Dieta personalizzata? Per arrivarci occorrono tempo e investimenti. Attenzione ai kit che promettono scelte alimentari basate sul DNA. Intervista a Giuditta Perozzi
Dieta personalizzata? Per arrivarci occorrono tempo e investimenti. Attenzione ai kit che promettono scelte alimentari basate sul DNA. Intervista a Giuditta Perozzi
Redazione 1 Ottobre 2014La dieta personalizzata sul proprio profilo genetico per prevenire alcune malattie cronico-degenerative correlate all’alimentazione potrà diventare realtà. Per arrivarci, però, occorrono tempo e investimenti nelle infrastrutture che si occupano di questi temi. In estrema sintesi, sono questi i messaggi-chiave emersi dal convegno del network scientifico internazionale sulla ricerca in nutrigenomica, NuGO, che si è tenuto nei giorni scorsi a Castellammare di Stabia. Per saperne di più, ne abbiamo parlato con Giuditta Perozzi, ricercatrice del CRA-NUT e organizzatrice dell’incontro.
Anzitutto, che cosa si intende esattamente per nutrigenomica?
È la scienza che studia gli effetti dell’interazione tra i nutrienti (cioè le molecole contenute negli alimenti) e il genoma umano, al fine di prevenire le malattie cronico-degenerative correlate all’alimentazione, come obesità, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari.
Ma questi effetti non si studiano da sempre? Per esempio sappiamo da decenni che la dieta mediterranea “fa bene”, cioè aiuta a ridurre il rischio di ammalarsi di certe malattie.
Certamente sappiamo molto degli effetti della dieta sulla salute e sulla prevenzione di malattie, ma lo sappiamo a livello generale, di popolazione considerata nel suo complesso. Proprio da queste conoscenze deriviamo indicazioni come quelle – validissime – contenute nelle Linee guida per una sana alimentazione italiana. Però con il tempo, grazie a vari avanzamenti scientifici e alla disponibilità dei dati sul genoma umano, abbiamo imparato altre due cose fondamentali: che non tutto fa bene a tutti nello stesso modo e che ciascuno di noi ha suscettibilità genetiche specifiche per alcune malattie. L’idea della nutrigenomica è mettere insieme questi due aspetti, per capire se e come i nutrienti possono modulare la suscettibilità genetica, in modo da ridurre il rischio di malattia. Quindi non si tratta più di dare indicazioni generali, buone per tutti, ma di sviluppare diete personalizzate, disegnate su misura sul profilo genetico di ogni persona per ridurre il rischio di malattia caratteristico di quell’individuo.
La buona notizia è che i risultati della ricerca dicono che gli effetti di alcune caratteristiche genetiche possono essere davvero modulati con la dieta. Questo fa capire che l’obiettivo di un intervento nutrizionale personalizzato per la prevenzione di malattie è un obiettivo realistico, ma non ancora dietro l’angolo. Stiamo infatti parlando di malattie multifattoriali, dove sono in genere coinvolti molti geni e abbiamo ancora molto lavoro da fare per identificare i meccanismi alla base delle associazioni tra le varianti genetiche e il rischio di andare incontro a queste malattie. Molti studi condotti finora si sono concentrati sull’effetto di singole varianti genetiche, ma ora sappiamo che questo approccio non basta. Lo si è detto chiaramente nel corso del convegno: bisogna analizzare molti geni alla volta per ciascuna patologia, almeno 10 o 20. Occorre anche tenere presente la popolazione selezionata per condurre gli studi: popolazioni diverse hanno background genetici diversi, per cui i risultati ottenuti in Italia potrebbero non essere validi per esempio in Giappone.
Eppure sono in commercio kit che promettono indicazioni personalizzate per la dieta a partire da un’analisi del DNA, estratto in genere da un piccolo campione di saliva. Dunque non sono affidabili?
Qualche test, in alcuni casi particolari, può essere utile, come la ricerca di varianti del gene MTHFR, correlato ai livelli di una sostanza, l’omocisteina, coinvolta nel rischio cardiovascolare. In presenza di alcune varianti di questo gene, è utile suggerire un aumento di folati nella dieta. Anche la ricerca di alcune varianti nel gene della lattasi, che possono portare a intolleranze al lattosio, può essere ragionevole. Spesso, però, si tratta di test imprecisi, che danno solo indicazioni generiche o spingono all’assunzione di vitamine e integratori, magari commercializzati dalla stessa ditta che propone il kit. Per il momento, meglio non cadere nella trappola delle diete basate sul DNA.
Quando allora saranno disponibili diete personalizzate davvero affidabili e con una solida base scientifica?
Dipende molto da quanto si decide di investiren nella ricerca: potrebbero bastare 10 anni, oppure ne serviranno molti di più. Stiamo parlando di indagini complesse, condotte su un’immensa quantità di dati che devono essere non solo raccolti, ma anche gestiti ed elaborati. Servono strumenti molto avanzati di bioinformatica, analisi computazionale, elaborazione statistica, condivisione internazionale dei risultati. In una parola, servono adeguate infrastrutture di ricerca. L’Europa sta effettivamente investendo in questa direzione, per esempio con il progetto di ricerca EuroDISH, in cui il CRA-NUT è coinvolto, che si propone anche l’obiettivo di definire meglio le reali esigenze del settore che si occupa del rapporto tra dieta e genetica. Bisogna evitare di disperdere sforzi.
È fondamentale riuscire a definire e a quantificare lo stato di salute di un organismo sano da un punto di vista molecolare. In questo modo diventa più facile rilevare anomalie quando ci si allontana dallo standard e capire se un intervento nutrizionale è in grado di riportare l’equilibrio.
Ci sono altre informazioni emerse dal convegno? Si è molto parlato di profilo alimentare mediterraneo: c’è qualche novità?
Su questo fronte, l’impegno principale è capire se i determinanti fondamentali di questo profilo, i suoi “principi essenziali”, possano essere “astratti” e applicati ad altri contesti alimentari. È un esercizio importante, perché dovrebbe permettere di portare i benefici di una dieta di tipo mediterraneo anche in paesi in cui, per ragioni culturali o di disponibilità degli alimenti, quella dieta non può essere applicata così com’è.
Valentina Murelli
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Sono assolutamente d’accordo con la dott.ssa Perozzi quando evidenzia come le patologie cronico degenerative quali l’obesità, il diabete II, le malattie cardiovascolari siano malattie multifattoriali, dove in genere vengono coinvolti molti geni e non è ancora completo il lavoro di identificazione dei meccanismi alla base delle associazioni tra le varianti genetiche e il rischio di andare incontro a queste malattie. Per questo è giusto, come dice la dott.ssa, essere prudenti e personalizzare la propria dieta su un modello di tipo mediterraneo che evidenze scientifiche hanno deputato come un modello efficace nella prevenzione di tali patologie, nell’attesa che ancora altri anni di ricerca in nutrigenomica ci confortino con dati più solidi e completi.