“Chiare, fresche et dolci acque…” scrive Francesco Petrarca nel suo Canzoniere. Oggi di acque da bere ce ne sono tante, da quelle distribuite dagli acquedotti a quelle in bottiglia, e i sistemi di analisi attualmente a disposizione permettono di dare una valutazione attendibile dei caratteri oggettivi e gustativi di ciascuna. Proprio come si fa per il vino, si parla quindi di acqua dolce, acida, salata, amara. I sapori dell’acqua, sia essa di rete o in bottiglia, possono essere studiati e determinati con precisione attraverso l’analisi della scienza sensoriale, come recentemente sottolineato da Luigi Odello, presidente del Centro studi assaggiatori.
La pubblicità ci bombarda di informazioni sulle composizioni delle acque da tavola e, in particolare, sul loro contenuto di sali minerali, di gas e di residuo fisso. Le acque, effettivamente, si differenziano soprattutto per la quantità e il tipo di sali che contengono: acqua leggera, minimamente mineralizzata (fino a 50 mg per litro); acqua oligominerale, povera di sali (da 51 a 500 mg per litro); acqua mediamente mineralizzata (da 501 a 1.500 mg per litro) e, infine, acqua con un’alta percentuale di minerali (oltre 1.500 mg per litro). Quest’ultimo tipo è spesso utilizzato a fini curativi e su consiglio medico, mentre le altre sono considerate ‘acque da tavola’.
In base ai sali, poi, le acque si distinguono anche in bicarbonate, solfate, clorurate, calciche, magnesiache, fluorate, sodiche e iposodiche. Vi sono inoltre distinzioni in base al contenuto di gas: acqua piatta; acqua non gassata imbottigliata come sgorga dalla sorgente; acqua addizionata con anidride carbonica; acqua acidula con anidride carbonica maggiore di 250 mg per litro; acqua naturalmente gassata o effervescente naturale con anidride carbonica presente alla sorgente; acqua degassata. Al di fuori dalle acque minerali usate per precise indicazioni mediche e dietetiche o di necessità d’approvvigionamento, la scelta di un’acqua da tavola, che può essere in molti casi quella del rubinetto, si basa però oggi soprattutto sulle sue caratteristiche in termini di ‘gusto’.
Le acque distribuite dalla rete o in bottiglia sono quindi valutate soprattutto in base a elementi sensoriali che comprendono in primis l’esame visivo: trasparenza, intensità del colore, presenza e qualità di eventuali bolle. Vi è poi l’esame olfattivo, con cui si ricercano eventuali odori negativi che possono anche compromettere la stessa potabilità dell’acqua e il suo uso come ingrediente: oltre all’odore di cloro, usato per sanificare l’acqua distribuita nelle case (tra ipoclorito e diossido di cloro pare vi sia una notevole differenza a favore del secondo), sono odori sfavorevoli anche quello di terra (stantio, muffa o simili) e di vegetale, dovuto ad alghe. Con una valutazione tattile e gustativa, anche di retrogusto, si considerano infine la leggerezza e il sapore. Quest’ultimo può essere dolce, acido, salato, amaro, metallico o ferroso e astringente. Esistono inoltre nette differenze gustative anche tra acqua liscia e gassata, quest’ultima ha infatti un sapore acido, dovuto alla presenza di ioni di idrogeno generati dalla dissociazione dell’acido carbonico formatosi per la presenza di anidride carbonica, e rafforzato da un gusto salato.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002