L’impiego principale del biossido di titanio (TiO2) è nella produzione di vernici; lo si trova anche in numerosi altri prodotti, tra cui cosmetici (filtri solari), prodotti per l’igiene personale (dentifrici) e negli alimenti, ed è quest’ultimo il caso che ci interessa.
Come additivo alimentare, colorante per la precisione, il biossido di titanio compare sotto la sigla E171. Le particelle di biossido ad uso alimentare sono eterogenee: sono, infatti, comprese tra 40 e 220 nanometri (nm), come emerge dal recente studio americano Titanium Dioxide Nanoparticles in Food and Personal Care Products, guidato da Alex Weir dell’Università dell’Arizona.
Quando le dimensioni delle particelle sono comprese nell’intervallo 1-100 nm, il biossido di titanio costituisce un nanomateriale (nano TiO2). Negli ultimi anni, la produzione di nano TiO2 è aumentata e ciò, a sua volta, ha accresciuto sia l’esposizione umana a questo materiale, sia la sua immissione nell’ambiente. E qualcuno ha cominciato a chiedersi se il nano TiO2 può essere tossico?
Studi finalizzati alla valutazione della tossicità dell’E171 hanno evidenziato una relazione sia con la struttura e le dimensioni delle sue particelle, sia con la forma cristallina naturale da cui derivano (il TiO2 è presente in natura sotto tre diverse forme cristalline: il rutilio, l’anatasio e la brookite).
Il biossido di titanio sotto forma di anatasio è 100 volte più tossico del rutilio. Alcuni studi recenti hanno attribuito proprietà proinfiammatorie alle particelle inalate (Hussain 2011); inoltre le interazioni con la superficie gastro-intestinale potrebbero essere coinvolte nell’insorgenza del morbo di Chron (Lomer 2002). Al biossido di titanio è stato attribuito un ruolo potenzialmente carcinogenico dalla Canadian Centre for Occupational Health and Safety (CCOHS) e dall’International Agency for Research on Cancer (IARC). Il Fatto Alimentare, infine, ha già ampiamente parlato del rischio alimentare delle nanoparticelle.
Il 36% delle particelle di E171 negli alimenti ha dimensioni nanometriche e gli alimenti più ricchi di questa sostanza sono le gomme da masticare, le caramelle e alcuni dolciumi, alimenti consumati soprattutto dai bambini. Sono dunque i nostri figli i più esposti al biossido di titanio?
Questo è quanto emerge dello studio già citato di Alex Weir e altri (2012). In particolare, i ricercatori hanno rintracciato alti livelli di E171 in alcuni prodotti alimentari massicciamente presenti sul mercato USA come Dickinson Coconut curd (3,59 ug/mg), le Mentos Freshmint Gum (con livelli > 0,12 ugTi/mg) e i confetti al cioccolato M&M (1,25 ug/mg).
Gli autori hanno valutato anche la potenziale esposizione di diverse fasce di popolazione: poiché il biossido di titanio è presente in molti prodotti per l’infanzia, in USA i più piccoli sono anche i più esposti (in media l’apporto giornaliero sarebbe tra 1-2 mg di titanio per kg di peso, mentre per gli adolescenti si è stimato un apporto di circa 0,2-0,7 mg/kg di peso corporeo).
Quanto ai prodotti in commercio in Europa, è difficile dire: non esiste uno studio simile a quello di Weir e la dicitura E171 non basta a farci capire se si tratta di nanoparticelle e neppure se si tratta di biossido da rutilio o biossido da anatasio. L’unica cosa certa è che nella UE, la legislazione imporrà l’indicazione dei nanomateriali in etichetta.
Gianna Ferretti docente della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche e blogger di Papille Vagabonde
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