tutti i casi ufficiali derivanti dalla filiera della carne nel Paranà, ma si pensa che i numeri possano essere molto più elevati.

Oltre 4 mila casi di Covid-19 nei macelli

Del resto, come riferito dalla Reuters, secondo le autorità locali, in tutto lo stato finora ci sono già stati poco meno di 4 mila casi nei macelli, nonostante tutte le aziende abbiano presentato piani di prevenzione e affermino di metterli in atto regolarmente.

Un impianto brasiliano della BFR, il più grande produttore mondiale di polli, è stato registrato un terzo di tutti i casi di Covid-19 dei macelli nello stato del Paranà

La BFR, dal canto suo, ha dichiarato che al momento, dopo l’esecuzione di 11 mila tamponi solo nell’impianto di Toledo, non ci sono lavoratori infetti. Lo stesso vale per la sede di Carambei, dove si erano registrate cinque infezioni, ed entrambi gli impianti stanno lavorando regolarmente. Ma anche altre aziende con stabilimenti nello stato del Paranà hanno affrontato lo stesso problema. Come la GT Foods, che impiega oltre 2.200 persone a Paranavaí, dove sono stati registrati 137 casi e cinque decessi (di cui tre dipendenti dello stabilimento e un altro ad esso collegato), in seguito ai quali l’impianto è rimasto chiuso per due settimane, e la JBS SA, il più grande esportatore di carne al mondo, che dà lavoro a 11 mila persone, e che ha avuto a sua volta una novantina di casi in quattro stabilimenti dello stato.

Covid-19 sui surgelati?

Oltre al Brasile un allarme arriva poi dalla Cina, anche se visto il precedente tentativo di accusare il salmone norvegese di aver causato un focolaio di coronavirus (subito ampiamente sbugiardato), non è facile capire quanto la notizia sia fondata.

In Cina sono state riscontrate tracce di Sars-CoV-2 sulle confezioni di prodotti ittici surgelati

Anche in questo caso a dare conto della situazione è la Reuters, in un articolo in cui riferisce che le autorità cinesi hanno riscontrato Sars-CoV-2 sulle confezioni di prodotti ittici surgelati importati e transitati da Dalian, città portuale che ha vissuto recentemente una riacutizzazione dell’infezione. In base a quanto ricostruito, i prodotti sarebbero giunti a Dalian – non si sa partendo da dove – e, da lì, a Yantai, dove poi è stato individuato il virus sulle confezioni. Nella città di Dalian, porto dove arrivano moltissime merci, c’è un precedente: a luglio gli imballaggi di una partita di gamberetti surgelati provenienti dall’Ecuador erano risultati contaminati, e questo aveva portato a un blocco immediato delle importazioni dal paese sudamericano. Secondo quanto dichiarato dalle stesse autorità locali alla Reuters, comunque, la situazione sarebbe sotto controllo: tutti coloro che hanno avuto a che fare con i prodotti ittici contaminati sono stati controllati e poi messi in quarantena, e nessuna partita è stata mandata in altri paesi.

Questi episodi sono accomunati da un fattore: il commercio globale di cibo, che percorre tutto il pianeta e che può costituire, soprattutto per quanto riguarda gli alimenti surgelati (visto che il coronavirus ama molto le basse temperature), un mezzo di diffusione del virus. Tutto ciò spiega quanto riportato, tra gli altri, in un recente articolo del Sole 24, che cita un rapporto realizzato da Nomisma per la Cia – Agricoltori italiani, in base al quale gli italiani non solo cercano sempre di più alimenti nazionali, ma quando possono scelgono cibi lavorati da aziende locali, quasi sempre regionali, principalmente nei settori delle carni e salumi, nel lattiero-caseario, nelle paste e nei dolci.

Di seguito pubblichiamo una nota che ci ha inviato l’Ambasciata del Brasile in seguito alla pubblicazione di questo articolo.

In primo luogo, sottopongo alla Sua attenzione l’importante dichiarazione dell’Associazione Brasiliana della Proteina Animali (ABPA) – in allegato –, che ratifica l’impegno dell’ABPA nel mantenere i flussi commerciali verso i paesi che tradizionalmente importano carne suina e pollame dal Brasile, oltre che nel garantire adeguate condizioni sanitarie per i lavoratori del settore.

Per il Brasile, il settore agroalimentare è un tema strategico, essenziale per fornire alimenti ai suoi cittadini e ai più di 150 paesi che già importano dal nostro paese. In questo scenario di crisi, il Brasile, nonché i suoi produttori, è consapevole delle sue responsabilità globali di fornire cibo sicuro e economicamente accessibile, facendo tutto ciò che è necessario per ottemperare al suo compito.

Anche prima dell’imposizione delle misure di quarantena in molti paesi del mondo, l’ABPA aveva già garantito che le sue imprese associate avessero adottato azioni per proteggere e prevenire al massimo qualsiasi rischio nelle unità produttive, essendo la vita umana e la sicurezza alimentari sempre al centro. Le azioni adottate includono, tra altre iniziative, l’immediato trasferimento di impiegati che si trovano nel gruppo di rischio (ultrasessantenni, portatori di malattie preesistenti e altri); intensificazione di misure volte alla vigilanza attiva negli stabilimenti di macellazione; e monitoraggio della salute dei lavoratori (con costante misurazione della temperatura).  Le imprese hanno anche rafforzato le azioni raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – molte di cui erano già parte della loro routine negli ambienti di lavoro, ad esempio: Aumento delle misure e pratiche d’igiene preventive in tutti gli ambienti dentro e fuori dagli stabilimenti di macellazione; adozione di misure per evitare gli assembramenti; monitoraggio costante della salute di tutti i lavoratori; rafforzamento delle linee guida di salute tramite orientazioni dirette, volantini e altre forme di comunicazione interne.

È importante sottolineare, altresì, che, differentemente di quello che è stato affermato alla fine dell’articolo suddetto, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), non ci sono prove scientifiche della trasmissione del virus COVID-19 da alimenti o imballaggi di alimentari congelati. Altresì, secondo la “European Food Safety Authority”,  non ci sono prove che il cibo sia fonte o veicolo di trasmissione probabile del virus. Queste informazioni delle organizzazione internazionali sono anche state divulgate nei casi dei focolai di contagio verificatisi in diversi macelli in Italia (nei casi del Mantovano – e anche nel recente caso della ditta Aia, in Veneto).

Nel ringraziare il vostro interesse per l’agricoltura brasiliana, ribadisco la mia disponibilità di fornire informazioni sull’Agricoltura Made in Brazil.

Felipe Neves, Capo Ufficio Agribusiness, Ambasciata del Brasile a Roma

© Riproduzione riservata