Anabolizzanti e ormoni nella carne? Secondo i dati ufficiali non li usa nessuno, ma i capi trattati oscillano dal 5 al 32%. In Italia 968 casi sospetti. Il Ministro Lorenzin non risponde
Anabolizzanti e ormoni nella carne? Secondo i dati ufficiali non li usa nessuno, ma i capi trattati oscillano dal 5 al 32%. In Italia 968 casi sospetti. Il Ministro Lorenzin non risponde
Roberto La Pira 31 Dicembre 2013La sensazione sempre più diffusa tra gli addetti ai lavori è che questi metodi comportino un sacco di lavoro e un sacco di spese ma servano a poco. Il che non è un gran risultato soprattuto in un’epoca di spending review. Per questo motivo si stanno facendo strada altri metodi analitici, per ora non riconosciuti a livello ufficiale, ma decisamente interessanti per quanto riguarda la capacità di individuare trattamenti fraudolenti con anabolizzanti. Sono i cosiddetti metodi biologici, come l’esame istologico dei tessuti, prelevati dopo la morte dell’animale e osservati al microscopio, o i test che prevedono l’analisi del corredo di geni (genomica), di proteine (proteomica) o di metaboliti vari (metabolomica) dell’animale. Tutti si basano sull’assunto che ogni trattamento anabolizzante lasci un “segno biologico” nei tessuti dell’animale, oppure nei suoi geni o nelle sue molecol. La presenza di questo “segno” indica chiaramente che il bovino è venuto in contatto con sostanze da evitare, anche se non è in grado di identificare con precisione la molecola.
Quando vengono utilizzate queste tecniche i risultati sono molto diverse rispetto ai dati estremamente rassicuranti che emergono dai vari piani nazionali. Gli esperti dell’Efsa, per esempio, citano due studi secondo i quali anomalie istologiche imputabili a trattamenti con ormoni anabolizzanti si troverebbero in un numero piuttosto elevato di campioni: dal 5 al 15% in un caso e dall’11,7% al 31,9% nell’altro. Secondo quanto ci era stato riferito dal Centro di referenza nazionale per le indagini biologiche sugli anabolizzanti animali, in Italia il 15% dei campioni esaminati con metodo istologico mostrerebbe non conformità.
Il semplice fatto che si disponga di questi dati e che l’Efsa si preoccupi di rilasciare un parere scientifico sulla questione, indica una particolare attenzione al problema e la volontà di lavorare seriamente per risolverlo. L’Italia è tra i paesi più attivi in questo senso, tanto che da anni affianca al tradizionale Piano nazionale residui un monitoraggio parallelo con esami di tipo istologico. È stato fatto anche nel 2012, ma purtroppo i dati relativi allo screening istologico non sono disponibili. O meglio: sappiamo che dallo screening sono emersi 968 campioni giudicati “sospetti”, ma non sappiamo quanti sono stati in totale i campioni analizzati e che tipo di anomalie sono state riscontrate. Abbiamo più volte chiesto al Ministero della salute di farci visionare i dati, ma non abbiamo ottenuto risposta.
Certo, l’ulteriore indagine chimica eseguita sui campioni sospetti non ha rivelato irregolarità, ma questo risultato dimostra l’inutilità delle analisi chimiche per via dei limiti di cui abbiamo parlato. Qualcosa, comunque, si muove, anche se bisognerà probabilmente attendere un vero cambio di mentalità per rendere i nuovi metodi ufficiali – e dunque validi dal punto di vista legale. Per il momento a dispetto dei dati ufficiali la situazione non è certo tranquillizzante. Le catene di supemercati conoscono il problema e per questo motivo le più attente richiedono agli allevatori certificati di analisi basati su prove biologiche, le sole in grado di evidenziare i trattamenti illegali.
Valentina Murelli
Foto: Photos.com
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Complimenti per l’iniziativa a favore della qualità della carne e per riproporla periodicamente.
Nel mio sito scrissi un articolo nel 2002, dopo una puntata di report che denunciava più o meno le cose che scrivete qui.
Il problema riguarda anche la cultura alimentare italiana: finché il mercato chiede carne magrissima, che si ottiene proprio con gli ormoni, le cose non potranno di certo migliorare.http://www.cibo360.it/alimentazione/cibi/carne/sicurezza.htm
Molte persone, al contrario, invece di cercare la carne buona sta smettendo di mangiarla.
Buongiorno e grazie per continuare a tenere accesi i riflettori su un tema inquietante, perché se il sistema immunitario dell’essere umano moderno comincia a dare segni di malfunzionamento (dall’incremento di malattie autoimmuni a allergie e simili) forse non è solo un ambiente “troppo” pulito e troppo inquinato, ma forse dipende anche da quello che, involontariamente, ingeriamo.
Però… “Altre come farmaci, pesticidi e metalli pesanti, possono essere presenti solo entro certi limiti.“
Quindi… nel caso di bimbi allergici alle proteine del latte e uova a cui la mensa scolastica, nella stragrande maggioranza dei casi, pare serva su cinque pasti quattro più o meno a base di carne… Forse varrebbe la pena di rilevare a campione direttamente sul luogo… Magari esistono kit che possono assolvere questo compito… Perché se è vero che l’ingestione saltuaria non è nociva per l’uomo, l’ingestione continuativa nel tempo… forse… qualche danno lo provoca, ma io non sono un medico, e forse sono fuori strada… Grazie per questa opportunità di riflessione.