Gli studi di vario tipo che collegano il consumo regolare di alimenti ultra processati a effetti nocivi sulla salute umana sono ormai centinaia, e riguardano decine di condizioni patologiche. Il fatto non stupisce, visto che questi alimenti, presenti in tutte le tipologie di cibo, costituiscono in media circa la metà delle calorie assunte ogni giorno nel mondo. Parallelamente al loro successo, alcuni indici di malattia e di mortalità continuano ad aumentare. Ma stabilire l’esistenza di una relazione di causa ed effetto è estremamente difficile, perché il numero di variabili che entrano in gioco è troppo elevato. Tra queste, oltre alle abitudini alimentari, che cambiano di giorno in giorno, vi sono il corredo genetico di ciascuno, la composizione del microbiota, l’assunzione di farmaci, le eventuali altre patologie presenti e molto altro.
Per cercare di giungere comunque a risultati con una certa solidità, un gruppo di epidemiologi di alcune università australiane ha condotto quella che viene definita una metanalisi a ombrello, cioè una metanalisi di altre metanalisi, e di articoli riassuntivi come le review, che fanno il punto sull’argomento secondo le conoscenze del momento. E i risultati, pubblicati sul British Medical Journal, che a essi ha dedicato la copertina, e che ha pubblicato anche un editoriale, pur con tutti i limiti del caso, sono inquietanti.
Le metanalisi sugli alimenti ultra processati
Gli epidemiologi hanno selezionato 45 metanalisi e 14 articoli di tipo review tutti pubblicati negli ultimi tre anni, che hanno coinvolto, in totale, poco meno di dieci milioni di persone in tutto il mondo: numeri che, di per se stessi, conferiscono forza a quanto emerso. Inoltre, hanno controllato attentamente che nessuno dei lavori entrati nell’analisi fosse stato in alcun modo sponsorizzato da aziende: un elemento cruciale, in un settore nel quale i conflitti di interesse sono all’ordine del giorno, e hanno contribuito a nascondere per anni il ruolo di alimenti come lo zucchero, per citare solo il caso più noto.
A quel punto hanno verificato innanzitutto la proporzione di calorie giornaliere derivate da ultra processati, trovando una media del 58%, con grandi oscillazioni. Per esempio, l’Italia sarebbe al 10%, la Corea del Sud al 25%, l’Australia al 42%, gli Stati Uniti al 58%, la Colombia al 16%, il Messico al 30%, con tendenze, però, tutte all’aumento.
I rischi
Si sono poi concentrati sulla mortalità e sui rischi di malattia, scoprendo che vi sono prove sufficientemente convincenti per affermare che chi consuma più ultra processati ha un aumento del rischio di morte per qualunque causa rispetto a che ne consuma di meno, o li evita del tutto. Si è rilevato anche un aumento del rischio di morte da patologie cardiovascolari del 50%, di diabete di tipo 2 (del 12%), di obesità, di peggioramento della qualità del sonno e del russamento, così come di ansia e altri disturbi mentali (del 48-53%).
Dati con un livello leggermente inferiore di solidità statistica collegano poi il consumo ancora a un aumento di morte del 21%, di malattie cardiovascolari e relativi decessi del 40-66%, e ancora di diabete di tipo 2, obesità, depressione e disturbi del sonno. In pratica quei dati, pur provenendo da metanalisi e review leggermente meno valide, portano alle stesse conclusioni. Vi sono poi associazioni con l’asma, alcune malattie gastrointestinali, alcuni tumori e alterazioni dei lipidi del sangue.
In generale, le prove a carico riguardano un totale di 32 malattie, il cui decorso o il cui rischio sarebbe influenzato negativamente al consumo di ultra processati.
Perché proprio ultra processati?
Gli ultra processati sono ricchi di additivi (soprattutto di emulsionanti, addensanti, conservanti e coloranti), così come di sodio, zuccheri e grassi, e sono poveri di fibre, vitamine e altri nutrienti positivi, ma finora non è ancora stato possibile capire quale sia la causa di effetti sulla salute così negativi, se ve ne siano di singole o se siano le associazioni a essere deleterie, e che ruolo giochi l’effetto di accumulo. Secondo alcuni, per esempio, uno dei fattori è la fame: poiché si tratta quasi sempre di prodotti ipercalorici, chi li mangia non ha lo stimolo a consumare anche alimenti sani, che via via si marginalizzano sempre più, nella dieta quotidiana. Secondo altri, invece, molto si determina nell’intestino, dove il microbiota subisce alterazioni profonde, che condizionano poi tutto il metabolismo. E accanto a queste vi sono altre decine di possibili interpretazioni.
L’invito non può quindi essere che quello di condurre numerosi studi definiti meccanicistici, nei quali cioè si cerchi di capire il ruolo del singolo ingrediente.
Al tempo stesso si dovrebbe riflettere sull’attuale classificazione (chiamata NOVA) che, se da una parte è essenziale proprio per condurre studi confrontabili, dall’altra presenta evidenti limiti quali il fatto di includere in una stessa categoria alimenti diversissimi tra loro, come le lasagne surgelate e gli yogurt alla frutta.
Che fare?
Occorreranno anni per avere dati comunque parziali. Nel frattempo, non si può stare a guardare. È indispensabile, si legge nell’editoriale, che le autorità sanitarie, a cominciare da quelle dell’ONU per arrivare a quelle nazionali e locali, intraprendano una massiccia campagna educazionale simile a quella attuata per la lotta al fumo. Inoltre, devono utilizzare tutti gli strumenti di legge possibili quali quelli sulle etichettature, sulle segnalazioni sulle confezioni, sui limiti ai contenuti di certe categorie come zuccheri, grassi e sale. E si devono servire di tutte le leve fiscali disponibili, promuovendo il cibo sano a prezzi convenienti, e penalizzando quello ultra processato. Perché le aziende stanno continuando a ottenere guadagni favolosi e in continuo aumento da alimenti di qualità spesso pessima – concludono – e non è da loro che ci si può attendere un reale cambiamento.
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Giornalista scientifica
L’unica campagna percorribile per i cibi ultra processati è quella analoga intrapresa dal governo francese per il fumo, un pacchetto costa almeno 12 euro ( i fumatori sono quasi estinti ) ma aumentare il prezzo di questi cibi farà sì che le persone debbano ridurne il consumo perché gli stipendi i governi non vogliono aumentarli ed il cibo da sempre è un mezzo con il quale i governi controllano le masse ( bio politica ) pertanto andrebbe riformata la classe politica con persone competenti e limitare le lobby alimentari ( togliere potere alle multinazionali )
Per completare l’informazione e’ opportuno fare chiarezza su alcuni alimenti ultra processati come i biscotti per dare eventualmente una alternativa possibile