Negli allevamenti italiani ed europei è vietato l’uso di anabolizzanti e dunque la presenza di queste sostanze in campioni prelevati nell’ambito di controlli ufficiali fa gridare alla frode. Nel caso dello zeranolo, un tipico promotore della crescita, però, non è detto che le cose stiano così: oltre che in animali trattati in modo illecito, infatti, la sostanza può essere presente anche in animali che abbiano consumato mangimi contaminati con zearalenone, una micotossina prodotta dal fungo Fusarium. Questo accade poiché nell’animale, lo zearalenone si trasforma in zeranolo. Distinguere tra le due diverse origini della sostanza fino ad ora non è stato semplicissimo anche se è fondamentale, in un caso infatti si tratta di frode, mentre nell’altro di contaminazione involontaria.
Adesso, però, un metodo proposto in letteratura e validato dall’Istituto zooprofilattico delle Venezie nell’ambito di uno studio finanziato dal Ministero della salute, sembra andare proprio in questa direzione.
«Siamo partiti da una serie di dati già pubblicati che prevedono l’analisi chimica di tutte le sostanze coinvolte nelle vie metaboliche dello zeranolo e dello zearalenone. Alcune sono comuni alle due vie, mentre altre non lo sono» spiega Roberto Angeletti, direttore del laboratorio di chimica dell’Istituto. Sulla carta, questo tipo di analisi a tappeto dovrebbe permettere di distinguere tra somministrazione illecita e assunzione involontaria.
Per verificarlo, i ricercatori dell’istituto veneto hanno trattato 3 bovini maschi adulti con l’anabolizzante vietato e alimentato altri 3 bovini con mangime contaminato dalla micotossina, conducendo poi l’analisi chimica prevista dalla letteratura su campioni di urina dei sei animali. «Abbiamo osservato che il metodo permette di discriminare tra le diverse origini della sostanza». E dunque tra frode e incidente.
Rispetto alle indagini analitiche classiche non sono necessarie strumentazioni o competenze particolari, si tratta di ricercare qualche sostanza in più e di analizzare i dati ottenuti in modo complessivo. «In effetti da un paio d’anni diversi paesi europei, Italia compresa, inseriscono nei loro Piani nazionali residui queste indagini più accurate. Manca però una formalizzazione definitiva del metodo da parte delle autorità comunitarie» sottolinea Angeletti.
Il Fatto Alimentare ha più volte evidenziato le criticità e le debolezze dei metodi chimici per la ricerca di residui di promotori della crescita utilizzati negli allevamenti di animali da reddito e i temi correlati agli anabolizzanti nella carne. Questo, però, è un esempio di quanto la chimica possa ancora essere utile e di come a volte basti davvero poco per ottimizzare metodi approvati in passato.
Valentina Murelli
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giornalista scientifica