Uno studio francese pubblicato su Scientific Reports sugli effetti del biossido di titanio, utilizzato come additivo per colorare di bianco i prodotti dell’industria alimentare e farmaceutica, aveva creato una certa preoccupazione tra i consumatori. Secondo i ricercatori francesi dell’INRA (Istituto nazionale per la ricerca in agricoltura), l’esposizione prolungata a dosi realistiche di biossido di titanio (additivo alimentare E171), potrebbe causare squilibri del sistema immunitario e lesioni precancerose del colon (le prove sono state condotte sui ratti prima per sette e poi per 100 giorni).
Anche se non è il caso di fare allarmismi, visto che stiamo parlando di test su animali, abbiamo chiesto un parere a Francesco Cubadda, ricercatore dell’Istituto superiore di sanità (Iss) ed esperto di tossicologia e nanomateriali “lo studio francese indica che serve cautela, perché siamo esposti al biossido di titanio costantemente e da fonti multiple”. La cautela è giustificata anche da altri studi, alcuni dei quali pubblicati proprio dall’Iss, che hanno mostrato – nei ratti e in vitro – possibili danni al fegato, alterazioni del sistema endocrino e riproduttivo, nonché effetti proliferativi sulla mucosa intestinale, in seguito a brevi esposizioni all’additivo.
Ma allora perché l’Efsa, che ha recentemente rivalutato l’E171, non ha stabilito limiti per l’impiego nel cibo o un ADI (assunzione quotidiana ammissibile)? “Quando Efsa ha riesaminato il biossido di titanio – spiega Cubadda – le evidenze sulla tossicità erano limitate, soprattutto per quanto riguarda l’apparato gastro-intestinale”. Nel giudizio ha pesato anche l’assenza di linee guida aggiornate sulla valutazione del rischio di materiali con impiego nel settore alimentare e composti da piccole particelle (le ultime risalgono al 2011), importanti per l’esame specifico di quella frazione di biossido di titanio presente in forma nanoparticellare, cioè di dimensioni inferiori ai 100 nanometri.
Come ci ricorda Cubadda, “i nanomateriali non si comportano come i materiali convenzionali”: per esempio, quando si eseguono i test tossicologici, più alta è la concentrazione di nanoparticelle , più è probabile che gli effetti sulla salute – se ce ne sono – vengano mascherati, perché i nanomateriali tendono ad aggregarsi e a reagire meno con cellule e tessuti dell’organismo. Ecco perché appare sempre più importante testare il biossido di titanio nella forma e nelle quantità usate dall’industria alimentare, con cui poi veniamo in contatto”. Forse, se Efsa avesse avuto a disposizione questi ultimi studi e le nuove linee guida, la valutazione del biossido di titanio sarebbe stata differente.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Interessante ma dove è usato il biossido di titanio?
Grazie
Gentile Ercole, il biossido di titanio è usato come additivo (E171) colorante bianco soprattutto nella produzione di dolci (creme e glasse bianche, caramelle)
E’ anche ampiamente usato nei dentifrici, nei solari (è uno schermante dei raggi solari) e nelle paste bianche per il cambio dei pannolini