Come si mangia nello spazio? Le tecniche di conservazioni, le sfide e le scelte degli astronauti. Intervista allo chef Stefano Polato di Argotec
Come si mangia nello spazio? Le tecniche di conservazioni, le sfide e le scelte degli astronauti. Intervista allo chef Stefano Polato di Argotec
Eleonora Viganò 24 Marzo 2014Anche gli astronauti devono mangiare e per farlo hanno bisogno non solo di chef specializzati, ma un di un vero e proprio team che studia come conservare e consumare il cibo in condizioni inedite di assenza di gravità e a pressioni elevate per lunghi periodi. Argotec, azienda con sede a Torino, partecipa alla messa a punto del “bonus food”, ovvero del menu degli astronauti dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) che viene consumato solo nei giorni di “festa”. I protagonisti della Stazione Spaziale Internazionale, come Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano, hanno infatti bisogno non solo degli alimenti giusti, ma anche di qualche extra per rendere migliore il lungo soggiorno nello spazio e contribuire psicologicamente al loro benessere. Per capire meglio le caratteristiche del cibo “spaziale”, abbiamo rivolto alcune domande a Stefano Polato, chef del ristorante Campiello di Monselice (Padova) e collaboratore di Argotec dal 2012.
Quali sono gli elementi che rendono critica la conservazione del cibo nella navicella spaziale?
Per prima cosa dobbiamo considerare che nello spazio sono due le sfide da superare: non esiste un frigorifero né un congelatore, dobbiamo mantenere i cibi a temperatura ambiente in condizioni di alte pressioni e assenza di gravità. L’ultimo elemento da considerare è la necessità di riuscire a conservare i cibi pronti per almeno 18-24 mesi, a volte 3 anni. Anche il confezionamento ha qualche regola poiché non possiamo permetterci grossi ingombri o pesi. Per questo motivo a volte si preferisce il prodotto liofilizzato da conservare in una scatola di 30 x 20 cm dove possiamo tenere scorte per periodi lunghi.
Quali sono le criticità maggiori e i divieti?
Quando gli astronauti hanno aperto le confezioni non devono fuoriuscire parti volatili e nemmeno devono volare briciole o pezzetti di cibo che potrebbero finire all’interno di strumenti delicati oppure essere anche inalate. Quando si utilizzano le posate, l’alimento non deve “perdere pezzi” nell’ambiente circostante. Inoltre non si possono trasportare liquidi. Il succo d’arancia per esempio viene prodotto lifolizzato e poi idratato prima dell’uso.
redazione Il Fatto Alimentare