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Il consumo di alcol ha uno stretto rapporto con le condizioni socioeconomiche e soprattutto con il livello di istruzione di chi beve. Un rapporto che, però, può evolvere anche in base all’età. Lo si è visto nei mesi dei primi lockdown, quando il consumo (in quel caso l’acquisto) è salito principalmente nelle zone più disagiate, e lo si vede anche in assenza di situazioni eccezionali come una pandemia, se si analizzano le relazioni tra consumi e scolarizzazione. Il tema è stato affrontato in due articoli pubblicati sullo stesso numero della rivista PLoS One, che giungono a conclusioni simili pur avendo analizzato campioni e scenari assai diversi.
Nel primo, infatti, lo scopo era verificare se vi fossero state o meno modifiche nelle abitudini degli britannici durante le chiusure del 2020, e a tale scopo i ricercatori dell’Università di Newcastle hanno analizzato gli acquisti di prodotti a base di alcol di circa 80 mila famiglie, per un totale di circa 5 milioni di transazioni effettuate tra il 2015 e il 2020. Il risultato è che dopo l’avvio del lockdown c’è stato un incremento del 29% negli acquisti nei negozi, rispetto alla media degli anni compresi tra il 2015 e il 2019. In realtà, però, l’alcol in più acquistato nei negozi corrispondeva, all’incirca, a quello che sarebbe stato venduto da pub e altri locali pubblici nello stesso periodo (in base sempre alle consumazioni medie), se non avessero chiuso. Non a caso, con le riaperture le vendite nei negozi sono tornate a valori medi, e quelle dei locali pubblici sono tornate a crescere. Il consumo totale quindi probabilmente non è cambiato. Tuttavia, è interessante notare che le zone del paese dove si sono visti gli incrementi maggiori sono anche le più depresse e quelle dove vive la popolazione meno istruita come la Scozia del Sud, il Nord dell’Inghilterra e il Galles. Lo stesso si è visto tra le famiglie che già prima della pandemia compravano più alcolici: secondo lo studio i loro acquisti sono aumentati di ben 17 volte di più rispetto alle famiglie che normalmente compravano meno alcol.
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Nel secondo, condotto dai ricercatori dell’Università di Utrecht, nei Paesi Bassi, sono stati invece analizzati i dati sui consumi di alcol in diverse fasce di età (14, 16, 19, 22 e 26 anni) e sul livello di scolarizzazione in una coorte di oltre 2.200 tra adolescenti e giovani, per vedere se ci fosse o meno un nesso. È emerso un andamento in due fasi, diverso a seconda dell’età. Fino ai 19 anni, infatti, a una bassa scolarizzazione corrisponde un maggior consumo di alcol, e già a 14 anni è possibile prevedere chi si sta avviando a diventare un bevitore in base alla qualità dell’istruzione ricevuta. Dopo però la situazione cambia: dai 19 anni in poi sono i più agiati e istruiti a bere di più. Il rapporto tra consumo di alcolici e scolarizzazione non è dunque lineare e, probabilmente, dipende anche da fattori che, per i giovani, chiamano in causa lo status socio-economico della famiglia di provenienza, la pressione sociale dei pari e il quoziente intellettivo del singolo ragazzo.
In conclusione, dunque, è indispensabile formare di più e meglio i ragazzi (e non solo loro) sui rischi degli alcolici, per prevenire l’acquisizione, fino dalla prima adolescenza, di abitudini scorrette. Inoltre, è fondamentale mettere in campo politiche per ridurre il consumo eccessivo di alcolici in momenti di crisi, come quelli della pandemia, e nelle fasce sociali più disagiate, e per rispondere adeguatamente alle sue conseguenze.
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Giornalista scientifica