Aumentare il prezzo delle bevande alcoliche per ridurre il rischio di un consumo dannoso. Può sembrare una soluzione banale, ma funziona. Lo ribadisce il rapporto “Alcohol pricing in the WHO European Region. Update report on the evidence and recommended policy actions” pubblicato dall’Ufficio regionale europeo dell’Oms e diffuso in Italia da Epicentro, che sottolinea come tra le misure politiche di contrasto al consumo rischioso di alcol le più efficaci siano quelle di natura economica, dirette o indirette: riduzione della disponibilità fisica delle bevande alcoliche sul mercato e strategie basate sui prezzi e sulla tassazione, che diminuiscono l’accessibilità all’alcol pesando sul portafogli.
Adeguate politiche sul prezzo di vendita, infatti, possono contribuire a ridurre il consumo delle bevande alcoliche e i danni alla salute che ne derivano. Conseguenze sulla salute con un peso economico e sociale non indifferente, che con l’adozione di queste misure potrebbe essere alleviato nel breve, medio e lungo termine.
Le tasse sugli alcolici sono il metodo principale attraverso cui gli stati agiscono sui prezzi di queste bevande e diversi tipi di tassazione possono avere una differente efficacia nel contrasto al consumo dannoso di alcol. Lo stesso vale per altre tipologie di politiche sui prezzi. Per esempio, in alcuni contesti potrebbe risultare efficace stabilire le stesse aliquote fiscali per tutte le bevande – birra, vino e superalcolici – perché una tassazione più bassa su una tipologia potrebbe semplicemente spostare i consumi da una categoria a un’altra, soprattutto tra i bevitori a rischio. Per questo aumentare la tassazione dei prodotti più economici può essere una strategia efficace nei paesi in cui sono presenti disuguaglianze sanitarie legate al consumo di alcol.
In altri casi, invece, può risultare più efficace una tassazione più alta per le bevande a maggiore gradazione alcolica oppure per quelle che hanno bassi costi di produzione. Inoltre, come è stato fatto in Scozia, può essere fissato un “prezzo minimo unitario” (minimum unit price), una misura che stabilisce, appunto, un prezzo minimo per unità alcolica tenendo conto sia del contenuto di alcol che del volume di vendita della bevanda. Questa politica sui prezzi di vendita si è dimostrata efficace nei bevitori a rischio e in Scozia ha fatto registrare un calo delle vendite di circa il 5% da quando è stata implementata.
La maggioranza dei Paesi della regione europea, rileva l’Oms, ha qualche forma di regolamentazione del prezzo di vendita delle bevande alcoliche, tuttavia spesso non sono implementate o si sono rivelate inefficaci per come sono state strutturate. Tra le tasse attualmente in vigore ci sono ampie variazioni da un paese all’altro, mentre il prezzo minimo unitario è stato adottato solo da otto paesi.
Il rapporto dell’Oms sottolinea che le politiche sui prezzi di vendita possono essere strumenti efficaci e benefiche per la salute. Chi è contrario a queste misure generalmente afferma che danneggiano l’economia, ma le evidenze attualmente disponibili dicono che non è così: l’uso dannoso di alcol infatti ha dimostrati effetti negativi sulla produttività economica, oltre a pesare sulle casse dello stato a causa delle sue conseguenze sanitarie e sociali.
Qui il rapporto completo “Alcohol pricing in the WHO European Region. Update report on the evidence and recommended policy actions”
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
con le sigarette non mi pare abbia molto funzionato soprattutto x i giovani, anzi per risparmiare si è diffusa l’abitudine di farsi le sigarette da se senza filtro
Facendogli diminuire le vendite, chi produce andrà a tagliare sulla qualità, quindi non saprei…ma vogliamo invece parlare dell’abuso di energy drink?!
Gli effetti del proibizionismo e della presunta dissuasione indotta dalla ipertassazione, a questi signori, devono essere sfuggiti.
Consiglierei un paio di fine settimana in Scandinavia, poi ne riparliamo con calma.
Aumentare le tasse indifferentemente su qualunque bevanda alcolica andrebbe a colpire consumatori e produttori nei paesi in cui il consumo di vino (ma anche di birra) quotidiano e non causa di dipendenze è tradizionale, come Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna, Germania, Paesi Bassi, Scandinavia… praticamente tutta Europa. È un’idiozia,anche in linea di principio: non tutto il consumo di alcol provoca dipendenza, ma d’altra parte non si può considerare “bene voluttuario” qualsiasi bevanda a bassa gradazione alcolica il cui consumo quotidiano è una tradizione per la maggior parte della popolazione.
Inoltre, come fatto già notare, tassare l’alcol o le bevande alcoliche porta semplicemente le persone che HANNO GIÀ una dipendenza a cercare altre strade, illegali o, peggio, artigianali: i distillatori casalinghi si vendono a prezzo relativamente basso e non ci vuole chissà quale competenza per ottenere una schifezza superalcolica distillando un vino a basso prezzo.
Perché le soluzioni alle dipendenze si cercano sempre “a valle” e mai “a monte”, cercando innanzitutto di capire PERCHÉ certe persone si danno alle dipendenze (QUALUNQUE cosa può dare dipendenza e diventare dannosa per questo, dalle droghe, all’alcol, al gioco d’azzardo, ai videogiochi, al sesso, alla pornografia, allo shopping, alla TV)?
Una riduzione del consumo di alcool del 5% a fronte di un aumento dei prezzi mi pare un dato assolutamente insufficiente a dedurne che il primo causi il secondo, specialmente se sono state contemporaneamente attuate altre misure di contenimento dei consumi.
Tanto per citarne alcune:
– il divieto di vendita di alcolici dopo una certa ora
– il divieto di portare fuori dai locali bottiglie in vetro
– il divieto di portare bottiglie in vetro e lattine nelle occasioni di piazza
– il divieto di vendita di alcolici ai minori nei supermercati
Normalmente l’aumento della tassazione su di un bene (alcol, sigarette, carburanti…) nasce semplicemente dalla voglia o la necessità di fare cassa, comodamente mascherata sotto claim salutistici, ecologisti, sociali, e l’eventuale calo dei relativi consumi è comunque sempre inferiore all’incasso globale: un aumento della tassazione del 10% NON comporta affatto una diminuzione dei consumi del 10% ma di percentuali molto inferiori.