Buongiorno avvocato Dongo.
La seguo con molta stima, perché trovo sempre molto chiare ed esaustive le sue spiegazioni, ma questa volta ho il dubbio di aver capito male, rispetto al punto 3) dell’articolo “Può contenere traccia di tutti gli allergeni” è un’etichettatura valida?, mi spiego meglio. Leggendo questa frase “le piccole dimensioni del laboratorio non escludono alcuna responsabilità, […]” capisco che il titolare della bottega deve garantire l’assenza di allergeni in tutti i prodotti da lui realizzati.
O forse Lei si riferiva alla “responsabilità” di cui al punto 2), ossia “la responsabilità dell’operatore si esplica perciò nell’offrire al consumatore allergico una comunicazione semplice ed esatta”? Quindi se il titolare maneggia di tutto e di più… scriverà “Prodotto in un laboratorio che utilizza xxx” ed elencherà i 14 allergeni come da Regolamento?
Mi scusi se pongo una domanda che forse a Lei sembrerà banale, ma voglio girare questo post ad amici che hanno delle piccole attività e che ricevono tante informazioni, anche dalle associazioni di categoria…, non sempre così di chiara applicazione, ebbene sì.
Scusi quindi il disturbo e attendo di leggere la Sua risposta.
mimangiolallergia.wordpress.com
Risponde l’avvocato Dario Dongo
L’informazione semplice ed esatta che l’OSA (operatore del settore alimentare) deve offrire al consumatore va inderogabilmente riferita a ciascuno dei prodotti offerti in vendita e/o somministrati.
Laddove l’operatore non sia in grado di escludere la contaminazione accidentale dei singoli prodotti con ingredienti allergenici che sono utilizzati nello stabilimento o laboratorio, il primo lavoro da eseguire sarà un censimento della lista completa degli ingredienti allergenici elencati nel reg. (UE) 1169/11, con l’obiettivo di escludere quelli sicuramente non presenti. Come è il caso di pesce crostacei e molluschi, ad esempio, in una pasticceria i gelateria. Questo primo lavoro di ricognizione permetterà di eliminare dichiarazioni ridondanti e inutili.
Una volta selezionati i soli ingredienti allergenici del citato regolamento che sono effettivamente impiegati in una o più produzioni, si verificherà la possibilità di escludere – in ottica di monitoraggio e prevenzione (cosiddetto Haccp) – il rischio di contaminazione di altri prodotti realizzati nello stesso impianto.
E solo nel caso in cui la corretta applicazione delle buone prassi igieniche e dell’Haccp non permettano di escludere i rischi di contaminazione con uno o più degli ingredienti allergenici presenti, nel redigere le specifiche liste ingredienti riferite a ciascun alimento si dovrà riportare – a margine di ciascuna lista – un’indicazione del tipo “Può contenere …”. Evitando l’espressione “tracce di …”, che è inutile e può indurre in confusione il consumatore allergico (il quale potrebbe erroneamente credere che le sole tracce riducano il pericolo di reazioni patologiche).
La predetta dicitura “Può contenere …”, a sua volta, deve essere precisa nel senso di riferire ai singoli ingredienti allergenici citati dal legislatore europeo (es. grano, noci) e non la categoria di appartenenza (es. cereali contenenti glutine, frutta secca con guscio). Anche a tal fine è essenziale che la ricognizione preliminare venga condotta con estremo scrupolo, soprattutto quando ci si riferisca a ingredienti composti e semilavorati.
La dicitura “Prodotto in un laboratorio che utilizza xxx”, seguita dall’elenco di tutti gli ingredienti allergenici previsti dal regolamento, è viceversa inammissibile per diverse ragioni:
– le notizie devono venire riferite ai singoli prodotti e non ai loro luoghi di produzione. Come titola lo stesso regolamento, sulla “informazione al consumatore relativa ai prodotti alimentari”, il consumatore allergico ha diritto di sapere se il prodotto X o il prodotto Y sono per lui sicuri,
– la mera riproduzione dell’intera lista delle 14 categorie di ingredienti allergenici, e dei loro singoli elementi, è di per sé indicativa di inadempienza dell’operatore ai basilari doveri di autocontrollo (buone prassi igieniche, Haccp). In maniera esemplare nei citati esempi di specie ittiche nei prodotti di pasticceria e gelateria,
– giova infine sottolineare che il rischio di contaminazione del prodotto da ingredienti allergenici non dichiarati va prevenuto e controllato al pari di ogni altro rischio di contaminazione fisica, chimica e microbiologica in grado di interferire con la sicurezza dell’alimento (cfr. reg. CE 178/02, articolo 14).
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Salve,
leggendo l’articolo mi è sorto un dubbio: l’allegato II della 1169/2011 contiene un elenco di allergeni che non è esaustivo…per esempio se produco frullati per l’infanzia di frutta di diversi gusti, compreso kiwi o fragola che sono ritenuti allergeni, soprattutto abbastanza importanti negli ultimi anni…in un frullato al gusto di mela e pera, premesso lo studio dell’HACCP e la gestione degli allergeni, sarebbe corretto indicare “può contenere tracce di fragola”?
Non condivido la non correttezza dell’uso del termine “traccia” nell’indicazione del contenuto di possibili o probabili minime contaminazioni accidentali di quell’alimento.
Un laboratorio o industria alimentare che produce alimenti diversi con gli stessi impianti ed attrezzature, nonostante la massima pulizia ed ordine, anche nei locali di stoccaggio delle materie prime, come potrà indicare la possibile contaminazione accidentale se non con il termine “traccia” la presenza di uno o più allergeni?
Non potendo eseguire analisi quali quantitative per ogni alimento prodotto, non ci sono alternative all’indicazione della possibile contaminazione in quantità di traccia accidentale di sostanza estranea agli ingredienti previsti in ricetta.
Come non sarebbe accettabile l’indicazione: può contenere candeggina, muffe, ecc… l’uso del solo termine può contenere….trae in inganno il consumatore allergico, che non sarà in grado di valutare se può tollerare una modica e possibile minima traccia accidentale ed occasionale di un suo allergene, o se l’alimento in questione ne può contenere quantità rilevante, anche se non prevista.
Rimango del parere che l’uso del termine traccia sia appropriato per l’indicazione di queste contaminazioni, perché rende anche più responsabile l’operatore verso la gestione della manipolazione degli alimenti in generale, a salvaguardia del consumatore.