Poche settimane fa è stato approvato dal Commissario ad Acta della Regione Lazio un decreto 28 ottobre 2015, n. U0053, su Linee guida su conflitto interessi degli addetti al controllo ufficiale in materia di sanità veterinaria e sicurezza alimentare. Il Fatto Alimentare ha posto più volte l’accento sul conflitto di interessi nell’ambito alimentare, evidenziando l’ambigua posizione di Andrea Ghiselli – dirigente del Crea Nut (ex Inran) responsabile delle nuove Linee guida per una sana alimentazione degli italiani – che per anni e sino al dicembre 2014 è stato consulente della principale associazione di categoria che raggruppa aziende produttrici di dolci, prodotti da forno, gelati e pasta (Aidepi).
Sul tema del conflitto di interessi abbiamo anche pubblicato un’intervista a Francesco Branca dell’Oms, che ha espresso un parere molto chiaro sull’esigenza della massima trasparenza da parte delle persone che rivestono ruoli di rilievo nelle istituzioni. Riteniamo utile diffondere il testo del provvedimento che, pur essendo destinato ad un gruppo ristretto di operatori, riveste grande interesse per tutti i cittadini consumatori.
Le linee guida prendono in esame: le definizione di “conflitto di interessi”; l’elenco dei casi che possono individuare situazioni di conflitto di interessi; la compilazione delle dichiarazioni relative ai conflitti di interessi da parte di tutti gli operatori coinvolti nei controlli ufficiali; le procedure e gli strumenti di verifica, l’aggiornamento ed archiviazione delle dichiarazioni; la diffusione della procedura al personale; l’impegno formale da parte delle Aziende Sanitarie Locali a dare evidenza documentale di tale attività.
Definizione di conflitto di interessi e principi
Il conflitto di interessi, ai sensi del DPR 62/13 è la situazione in cui un interesse privato (anche non economico) interferisce, ovvero potrebbe tendenzialmente interferire, con la capacità del dipendente ad agire in conformità con gli interessi aziendali. Il conflitto può nascere anche da una promessa o da una situazione che potrebbe verificarsi in futuro.
Questi sono i principi a cui il dipendente deve attenersi
Il dipendente deve astenersi dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto di interessi (anche potenziale) con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall’intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici.
Il dipendente deve astenersi dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente deve astenersi in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza.
Esempi di conflitto di interessi
1. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti nei confronti dei quali la struttura di assegnazione del dipendente ha funzioni relative al rilascio di concessioni o autorizzazioni o nullaosta o atti di assenso comunque denominati, anche in forma tacita.
2. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti fornitori di beni o servizi per l’amministrazione, relativamente a quei dipendenti delle strutture che partecipano a qualunque titolo all’individuazione del fornitore.
3. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che detengono rapporti di natura economica o contrattuale con l’amministrazione, in relazione alle competenze della struttura di assegnazione del dipendente, salve le ipotesi espressamente autorizzate dalla legge.
4. Gli incarichi che si svolgono a favore di soggetti privati che abbiano o abbiano avuto nel biennio precedente un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all’ufficio di appartenenza.
5. Gli incarichi che si svolgono nei confronti di soggetti verso cui la struttura di assegnazione del dipendente svolge funzioni di controllo, di vigilanza o sanzionatorie, salve le ipotesi espressamente autorizzate dalla legge.
6. Gli incarichi che per il tipo di attività o per l’oggetto possono creare nocumento all’immagine dell’amministrazione, anche in relazione al rischio di utilizzo o diffusione illeciti di informazioni di cui il dipendente è a conoscenza per ragioni di ufficio.
7. Gli incarichi e le attività per i quali l’incompatibilità è prevista dal d.lgs. n. 39/2013 o da altre disposizioni di legge vigenti.
8. Gli incarichi che, pur rientrando nelle ipotesi di deroga dall’autorizzazione di cui all’art. 53, comma 6, del D.Lgs. 165/2001, presentano una situazione di conflitto di interesse.
9. In generale, tutti gli incarichi che presentano un conflitto di interesse per la natura o l’oggetto dell’incarico o che possono pregiudicare l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente. La valutazione operata dall’amministrazione circa la situazione di conflitto di interessi va svolta tenendo presente la qualifica, il ruolo professionale e/o la posizione professionale del dipendente, la sua posizione nell’ambito dell’amministrazione, la competenza della struttura di assegnazione e di quella gerarchicamente superiore, le funzioni attribuite o svolte in un tempo passato ragionevolmente congruo. La valutazione deve riguardare anche il conflitto di interesse potenziale, intendendosi per tale quello astrattamente configurato dall’art. 7 del D.P.R. 62/2013.
Fra le misure e le azioni previste dalla Legge 190/2012 con finalità di prevenzione della corruzione, vi è anche l’obbligo di astenersi dalla partecipazione alla decisione, per il responsabile del procedimento e per i titolari degli uffici competenti ad adottare pareri, valutazioni tecniche, ecc. (c.d. gli atti endoprocedimentali) sia il provvedimento finale, in tutti i casi di conflitto di interessi, anche solo potenziale (art. 1, della legge 190/2012 che ha introdotto l’art. 6-bis della legge n. 241/1990, rubricata ” Conflitto di interessi “).
Riferendosi a questo ultimo articolo, le Linee Guida ne interpreta il significato
La norma va letta in maniera coordinata sia con le disposizioni inserite nel Codice di Comportamento di cui al D.P.R. n. 62/2013 (gli art. 6 e 7 prescrivono il dovere, per il dipendente, di segnalare ogni situazione di conflitto, anche potenziale nonché l’obbligo di astensione) sia con il Piano Nazionale Anticorruzione che così dispone:
“La segnalazione del conflitto deve essere indirizzata al dirigente, il quale, esaminate le circostanze, valuta se la situazione realizza un conflitto di interesse idoneo a ledere l’imparzialità dell’agire amministrativo. Il dirigente destinatario della segnalazione deve valutare espressamente la situazione sottoposta alla sua attenzione e deve rispondere per iscritto al dipendente medesimo sollevandolo dall’incarico oppure motivando espressamente le ragioni che consentono comunque l’espletamento dell’attività da parte di quel dipendente. Nel caso in cui sia necessario sollevare il dipendente dall’incarico esso dovrà essere affidato dal dirigente ad altro dipendente ovvero, in carenza di dipendenti professionalmente idonei, il dirigente dovrà avocare a sé ogni compito relativo a quel procedimento. Qualora il conflitto riguardi il dirigente a valutare le iniziative da assumere sarà il responsabile per la prevenzione”.
Le previsioni in materia di obbligo di astensione, in caso di conflitto d’interesse, e di segnalazione devono essere riproposte nel Piano Aziendale di prevenzione della corruzione.
La violazione sostanziale delle predette norme, dà luogo a responsabilità disciplinare del dipendente, suscettibile di essere sanzionata con l’irrogazione di sanzioni all’esito del relativo procedimento, oltre a poter costituire fonte di illegittimità del procedimento e del provvedimento conclusivo dello stesso, quale sintomo di eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento della funzione tipica dell’ azione amministrativa.
Il punto 3.1.5 del piano Nazionale Anticorruzione prescrive alle pubbliche amministrazioni di intraprendere adeguate iniziative per dare conoscenza al personale dell’obbligo di astensione, delle conseguenze scaturenti dalla sua violazione e dei comportamenti da seguire in caso dì conflitto di interessi.
Le Amministrazioni predispongono una procedura operativa per la gestione dei conflitti di interesse che comprenda:
– l’individuazione delle situazioni di conflitto di interessi diretto o potenziale;
– un modello standard di dichiarazione di assenza di conflitto di interesse (vedi esempio l’Allegato 1 delle Linee Guida) e relativo aggiornamento;
– un modello standard di dichiarazione di presenza di conflitto di interesse (vedi esempio l’Allegato 2 delle Linee Guida);
– il puntuale monitoraggio del grado di applicazione della procedura;
• la segnalazione i casi di conflitto al Responsabile della Prevenzione della Corruzione per i provvedimenti consequenziali;
– le modalità di archiviazione della documentazione;
– la capillare diffusione della procedura a tutto il personale.
Obbligo di astensione
Tra gli obblighi del dipendente è previsto il cosiddetto “Obbligo di astensione”.
Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza.
Nei casi di cui sopra, il dipendente deve comunicare per iscritto tramite protocollo riservato al proprio Responsabile di riferimento le ragioni che possono comportare un conflitto d’interesse con l’Azienda per le conseguenti determinazioni.
Il Responsabile verifica l’effettiva sussistenza nel caso concreto delle condizioni che determinano l’obbligo di astensione e adotta i conseguenti provvedimenti di competenza sotto descritti.
L’astensione deve essere annotata, senza indicazione delle cause che l’hanno determinata, nella pratica per la quale è sorto il conflitto d’interesse e la relativa comunicazione deve essere trasmessa, in forma integrale, al Responsabile della Prevenzione della Corruzione che provvede alla tenuta del relativo archivio ed una copia al Servizio Personale da apporre in fascicolo.
La procedura di comunicazione, valutazione ed archiviazione dei casi di astensione deve essere seguita anche nelle ulteriori ipotesi di conflitto di interesse previste da altre disposizioni normative (quale, a titolo di esempio quella prevista dall’art. 6-bis della legge n. 241/1990), per le quali non siano definite diverse specifiche procedure.
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giornalista redazione Il Fatto Alimentare
Solo per ricordare che fra gli operatori del controllo ufficiale sugli alimenti non ci sono solo le forze di polizia citate nel prospetto, ma anche i numerosi incaricati del controllo ufficiale delle ASL (Tecnici della prevenzione, Medici e Veterinari) con l’attribuzione della qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, sia pur limitata alle proprie funzioni. L’attività svolta da questi operatori è spesso sottaciuta, nonostante la massiccia opera che svolgono a tutela della salute dei consumatori che, stando ai numeri, è di gran lunga superiore a quella svolta da qualsiasi altra forza di polizia impegnata in campo alimentare. Varrebbe quindi la pena valorizzare di più l’opera di queste “forze di polizia” per dare maggiore fiducia ai consumatori e per smitizzare il fatto che il cittadino sia difeso solo da chi sa pubblicizzare i propri interventi.