Le aste al doppio ribasso sui prodotti alimentari sono ufficialmente vietate in Italia. Il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato il 4 novembre 2021 il Decreto Legislativo che attua la Direttiva europea del Parlamento e del Consiglio Ue in materia di pratiche commerciali sleali tra imprese nella filiera agricola e alimentare. Nel decreto è stato inserito il divieto della vendita di prodotti agricoli e alimentari, attraverso il ricorso a gare e aste elettroniche a ribasso (*). Il recepimento della direttiva sulle pratiche sleali è quindi un passo avanti nel processo di riequilibrio della filiera alimentare. Aver incluso le aste al ribasso nel novero delle pratiche vietate pone l’Italia tra i due paesi Europei (l’altro è la Francia) in grado di riconoscere questa prassi come uno dei più gravi problemi nella formazione dei prezzi. Le aste, anche se utilizzate ormai da una minoranza di soggetti della Grande distribuzione organizzata, rappresentano comunque un riferimento per chi stipula contratti di fornitura.
“E’ un risultato storico che aspettavamo da tempo e che dà ragione alla battaglia che portiamo avanti da anni: fermare le aste al doppio ribasso. Si tratta di un chiaro segnale alla Grande distribuzione organizzata – dichiara Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra! – e restituisce dignità agli attori della filiera alimentare, a partire dagli agricoltori ai lavoratori agricoli”. Partendo dalle inchieste di Fabio Ciconte e Stefano Liberti, che hanno scoperto e denunciato per la prima volta il meccanismo delle aste già nel 2016, in questi anni Terra! ha più volte messo in luce le pratiche sleali di alcune sigle delle Catene discount.
È il caso di Eurospin che nel luglio 2018 ha acquistato, tramite un’asta al ribasso, 20 milioni di passate di pomodoro, quasi al di sotto del costo di produzione. Il gruppo si è ripetuto nel 2019, quando con lo stesso metodo aveva acquisito pecorino romano, proveniente da latte sardo, negli stessi giorni in cui i pastori protestavano per la compressione dei prezzi. L’ultimo caso messo in risalto da Terra! risale al marzo 2020, in piena pandemia, quando Eurospin ha organizzato una serie di aste al ribasso per acquisire prodotti della quarta gamma, le classiche insalate in busta. Questa volta, secondo le fonti consultate da Terra! si è arrivati a ribassi del 30% rispetto al prezzo di partenza. Per dovere di cronaca va però detto che adesso Eurospin nel sito precisa di non fare più uso di questo sistema. “Il meccanismo delle aste elettroniche inverse, o al doppio ribasso – secondo l’Associazione Terra! – è una pratica di acquisto utilizzata per assicurarsi la fornitura di diverse categorie di prodotti. Sui prodotti alimentari è molto in voga in diversi Paesi europei e anche in Nord America. In Italia questo tipo di aste vengono utilizzate per diversi prodotti, tra cui passata di pomodoro, olio, caffè, legumi, conserve di verdura”.
La partecipazione all’asta avviene a seguito di una prima convocazione via e-mail da parte della catena di supermercati o del compratore, che chiede ai fornitori di proporre un prezzo per un determinato stock di merce. Raccolte tutte le offerte, il committente convoca nuovamente le aziende, utilizzando l’offerta più bassa come base d’asta per ottenere ulteriori ribassi di prezzo. In questo modo il produttore che vuole aggiudicarsi la vendita del lotto deve ribassare ulteriormente il listino nel tentativo di assicurarsi la commessa. Nessun meccanismo legislativo regola questo strumento di vendita. L’unico vincolo esistente è che non si può vendere al di sotto del prezzo di produzione. “In questi anni le aste hanno costretto i produttori a competere selvaggiamente per assicurarsi il contratto con la catena di distribuzione, in una guerra che spinge i prezzi verso il basso e scarica i suoi effetti dannosi sugli ultimi anelli della filiera, cioè agricoltori e braccianti – spiega Fabio Ciconte – Per scoraggiare il caporalato e lo sfruttamento in agricoltura è fondamentale quindi abolire le pratiche che abbattono il costo dei prodotti che troviamo in vendita al supermercato. Il decreto approvato oggi va nella giusta direzione”.
Soddisfazione anche da parte di Slow Food che per bocca del vicepresidente Raoul Tiraboschi precisa «L’unico scopo di questa pratica è spuntare listini bassi a qualsiasi costo, non prendendo in considerazione nulla. I prezzi bassi si ottengono contenendo i costi di produzione. Questi, nell’immediato, si raggiungono agendo su due fattori: abbassando i salari dei lavoratori e/o diminuendo la qualità delle materie prime. Per questo il provvedimento è sicuramente una decisione che porterà dei vantaggi a tutta la società»
(*) L’articolo 5 del provvedimento individua ulteriori pratiche commerciali vietate a livello nazionale, peraltro già vietate dalla legislazione vigente (articolo 62, comma 2, del decreto legge n. 1 del 2012 e decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali 19 ottobre 2012, n. 199), nonché alcune ipotesi ulteriori, quali l’acquisto di prodotti agricoli e alimentari attraverso il ricorso a gare e aste elettroniche a doppio ribasso, l’imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente gravose per il venditore, ivi compresa quella di vendere prodotti agricoli e alimentari a prezzi palesemente al di sotto dei costi di produzione e l’omissione, nella stipula di un contratto che abbia ad oggetto la cessione di prodotti agricoli e alimentari, di anche una delle condizioni richieste dell’articolo 168, paragrafo 4 del regolamento (UE) n. 1308/2013 (organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli). Tale paragrafo ribadisce la necessità che il contratto sia stipulato prima della consegna per iscritto e indica alcuni elementi essenziali (prezzo, quantità e la qualità dei prodotti, calendario delle consegne, durata del contratto, procedure di pagamento, modalità per la consegna dei prodotti e le norme applicabili in caso di forza maggiore). Con riferimenti ai prezzi, il comma 2 prevede un parametro medio. In sostanza, i prezzi medi sono mensilmente elaborati dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea). Se l’acquirente fissa un prezzo inferiore ai costi medi ridotti del 15%, ciò costituisce un indice di sussistenza di una pratica commerciale sleale.
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Si è raggiunto un qualcosa, la Grande Distribuzione Organizzata la continuerà a fare da padrone, anche se alcune pratiche commerciali NON pagano il lungo termine; i cosiddetti manager dei grandi gruppi avrebbero oramai dovuto capirlo.
Cordialmente Carmine.
Un’ottima notizia, ora però non sediamoci sugli allori e continuiamo a monitorare gli altri comportamenti della GDO che possono essere lesivi per i produttori, specialmente per quelli piccoli.